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Dopo un anno dall’entrata in carica del governo Conte II e a 2 anni dall’emanazione del decreto sicurezza, le forze di maggioranza si sono finalmente decise a rimettere mano alle regole dell’accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati in Italia. Il nuovo provvedimento è stato approvato anche in questo caso per decreto. Il parlamento avrà quindi due mesi di tempo per convertirlo in legge, apportando se necessario alcune correzioni.

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Nel frattempo la crisi dovuta al coronavirus ha fatto emergere carenze e problemi già esistenti, mettendone in luce tutte le criticità.

Il decreto sicurezza ed il relativo capitolato di gara per l’assegnazione dei posti in accoglienza già avevano manifestato i loro limiti. Sia per quanto riguarda la difficoltà delle prefetture di assegnare i posti in accoglienza, sia per l’incentivo economico a favorire la prevalenza dei centri più grandi a scapito di quelli piccoli e distribuiti sul territorio.

I problemi, rilevati nel corso del 2019, erano venuti alla luce solo ad un’analisi approfondita con una metodologia complessa e laboriosa, data la penuria di dati. Il sistema non era sottoposto a stress, dato il ridotto numero degli arrivi, in forza degli accordi con la Libia (con il costo anche umano associato). A febbraio 2017, infatti, l’allora ministro Minniti concluse con la Libia il memorandum of understanding (rinnovato nel febbraio 2020) in tema di “contrasto all’immigrazione irregolare” e di lì a poco varò le prime misure avverse alle azioni di salvataggio in mare e alle Ong.

Affinché il sistema di accoglienza raggiunga una piena efficacia è necessario che diventi anche più trasparente.

Sin dal 2018, con il nostro lavoro Centri d’Italia, abbiamo cercato di “recuperare” l’argomento della trasparenza e dell’accountability e di sottrarlo ai detrattori dell’accoglienza. Abbiamo ottenuto un’importante vittoria al Tar che ha imposto al ministero dell’interno il rilascio di dati che permettano analisi indipendenti sullo stato del sistema di accoglienza. Nonostante i passi avanti, anche nel prosieguo delle analisi abbiamo riscontrato scarsa condivisione delle informazioni e abbiamo dovuto procedere mediante Foia. Nel presente numero ci siamo basati sull’analisi dei soli bandi presenti nel database Anac (con dati aggiornati a luglio 2020) e sui siti delle singole prefetture.

Nella fase attuale, in concomitanza con la crisi sanitaria e sociale a causa della pandemia in atto, le criticità strutturali del sistema di accoglienza diventano lampanti e determinano anche un’ulteriore contrazione dei diritti, nonché una scarsa tutela della salute dei singoli e di quella pubblica.

Il sistema ordinario che non c’è e le occasioni perse per strutturarlo

Tra il 2016 e il 2017 l’Italia si è ritrovata a gestire un numero di arrivi considerevole, nonostante non si potesse neanche allora parlare di emergenza.

A partire dalla seconda metà del 2017 tuttavia il numero di arrivi si è drasticamente ridotto e con questo le presenze nel nostro sistema di accoglienza. Tra il 2017 e il 2018 infatti queste sono diminuite di oltre il 27,6% e poi ulteriormente del 31,3% nel 2019.

FONTE: Def 2018, camera dei deputati, ministero dell'interno
(ultimo aggiornamento: lunedì 31 Agosto 2020)

Questi anni sarebbero potuti essere utilizzati per ripensare in termini ordinari l’accoglienza. Misure di cui si discute da tempo, come ad esempio l’individuazione di meccanismi premiali per far crescere il sistema a titolarità pubblica gestito dai comuni (Sprar/Siproimi) o l’eliminazione del criterio della volontarietà per l’adesione allo stesso.

Un’occasione persa prima dal governo Conte I, con l’approvazione del decreto sicurezza, e poi dal governo Conte II, che ha lasciato trascorrere un anno prima di decidersi a rivedere la disciplina dell’accoglienza.

La strutturazione di un sistema ordinario di accoglienza non era tra gli obiettivi del decreto sicurezza, che infatti è andato nella direzione opposta. L’eliminazione della protezione umanitaria ha fatto sì che i richiedenti asilo, che con la normativa precedente avrebbero avuto accesso a una forma di protezione (e quindi a un permesso di soggiorno, condizione imprescindibile di qualsivoglia percorso di integrazione), siano andati ad ampliare il bacino di persone in condizione di soggiorno irregolare.

