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I dati sulle presenze degli ospiti all’interno dei centri rappresentano la fotografia di un momento preciso, il 31 dicembre del 2018 e lo stesso giorno del 2019. È bene tenere presente dunque che nei mesi invernali le presenze nei centri, in particolare quelli di primissima accoglienza, sono più contenute rispetto al periodo estivo. Si tratta quindi di informazioni che da un lato hanno il limite di poter variare nel tempo (seppur limitatamente) a seconda dei flussi di persone, e dall’altro hanno la forza di rappresentare la situazione reale del numero di ospiti di ciascun centro in un determinato momento.

Abbiamo scelto queste due date perché, oltre ad essere il termine dell’anno solare, coincidono con la divisione temporale delle relazioni annuali sul sistema di accoglienza. Con la relazione del 2017, infatti, per la prima volta è stato reso noto lo sviluppo del Sistema informativo di gestione dell’accoglienza (Sga). Tuttavia, i dati contenuti in questo database non sono mai stati resi disponibili in formato aperto, tanto è vero che per ottenerli siamo stati costretti a ricorrere al Tar. In questo senso auspichiamo un cambio di passo del nuovo governo.

Confrontando le due date sopra citate si rileva una riduzione, seppur lieve, della concentrazione di ospiti sia nei comuni interessati dall’accoglienza prefettizia, sia all’interno dei centri. A fine 2018, infatti, nei comuni che ospitavano Cas o centri governativi erano presenti, in media, circa 40 ospiti. A fine 2019 questo dato si è ridotto dell’8,5%.

36,6 gli ospiti presenti in media nei centri di accoglienza in Italia nel 2019.

Nello stesso periodo anche la presenza media dei centri è calata, passando da 13,2 a 12,2 presenze per centro (-7,6%).

Questi cambiamenti possono essere giudicati positivamente. Tuttavia è bene tenere presente che la variazione non è uniforme su tutto il territorio nazionale e che la riduzione del numero di persone mediamente accolte nei centri non è stata frutto di un’esplicita scelta politica.

La ragione di questi cambiamenti è piuttosto collegata alla complessiva riduzione degli ospiti nel sistema di accoglienza. Come vedremo, infatti, i limitati effetti positivi sulla distribuzione delle presenze risultano al contrario frenati dalla normativa in vigore in quel momento: il decreto sicurezza.

Il grafico mostra le presenze totali di ospiti in centri di accoglienza straordinaria (per adulti e minori) e centri di prima accoglienza (cpa e hotspot) attivi al 31 dicembre 2018 e al 31 dicembre 2019.

FONTE: elaborazione openpolis su dati del ministero dell'interno
(ultimo aggiornamento: martedì 23 Febbraio 2021)

-38% il calo di presenze nel sistema di accoglienza tra dicembre 2018 e dicembre 2019.

Si tratta di un calo legato alla riduzione degli arrivi in Italia (soprattutto in conseguenza del memorandum Italia-Libia siglato nel 2017 e rinnovato nel 2020), ma anche all'eliminazione della protezione umanitaria, sancita dal decreto sicurezza, che ha comportato l'espulsione dai centri di molte persone.

Una diminuzione così considerevole delle presenze nei centri avrebbe consentito di ripensare completamente il sistema, privilegiando il modello di accoglienza diffusa. Una scelta possibile e auspicabile che tuttavia avrebbe richiesto un preciso indirizzo politico, in questi anni assente.

I comuni interessati dall'accoglienza

La mancanza di questo indirizzo politico si evince anche dal numero di comuni in cui sono presenti dei centri di accoglienza. Questi infatti sono diminuiti drasticamente, passando da 2.691 (33,8% dei comuni italiani) nel 2018 a 1.822 (23%) dell’anno successivo, con un calo del 32,3%.

La riduzione complessiva delle presenze non implicava necessariamente di limitare, e in maniera così significativa, il numero di comuni in cui sono attivi dei centri.

