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Da diversi anni in Friuli Venezia Giulia andava consolidandosi un modello di accoglienza diffusa. Anche dopo il decreto sicurezza le prefetture hanno cercato di mantenere questo tipo di offerta, incontrando però molte resistenze da parte dei gestori.

In molti casi, infatti, i piccoli gestori si sono opposti alle nuove regole e parecchie gare sono andate deserte, oppure sono state riproposte perché le prime assegnazioni erano state insufficienti.

Nel frattempo, i nuovi ingressi dalla rotta balcanica, i respingimenti informali che hanno determinato nuove traiettorie in ingresso, e il rallentamento delle procedure di ricollocamento dovuto all’emergenza sanitaria hanno reso la situazione critica.

I richiedenti asilo saranno posti in isolamento fiduciario in strutture mobili nell’ex caserma Cavarzerani, e al momento sono accolti in tende allestite presso l’ex caserma Friuli e in altre strutture per la quarantena.

La mancanza di trasparenza, con informazioni strutturate e coerenti sul sistema di accoglienza, comprime un dibattito da cui potrebbero emergere soluzioni concrete.

Stando alle dichiarazioni del prefetto di Udine, il problema è legato alla mancanza di strutture di accoglienza dove effettuare il periodo di quarantena, ma altre fonti riportano una situazione diversa.

La soluzione dell’ex caserma Cavarzerani, il cui progetto dovrebbe essere realizzato a breve e gestito dalla Croce Rossa Italiana, rimane una “non soluzione”, individuata peraltro sotto la pressione esercitata dalla società civile su prefetto e ministero dell’interno, che avevano letteralmente parcheggiato i nuovi arrivati su due pullman per il periodo della quarantena.

La gestione dei contratti in Friuli Venezia Giulia

Nel 2019 e 2020 tutte le prefetture del Friuli Venezia Giulia hanno messo a bando accordi quadro, della durata annuale o biennale. La maggior parte dei posti offerti ha riguardato le unità abitative.

59,25% i posti per unità abitative messi a bando dalle prefetture del Friuli Venezia Giulia.

Rispetto ai grandi centri, invece, solo a Gorizia sono stati offerti posti in Cas di grandi dimensioni, a cui vanno aggiunti due centri governativi. Si tratta del centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) di Gradisca d’Isonzo, sempre in provincia di Gorizia (per il quale sono stati offerti 202 posti), e del centro di prima accoglienza (Cpa) di Udine, all’interno dell’ex caserma Cavarzerani, per cui sono stati offerti 300 posti.

Attraverso la Banca dati dei contratti pubblici di Anac sono stati individuati i lotti relativi agli accordi quadro per la gestione dei centri di accoglienza straordinaria e le gare per l’assegnazione dei centri governativi della regione Friuli Venezia Giulia. Analizzando poi i documenti dei bandi sul sito delle prefetture è stato reperito il dato sul numero di posti offerti. Nel caso di bandi ripetuti sono stati considerati i posti offerti nell’ultimo lotto. Sono stati considerati i bandi pubblicati dopo il decreto sicurezza.

FONTE: Elaborazione opnpolis su dati Anac e prefetture
(ultimo aggiornamento: giovedì 1 Ottobre 2020)

Il tentativo quindi è stato quello di proseguire sul modello dell’accoglienza diffusa. Infatti in Friuli Venezia Giulia, come rilevato nelle analisi del gruppo di ricerca dell’Università Bicocca, tra il 2014 e il 2018 il sistema di accoglienza è diventato sempre più distribuito sul territorio. Dai dati si osserva un costante aumento del numero dei comuni coinvolti nell’accoglienza, che passano da 23 (11% del totale) nel 2014 a 100 (46%) nel 2018.

Al contrario, nel 2019 il numero si riduce a 64 (30%). In questo caso, la riduzione del numero dei territori coinvolti nell'accoglienza risulta legata prevalentemente alla riduzione del numero totale di beneficiari, che passa da 4.257 a 2.668. Sul fenomeno ha tuttavia inciso anche una maggiore concentrazione di richiedenti asilo nei centri della prefettura di Gorizia. Qui la presenza media nei centri è arrivata a 38 persone nel 2019, mentre nelle altre province si aggira tra 6 e 9 individui.

Le cose non sono andate esattamente come previsto dagli uffici territoriali del governo.