D’altra parte il sistema ordinario, lo Sprar (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), è stato trasformato in Siproimi (sistema di protezione per titolari di protezione internazionale e minori stranieri non accompagnati) escludendo da questa forma di accoglienza i richiedenti asilo e i titolari di protezione umanitaria. Riducendo così ulteriormente il numero delle persone ospitate (dal 2018 diminuiscono progressivamente infatti i posti finanziati e i posti occupati).

Il decreto sicurezza ha snaturato il sistema ordinario e trasformato i Cas in delle specie di dormitori.

In questo modo i Cas (Centri di accoglienza straordinaria gestiti dalle prefetture), da strutture emergenziali, sono stati trasformati ufficialmente in contenitori in cui i richiedenti asilo attendono l’esito della propria domanda di protezione internazionale. Un periodo di tempo vuoto, che può durare anche un anno o addirittura di più, in cui gli stessi migranti sono esclusi dai percorsi di inclusione sociale e lavorativa.

Nel corso di questi mesi, sono intervenute alcune modifiche alla normativa prevista dal decreto sicurezza, ma sempre con carattere provvisorio. Attraverso il decreto Cura Italia (art.86 bis) e il decreto Rilancio (art.16), ad esempio, si è reintrodotta la possibilità di ospitare richiedenti asilo all’interno dello Sprar/Siproimi. Ma solo per un tempo limitato legato al permanere dello stato di emergenza (ad oggi peraltro esteso fino al 31 gennaio 2021).

Inoltre, nonostante le strutture del Siproimi siano predisposte per fornire diversi servizi di integrazione, questi non possono essere utilizzati dai richiedenti asilo. I quali possono, stando a queste norme, usufruire dei soli servizi previsti per la prima accoglienza.

Il capitolato del dicembre 2018: un'accoglienza che esclude

La normativa introdotta nel dicembre 2018 si propone sostanzialmente di fornire vitto e alloggio agli ospiti e non di concorrere all’accompagnamento all’autonomia.

A parte le questioni di merito il decreto sicurezza ha comportato problemi sia per le prefetture che per i gestori.

In ogni caso, anche senza considerare aspetti legati ai diritti delle persone accolte e alla qualità del servizio fornito, e dunque la logica volta al controllo sociale più che all’inclusione, il decreto e il capitolato hanno prodotto problemi oggettivi e indiscutibili dal punto di vista pratico e amministrativo. Sia per i soggetti gestori che per le stazioni appaltanti.

Dal punto di vista amministrativo il capitolato ha previsto diversi tipi di contratto, a seconda che i servizi siano resi in un Cas di grandi dimensioni (da 50 a 300 posti), di medie dimensioni (fino a 50 posti) o in unità abitative.

Stando alle dichiarazioni ufficiali, più che quelle politiche, l’intenzione era quella di favorire l’accoglienza diffusa o comunque quella più adatta a ciascun territorio, delineando nello specifico i servizi da effettuare in ciascun tipo di centro.

Muovendo poi dall'analisi dell'accoglienza [...] non più caratterizzata dai soli grandi centri collettivi [... ma anche n.d.r] da singole unità abitative [...] si intende rideterminare i servizi assistenziali e le connesse modalità prestazionali calibrandoli alle diverse tipologie di ospitalità a beneficio di più trasparenti ed appropriate attività gestionali.

Tuttavia il capitolato del dicembre 2018 prevede tagli di servizi e costi per tutti i tipi di centro con l’effetto di penalizzare l’accoglienza diffusa, a favore dei grandi centri, dove è possibile effettuare economie di scala. Già lo scorso anno infatti era stato possibile rilevare due importanti effetti del nuovo capitolato.

La normativa voluta dall'ex ministro Salvini ha favorito i grandi gestori a discapito delle piccole realtà sociali.

Da un lato molti gestori hanno deciso di non rispondere al bando per il sistema di accoglienza prefettizio in virtù di una scelta etica. Per molte realtà del privato sociale infatti, limitarsi a fornire servizi di vitto ed alloggio non giustifica la partecipazione al bando. Dall’altro a essere favoriti sono stati proprio i grandi centri. Di conseguenza, soggetti disposti a gestire strutture ridotte a dormitori, enti con dichiarato scopo di lucro o che non hanno competenze ed esperienze su tutela, promozione dei diritti delle persone e accompagnamento all’autonomia, hanno visto crescere la loro importanza all’interno del sistema a discapito degli attori storicamente impegnati nel settore.

Un’Italia divisa in due: le intenzioni delle prefetture nell'applicazione del capitolato

A distanza di 2 anni dall’entrata in vigore del decreto Salvini possiamo vedere in che modo le prefetture italiane hanno inteso utilizzare i tre tipi di appalto previsti dal capitolato.

Non si tratta in questo caso dei posti effettivamente presenti nel sistema di accoglienza ma degli importi messi a bando in prima battuta dalle prefetture per i diversi tipi di centro. Non è quindi detto che tutti i posti siano stati aggiudicati. Come vedremo infatti alcuni di questi bandi, in particolare quelli per l’accoglienza diffusa, sono andati deserti o annullati e altri sono stati aggiudicati per un numero insufficiente di posti.

I dati presentati riguardano lotti presenti nella Banca dati dei contratti pubblici di Anac che abbiamo classificato come accordi quadro per la gestione di Centri di accoglienza straordinaria (Cas). Per verificare le intenzioni iniziali delle prefetture, al netto dei problemi che in alcuni casi hanno comportato la ripetizione dei bandi, sono stati analizzati solo i primi contratti messi a bando da ciascuna prefettura per ogni tipologia di centro, e non le eventuali successive ripetizioni. Sono stati considerati i bandi pubblicati dopo il decreto sicurezza.

FONTE: Elaborazione openpolis su dati Anac
(ultimo aggiornamento: mercoledì 22 Luglio 2020)

Dall’analisi degli importi si rileva che le prefetture del centro nord hanno tentato di mantenere l’assetto diffuso dell’accoglienza dapprima prevalente, destinando inizialmente ad unità abitative la metà dei posti messi a bando. Una tendenza particolarmente rilevante nelle prefetture del nord-est.

59,2% la quota di importi messi a bando dalle prefetture del nord est per centri composti da singole unità abitative.

A giudicare dai dati quindi sembra che in questi territori le prefetture abbiano cercato di proseguire un percorso che negli anni aveva individuato l'accoglienza diffusa come modello virtuoso, sia per gli ospiti dei centri, che nel rapporto con la comunità del territorio.

Nel mezzogiorno, al contrario, il modello dell’accoglienza diffusa resta residuale, a vantaggio dei centri collettivi e con ampio ricorso ai centri di grandi dimensioni. Anche prima del decreto sicurezza nelle regioni meridionali i centri di piccole dimensioni erano meno diffusi rispetto ad altre zone del paese. Una tendenza che quindi risulta confermata e un assetto dell’accoglienza in continuità con quanto da sempre viene descritto come terreno fertile per speculazioni e la crescita di un circuito basato su mega centri e mega gestori.

Repetita iuvant? La ripetizione dei bandi a livello nazionale

La normativa vigente prevede che le prefetture mettano a bando accordi quadro per la gestione delle tre diverse tipologie di centro. L'accordo quadro è un documento di tipo programmatico, il cui scopo è quello di definire il numero di posti in accoglienza che potrebbero essere necessari sul territorio nel successivo biennio (o nel successivo anno), e di stabilire una graduatoria di operatori a cui questi posti potranno essere assegnati nel momento in cui se ne presenti la necessità.

Tuttavia non sempre gli accordi quadro vanno a buon fine. I bandi potrebbero andare deserti, o essere partecipati da un numero insufficiente di operatori per coprire i posti necessari.

Quando una prefettura ha difficoltà ad assegnare un bando per l'accoglienza l'opzione più semplice è quella di riproporre la gara.

Di fronte alla difficoltà delle prefetture di assegnare tutti i contratti necessari a rispondere al fabbisogno, una delle possibili risposte è quella di riproporre il bando, con l’obiettivo di trovare altri operatori disposti a partecipare. Al di là di quale sarà l’esito delle gare successive la conseguenza immediata è quella di ritardare la stipula dei contratti come previsti dalle nuove regole. Di solito con la necessità di dover prorogare contratti in essere o di crearne di nuovi temporanei tramite affidamento diretto.

Analizzando i dati della Banca dati dei contratti pubblici (Bdncp) di Anac è possibile rilevare quali prefetture abbiano proposto più di una volta lo stesso tipo di bando e individuare in questo modo le difficoltà degli uffici territoriali del governo ad assegnare i posti in accoglienza.

Lo scorso anno questa analisi aveva fatto emergere criticità su 11 prefetture. Ad oggi il dato è salito a 34, ovvero circa un terzo delle prefetture italiane. Si tenga presente peraltro che non sempre la ripetizione del bando è la soluzione scelta dalla prefettura.