Dai dati Anac e da quelli presenti sui siti delle prefetture abbiamo riscontrato problemi a Pordenone e Trieste, dove alcuni bandi sono stati ripetuti, ma anche a Gorizia dove il bando per l’accoglienza diffusa è andato deserto.

A Pordenone sono stati offerti esclusivamente posti in unità abitative ma i bandi hanno tutti dato esito negativo. Il primo è stato pubblicato a settembre 2019 e dei 500 posti offerti è riuscito ad assegnarne solo 100. Lo scorso aprile quindi è stato pubblicato un altro bando nel tentativo di assegnare i 400 posti rimasti scoperti, tuttavia l’esito si è rivelato ancora meno efficace. La gara, infatti, è andata completamente deserta.

Ancora più peculiare la situazione a Trieste. Nella primavera 2019 vengono emessi due bandi: il primo (per unità abitative) vede il procedimento concluso perché l’unica offerta non è idonea, nel secondo (per Cas fino a 50 posti) la gara va deserta.

Entrambi i bandi vengono ripetuti a fine anno, ma anche in questo caso l'esito è deludente: uno va nuovamente deserto e l’altro assegna appena 10 posti sui 700 offerti. A oggi, nonostante la ripetizione dei bandi, dei 1000 posti offerti dalla prefettura di Trieste ne sono stati assegnati solo 10.

1% la quota di posti assegnati dalla prefettura di Trieste rispetto a quelli offerti.

Nelle altre due prefetture del Friuli Venezia Giulia non si registrano ripetizioni, tuttavia a Gorizia il bando per unità abitative non risulta essere stato assegnato per irregolarità nelle offerte.

A Udine invece le assegnazioni sembrano essere andate a buon fine, almeno sulla carta. La situazione però appare critica sia nei Cas che nell’ex caserma Cavarzerani (centro governativo di prima accoglienza), recentemente interessata da un altro focolaio e da proteste degli ospiti per caldeggiare un trasferimento.

Il Friuli Venezia Giulia infatti, come la Sicilia, è una regione di confine ed è da qui, attraverso la rotta balcanica, che arrivano molti richiedenti asilo.

Secondo i dati forniti dalla ministra Lamorgese nel corso di un'audizione parlamentare, i cosiddetti “rintracci”, vale a dire i migranti intercettati dalle forze dell’ordine sul confine italo-sloveno, sarebbero passati da 2.745 persone nel 2019 (da inizio anno al 21 settembre) a 3.369 del 2020 (+22,7%).

Per quanto riguarda la rotta balcanica, vorrei dire che dall'inizio dell'anno fino al 21 di settembre al confine italo-sloveno risultavano rintracciati 3.369 migranti irregolari a fronte di 2.745 dello stesso periodo del 2019.

In un documento della prefettura di Trieste fornito dal prefetto nel corso di un'audizione al consiglio regionale, invece, si parla di 3509 “rintracciati” da inizio 2019 e fino a metà settembre, lo stesso periodo indicato dalla ministra. Secondo questi dati dunque, le cifre del 2019 sarebbero persino superiori a quelle del 2020.

Non si tratta solo di capire quali siano con precisione i numeri reali, ma anche e soprattutto perché non vengano forniti in maniera organica, impedendo alla società civile di ricorrere alla fonte per verificarli. Infatti i dati forniti ogni giorno dal ministero dell’interno parlano genericamente solo di sbarchi.

Un lento processo di trasferimento in altri territori e la crisi sanitaria sembrano aver generato criticità nel sistema di accoglienza in regione.

Fuori dal Friuli Venezia Giulia, nel resto del paese, sono presenti posti e strutture in cui i richiedenti asilo potrebbero essere ospitati in sicurezza.

Se da un lato l’Italia lamenta lo scarso contributo degli altri paesi sul piano di ricollocamento europeo dei richiedenti asilo appena arrivati, dall’altro sembra che ci sia ancora molto lavoro da fare anche nella redistribuzione dei migranti sul territorio nazionale.

Un aspetto fondamentale per ridurre la tensione nelle zone di frontiera, che richiede una definizione ordinata e chiara sia dal punto di vista normativo che amministrativo. Un piano nazionale di riparto e un piano nazionale accoglienza in realtà esistono già da diversi anni, tuttavia l’efficacia si dimostra oggi molto limitata ed è evidente che anche questi strumenti vadano quantomeno aggiornati, poiché non hanno seguito le evoluzioni del sistema di accoglienza e della normativa associata.