34 il numero di prefetture che hanno ripetuto i bandi per l'accoglienza dopo il decreto sicurezza.

In alternativa questa potrebbe decidere di prendere tempo prorogando i contratti in essere, oppure mettere a bando contratti per una diversa tipologia di centro sperando di ricevere una risposta diversa. È molto probabile quindi, che le prefetture dove si sono riscontrate difficoltà, siano di più di quelle rilevate con l’analisi dei contratti pubblici.

Quando una prefettura pubblica un accordo quadro per una delle tre tipologie di Cas previste dal nuovo capitolato stabilisce in partenza il numero di posti che è necessario coprire, grazie a quel tipo di centro, per soddisfare i bisogni del territorio. La ripetizione di uno di questi bandi indica che qualcosa non è andato per il verso giusto con la prima gara, di solito perché non si è riusciti ad assegnare tutti i posti inizialmente previsti.

Nel grafico non sono indicati i contratti messi a bando per la prima volta, ma solo le ripetizioni. Sono stati considerati i bandi pubblicati dopo il decreto sicurezza.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Anac
(ultimo aggiornamento: mercoledì 22 Luglio 2020)

Le regioni in cui il problema si presenta con maggiore frequenza sono l’Emilia-Romagna (27 ripetizioni), la Toscana (25) e la Lombardia (23). Ma più in generale è tutto il centro nord ad essere interessato dal fenomeno, che invece emerge in rari casi nel mezzogiorno.

FONTE: Elaborazione openpolis su dati Anac
(ultimo aggiornamento: mercoledì 22 Luglio 2020)

Le tipologie di centro che maggiormente presentano difficoltà nell’assegnazione sono quelle in unità abitative. Su queste infatti si concentrano il 47,2% di tutte le ripetizioni registrate a livello nazionale, mentre solo il 13,9% riguarda centri collettivi.

47,2% delle gare ripetute riguarda centri composti da unità abitative.

Le ragioni di queste difficoltà di assegnazione vanno imputate ancora una volta al capitolato che rende economicamente insostenibile l’accoglienza diffusa. Inoltre, come già anticipato, parte del terzo settore si è rifiutato di partecipare alle gare proprio a causa del taglio dei servizi previsto dalle nuove regole. In particolare alcuni gestori con una chiara missione sociale hanno ritenuto che non fosse loro compito prendere parte a un sistema che vede l’accoglienza come un mero servizio di vitto e alloggio.

Chiaramente per tutti si è trattato di una scelta difficile. Sia perché uscire dal sistema significa fare posto a gestori con una visione diversa, magari di tipo più commerciale, sia perché non partecipare alle gare significa anche perdere posti di lavoro. Un elemento tutt’altro che marginale in particolare nelle zone del paese in cui la questione occupazionale si fa sentire in maniera più stringente.

Il ministero riconosce il problema, ma tutela solo il mercato

A febbraio 2020, è stato lo stesso ministero dell’interno a riconoscere il problema dei bandi ripetuti, confermando le tendenze che avevamo denunciato. In quel periodo infatti, tramite una circolare, sono state indicate alle prefetture alcune possibili soluzioniQueste sono state innanzitutto invitate a ricorrere alle procedure negoziate.

È necessario evidenziare che di recente si era assistito a un fenomeno positivo, ovvero la sistematizzazione dell’utilizzo delle procedure aperte. La circolare di febbraio tuttavia deroga tale procedura in caso di difficoltà rimandando ad assegnazioni più rapide, venendo meno alle intenzioni iniziali di una maggiore trasparenza.

Nella Banca dati dei contratti pubblici di Anac è indicato per ciascun lotto la procedura di scelta del contraente che è stata utilizzata. Di recente avevamo assistito a un fenomeno positivo, ovvero la sistematizzazione dell’utilizzo delle procedure aperte per i bandi relativi ai centri di accoglienza. Tuttavia in alcuni casi le prefetture, per rispondere alle difficoltà nell’assegnazione dei bandi, hanno fatto ricorso a vari tipi di procedure negoziate, che qui abbiamo considerato in termini aggregati.

FONTE: Elaborazione openpolis su dati Anac
(ultimo aggiornamento: mercoledì 22 Luglio 2020)

Già in precedenza alcune prefetture avevano fatto ricorso alle procedure negoziate. Tuttavia la percentuale di lotti messi a bando in questo modo è passata dal 16% (46 procedure su 289) al 27% dopo la circolare del ministero (13 procedure su 48).