Inoltre sarebbe auspicabile che al tavolo di coordinamento che presiede alla redazioni dei piani operativi, siano invitate anche le organizzazioni del terzo settore, che hanno maturato una competenza specifica, oltre alle associazioni che rappresentano gli interessi delle persone ospitate.

La situazione in Friuli Venezia Giulia, intervista a Gianfranco Schiavone

Gianfranco Schiavone è vice presidente dell'asgi (associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione) e presidente dell'ics. (consorzio italiano di solidarietà) di Trieste. In occasione del rapporto Centri d’Italia 2019 gli avevamo chiesto di parlarci di come il nuovo capitolato incidesse a livello nazionale sul fenomeno dei grandi centri di accoglienza. Ora vogliamo invece focalizzarci sull’accoglienza in Friuli Venezia Giulia, una regione che conosce molto bene.

Ascolta l'intervista integrale a Gianfranco Schiavone

In Friuli Venezia Giulia da diversi anni il sistema si stava indirizzando su un modello basato sempre di più sull’accoglienza diffusa. Anche dopo il decreto sicurezza le prefetture sembrano aver cercato di mantenere questo modello, ma in diversi casi hanno riscontrato problemi nell’assegnazione dei bandi. Quali sono le ragioni?
Negli ultimi due anni il sistema dei grandi centri, che spesso portano a concentrazioni abnormi in luoghi degradati, è cresciuto. Questo ha a che fare con chi ha ispirato il decreto sicurezza e la sua impostazione, fortemente spinta dal governo regionale, anch'esso della Lega. Il contesto è fortemente regredito, come non era mai successo in regione, anche se i territori si differenziano molto tra loro.

I bandi delle prefetture, in alcuni casi andati deserti, sono stati sostituiti o si sono ridotti i posti in accoglienza?
Molti bandi sono andati deserti e non sono stati sostituiti. C'è stato un drastico calo dei posti in accoglienza e continue dismissioni di strutture. Dai dati, questo fenomeno è più evidente in provincia di Pordenone. In provincia di Gorizia, invece, c'è stata la desertificazione di ogni esperienza positiva. Oggi tutto ciò che è presente in quel territorio è di tipo concentrazionario. Utilizzo di proposito una parola pesante, perché il modello principale è quello di Gradisca d'Isonzo, dove convivono Cpr e Cara. Il resto in provincia è fatto sempre da grandi centri che garantiscono bassa qualità, con le esperienze dell'accoglienza diffusa che si sono, appunto, sostanzialmente desertificate. Ci sono poi altri due tipi di casi in regione: uno riguarda la conversione in grandi centri delle strutture di accoglienza diffusa, fenomeno principalmente presente in provincia di Udine, l'altro inerisce la sola città di Trieste.

A proposito di Trieste. In provincia, nonostante i bandi siano stati ripetuti, sono stati assegnati solo 10 posti su 1000 offerti. Cosa è accaduto?
Le gare non sono solo andate completamente deserte, ma sono state anche impugnate, con contenziosi giudiziari ancora oggi aperti. Si tratta di procedure sospese anche perché gli enti gestori hanno ottenuto una proroga della gestione precedente, chiedendo che fosse fatta a condizione che si mantenesse l'approccio precedente ai decreti sicurezza. Ci sono stati tagli, ovviamente, ma non così drastici come nel capitolato ordinario. Questo non è avvenuto per caso, ma per merito della determinazione del terzo settore, frutto di una storia negli anni consolidata: è stato rifiutato il modello proposto dai decreti sicurezza. Di fatto, è come se la riforma del 2018 a Trieste non fosse mai stata applicata, con il sistema precedente sopravvissuto alla demolizione. Proprio oggi quel sistema viene rivalutato dal governo, con l'approvazione di un nuovo decreto da parte del consiglio dei ministri.