Le prefetture sono invitate a proporre bandi per tipologie di centri diverse da quelle che hanno dato problemi.

Quanto al contenuto del bando vengono date tre indicazioni. La prima è quella di riproporre il bando cambiando la tipologia di centro. Dunque se le gare per l’accoglienza in unità abitative sono andate deserte mentre quelle per grandi centri sono state assegnate, si proporranno nuove gare per questa seconda tipologia di centro abbandonando ogni tentativo di accoglienza diffusa, magari ribaltando la precedente programmazione dell’accoglienza sul territorio.

Viene suggerito di rendere meno stringenti i requisiti di accesso alla gara. Con tutti i rischi connessi.

La seconda è quella di modificare i requisiti di accesso alla gara. In questo modo si permette di partecipare a soggetti che in un primo momento non erano considerati idonei. L’effetto prevedibile è un’ulteriore riduzione delle garanzie di qualità e l’affidabilità dei gestori coinvolti nel sistema di accoglienza. Dunque da un lato i piccoli gestori a vocazione sociale escono dal sistema, a causa dell'impossibilità di realizzare forme di micro accoglienza diffusa che siano sostenibili economicamente e per il rifiuto di assecondare un modello che non fornisce ai richiedenti asilo strumenti di integrazione. Dall’altro il ministero facilita l’ingresso di operatori a vocazione commerciale o comunque privi dell’esperienza necessaria, rispondendo in qualche modo alle necessità del mercato ma senza considerare che parliamo di diritti.

La regola dei costi fissi previsti dal capitolato viene derogata per le spese di affitto ma non per i servizi.

La terza indicazione infine riguarda la possibilità di modificare gli importi previsti nell’allegato B del capitolato. Si tratta in sostanza dei prezzi medi di riferimento per l’acquisto o l’affitto di beni. Il tema riguarda in particolare il diverso costo degli affitti di immobili nelle diverse zone del paese.

La questione dei prezzi per gli affitti uniformi su tutto il territorio nazionale era effettivamente problematica per i gestori delle aree in cui gli immobili hanno un costo più elevato. Tuttavia queste modifiche vengono permesse senza fornire uno schema di riferimento sui costi medi nelle diverse zone. Alle prefetture invece viene richiesto prima di prendere una decisione su questo punto, considerando generici studi di settore, e poi di controllare che gli importi concordati siano quelli effettivamente sostenuti dall’operatore.

La richiesta di una verifica dei costi sembra evidenziare che lo stesso ministero si renda conto dei possibili problemi di cattiva gestione che potrebbero derivare da questa modifica. La soluzione individuata però aggrava ulteriormente il lavoro delle prefetture sia in fase previsionale che di controllo.

Si tratta di indicazioni che tentano di risolvere aspetti pratici senza occuparsi delle questioni di fondo.

Complessivamente possiamo dire che le indicazioni fornite tentano di risolvere il problema della mancata assegnazione dei posti in accoglienza prodotto dal capitolato, senza però affrontare le questioni di fondo. La conseguenza, con tutta probabilità, è di abbassare ulteriormente la qualità del servizio, senza tenere conto delle ripercussioni sulla vita degli ospiti dei centri, sulla capacità del sistema di fornire strumenti per l’autonomia, ma anche sulle piccole realtà del terzo settore che in questi anni hanno sviluppato competenze e professionalità nella tutela e promozione dei diritti. Competenze non più utili in un sistema che non mette al centro le persone, ma il mero controllo.

Nonostante il tentativo di revisione in corso d’opera, la circolare del ministero non sembra essere stata sufficiente per risolvere il problema delle mancate assegnazioni, anche al netto di valutazioni di merito. Se si analizzano i dati Anac sull’esito delle gare infatti non si assiste a un miglioramento dopo la pubblicazione della circolare, anzi.

Dal database di Anac è possibile rilevare, se pur con diversi limiti, quale sia stato l’esito delle varie gare. Purtroppo si tratta di un campo che troppo spesso non viene aggiornato e dunque per molti lotti, indipendentemente dal loro reale esito, rimane indicato “stato gara: pubblicata”. Un modo di dire che non si hanno notizie sull’esito della gara e che qui abbiamo riportato come “Campo non aggiornato”. Le gare pubblicate dopo la circolare sono ovviamente più recenti ed è quindi più frequente che lo stato gara risulti ancora non aggiornato.

Sono stati presi in considerazione i contratti per assegnare i posti in accoglienza come previsto dal nuovo capitolato. Sono state invece escluse le proroghe e gli affidamenti diretti.