Dai dati di Udine, invece, il quadro sembra essere molto differente. Qual è la situazione reale? Quali sono i rapporti tra prefettura e terzo settore in quella provincia?
A Udine la situazione è nettamente peggiore di Trieste. Da un lato abbiamo assistito alla chiusura di progetti positivi anche con enti storici in regione, come il Centro Balducci di Zugliano, certamente uno dei più colpiti dal nuovo capitolato. Altri, invece, hanno scelto comunque di cambiare impostazione e mantenere le proprie strutture, relativamente diffuse, pur lasciando il capitolato all'osso, con servizi per forza di cose ridimensionati. E poi c'è stato l'esplodere del sistema dei grandi centri, con uno sviluppo abnorme e dannoso, come nel caso dell'ex caserma Cavarzerani, proprio nel capoluogo.

La situazione nell’ex caserma è esplosa in estate. La ministra Lamorgese ha parlato dell'accoglienza in quarantena come “priorità ineludibile”. Quali sono le condizioni e le criticità del centro e come incide la preminenza di grandi centri nella gestione della crisi sanitaria?
Quel luogo ha creato una fortissima tensione sociale in città, e anche al suo stesso interno, perché è gestito proprio come una caserma, con limitazioni alla libertà di circolazione delle persone. Viene utilizzato un po' per tutto, sia come centro di accoglienza che come struttura per l'isolamento fiduciario da covid. Con la conseguenza che una troppo esigua divisione degli spazi ha provocato un fenomeno di contagi interni. Per questo è stato necessario assumere decisioni drastiche, pagate dalle persone: in circa 500 sono rimasti segregati per più di un mese in mezzo. La misura precauzionale riguardava tutti, proprio perché la caserma funzionava da grande contenitore indifferenziato, riproponendo la logica di grandi centri che si autoalimentano. L'ex caserma Cavarzerani è l'esempio della realizzazione di un modello che era stato annunciato e poi si è verificato.

Con l’emergenza sanitaria, ma anche l’aumento di respingimenti informali, di massa e illegittimi, la situazione sembra essersi congestionata in regione. Questo nonostante a livello nazionale non manchino le strutture in cui accogliere i richiedenti asilo provenienti dalla cosiddetta rotta balcanica. Cosa secondo lei non ha funzionato nel ricollocamento dei migranti nel resto d’Italia?
La premessa è che il 2020 non è stato caratterizzato da un aumento degli arrivi, bensì da una mancata distribuzione delle persone sul territorio nazionale. Se confrontiamo i dati del 2019 e del 2020 sui cosiddetti “rintracci”, ossia le persone che vengono fermate nell'area confinaria del Friuli Venezia Giulia, rimarremo sconcertati perché i numeri ci dicono ciò che nessuno immagina: gli arrivi tra i due periodi si equivalgono, e addirittura in alcuni mesi del 2020 sono stati minori rispetto allo scorso anno. Nel 2020 non c'è stata alcuna emergenza in Friuli Venezia Giulia, ma in compenso abbiamo assistito a due tipi di fenomeni: il primo è la clamorosa violazione di leggi nelle riammissioni dei richiedenti asilo in Slovenia, ammessa persino dal governo lo scorso luglio in parlamento; il secondo è un più lento processo di trasferimenti delle persone dal Friuli Venezia Giulia al resto d'Italia. La mia lettura, non credo sia eccessivamente maliziosa, è che la creazione del caos sul territorio fosse una strategia voluta per far percepire alla popolazione regionale qualcosa che in realtà non esisteva, raccontando di una situazione fuori controllo, giustificando le riammissioni illegali e l'utilizzo della mano pesante.

C’è stata discontinuità tra i due governi Conte nella gestione di questa area del paese, in tema di migrazioni?
A livello regionale mi sento di dire che la situazione con il secondo governo Conte è addirittura peggiorata. In Friuli Venezia Giulia la situazione è semplicemente catastrofica: i respingimenti illegali e questa destrutturazione dell'accoglienza non hanno a che fare con il governo precedente. Continuo a interrogarmi di come sia stato possibile che tutto sia andato fuori controllo, dove iniziano le responsabilità centrali e quelle regionali. Faccio una valutazione serena e obiettiva, perché al contrario penso che la discontinuità tra i due governi Conte sia invece evidente a livello nazionale. L'esempio più importante è proprio il superamento dei decreti sicurezza in sede di consiglio dei ministri. Ma credo che oggi la situazione in Friuli Venezia Giulia rappresenti un'anomalia assoluta sul panorama italiano, purtroppo in negativo.

Foto credit: Mattia Fonzi

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