Non sono presenti i dati relativi agli esiti delle gare della prefettura di Trieste, perché al momento della pubblicazione i dati non erano disponibili.

FONTE: Elaborazione openpolis su dati Anac
(ultimo aggiornamento: mercoledì 22 Luglio 2020)

La quota di gare con esito negativo in effetti risulta leggermente maggiore rispetto al periodo precedente, passando dal 12,1 al 12,2% (6 su 49). Un dato che potrebbe facilmente aumentare nei prossimi mesi. Infatti i contratti messi a bando dopo la circolare sono più recenti e per molti di questi l’esito è ancora incerto o comunque il risultato non è stato ancora aggiornato nel database Anac.

I grandi centri: terreno fertile per il contagio

Come abbiamo visto nelle regioni meridionali il ricorso da parte delle prefetture a strutture collettive di medie e grandi dimensioni è stato più frequente rispetto al centro nord.

Quello del ricorso ai grandi centri è un fenomeno problematico da molti punti di vista. In un momento di emergenza sanitaria però le criticità delle grandi strutture emergono con ancora più evidenza.

La propaganda sui migranti che portano il virus nel nostro paese risulta del tutto infondata visto che questi vengono tutti sottoposti a controlli, al contrario di quello che è avvenuto nel corso dell’estate per i turisti stranieri. Nel corso della crisi sanitaria che stiamo vivendo invece è proprio la struttura del sistema di accoglienza, basato sui grandi centri, a creare l’emergenza. Ammassare centinaia di persone in uno stesso stabile, espone a rischi maggiori prima di tutto gli ospiti, ma anche gli operatori e da ultimo la comunità accogliente.

Nei centri con tali soluzioni condivise, il maggior rischio di esposizione e di contagio della popolazione ospitata è relativo principalmente ai nuovi arrivi, ma è anche relativo ai contatti tra gli ospiti e con il personale dei servizi.

Rischi che si sarebbero potuti limitare accogliendo i richiedenti asilo in strutture abitative con un numero limitato di posti distribuite in maniera uniforme sul territorio nazionale. Ciononostante anche in questo caso, pensando a quanto accaduto nel sistema a titolarità pubblica, si sarebbe dovuto agire tempestivamente con un piano strutturato e coordinato di intervento, che purtroppo è mancato.

È mancata, in questi mesi, un'attenzione specifica delle istituzioni sulle strutture di accoglienza e la maggior parte degli enti gestori si è sentita isolata e disinformata. Tutti si sono attivati con buonsenso, e hanno fatto del loro meglio, mettendo in campo soluzioni buone, ma avrebbero gradito una regia da parte delle istituzioni. La risposta non può essere quella delle soluzioni fai da te.

Un tema che ovviamente vale anche per i Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) dove in questi mesi si è proseguito con nuovi ingressi, con tutti i rischi connessi, nonostante l’impossibilità di effettuare i rimpatri nel corso della pandemia, le indicazioni della commissaria per i diritti umani del Consiglio d’Europa e gli appelli della società civile.

Eppure il tema delle grandi concentrazioni nel contesto dell’emergenza sanitaria non è stato affrontato dalle frequenti cronache estive. Altrimenti si sarebbe dovuto ammettere un’errata impostazione di partenza e le relative responsabilità istituzionali, a cui difficilmente si poteva porre rimedio nel corso dell’emergenza sanitaria. La maggior parte dei media hanno puntato gli occhi in particolare sui territori di confine.

In regioni del nord est, come il Friuli Venezia Giulia, o in regioni del mezzogiorno, come la Sicilia, l’accoglienza è stata organizzata in modo molto diverso ed ha affrontato criticità differenti.

Il problema è stato scaricato sui centri governativi nei territori di confine. Con ovvie ricadute sulla popolazione locale e gli ospiti dei centri.

In entrambi i casi tuttavia si tratta di regioni di confine, dove si è fatto ampio ricorso ai centri governativi per ammassare migranti in ingresso senza che la macchina amministrativa dello stato riuscisse a ridistribuirli sul territorio nazionale in tempi ragionevoli. Una situazione che ha prodotto tensioni sociali a livello locale, centri stracolmi e prassi lesive dei diritti delle persone ospitate, in un momento in cui il sistema di accoglienza si trova, a livello nazionale, tutt’altro che sotto pressione, con un’ampia disponibilità di posti liberi.

 

Foto credit: Guglielmo Mangiapane / Reuters

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