Si sarebbe potuto decidere di agire in modo selettivo, iniziando auspicabilmente dai territori dove la presenza di ospiti impattava di più sulle comunità accoglienti, chiudendo le strutture più grandi o gestite da soggetti senza competenze adeguate. Centri talmente dispersivi da non garantire un’attenzione specifica alle persone accolte.

La riduzione delle presenze avrebbe potuto consentire un'accoglienza più diffusa sul territorio.

D’altra parte, se il numero di comuni interessati nel 2019 fosse rimasto quello del 2018, la media di ospiti per comune sarebbe nettamente più bassa di quella che si è effettivamente registrata (24,8 rispetto a 36,6 ospiti per comune). In questo modo si sarebbe avuta una maggiore distribuzione sul territorio nazionale, con ricadute positive in termini di integrazione e sul rapporto tra ospiti e popolazione residente.

Anche nel caso del numero di comuni interessati da accoglienza Cas, siamo di fronte a una variabile riscontrata in maniera molto diversa nelle varie zone del paese.

Uno dei modi per misurare quanto è distribuita o concentrata l’accoglienza nei territori di competenza delle singole prefetture è valutare quanti comuni, all’interno della stessa provincia, ospitano dei centri di accoglienza.

Le mappe mostrano le percentuali del numero di comuni interessati dalla presenza di uno o più centri, rispetto al totale dei comuni nella provincia. Sono stati considerati i centri di accoglienza straordinaria (Cas) e i centri di prima accoglienza (Cpa/hotspot) attivi al 31 dicembre 2018 e al 31 dicembre 2019.

FONTE: elaborazione openpolis su dati del ministero dell'interno
(ultimo aggiornamento: martedì 23 Febbraio 2021)

Nel 2018 le province italiane all’interno delle quali venivano interessati più della metà dei comuni, erano 30 su 107 (il 28% del totale). Nel 2019 questo dato è sceso a 18 (16,8%). In entrambi gli anni la provincia dove si è registrata una maggiore distribuzione nei comuni è Reggio Emilia, dove sono stati interessati rispettivamente il 95,2% (nel 2018) e il 92,9% (nel 2019) dei comuni. La provincia emiliana è stata l’unica a superare la soglia del 90% nel 2019. Nello stesso anno, i 257 centri di questo territorio ospitavano in media 4,95 persone per centro, a dimostrazione che il coinvolgimento di un maggior numero di comuni indica una maggiore accoglienza diffusa. Dei 257 centri, infatti, solo 10 superavano i 10 posti e solo uno raggiungeva i 20, capienza massima per la provincia.

Il grafico mostra le percentuali del numero di comuni interessati dalla presenza di uno o più centri, rispetto al totale dei comuni nella provincia. Sono state considerate le 10 province italiane che nel 2019 presentano percentuali maggiori di comuni interessati. Sono stati considerati i centri di accoglienza straordinaria (Cas) e i centri di prima accoglienza (Cpa/hotspot) attivi al 31 dicembre 2018 e al 31 dicembre 2019.

FONTE: elaborazione openpolis su dati del ministero dell'interno
(ultimo aggiornamento: martedì 23 Febbraio 2021)

Analizzando le regioni, invece, nel 2018, quella con più comuni ad ospitare Cas è la Toscana: 210 su 274 (76,6%). Segue l’Emilia Romagna con 243 comuni su 331 (73,4%). In fondo alla classifica figura la Calabria, dove nello stesso anno sono stati interessati solo 45 territori comunali sui 404 presenti in regione (11,1%).

L’anno successivo le regioni più virtuose rimangono Emilia Romagna (181 comuni interessati su 331, il 54,7%) e Toscana (149 su 274, il 54,4%), tuttavia con quote di comuni di molto inferiori a quelle dell’anno precedente. Quattro le regioni che nell’anno hanno visto interessati meno del 10% dei comuni: Valle d’Aosta, Sardegna, Abruzzo e Molise.

Estendendo l’analisi a macro-aree geografiche, emerge come quasi la metà dei comuni del nord-est (49,9%) e del centro (48%) ha ospitato almeno un centro di accoglienza straordinario. L’anno seguente, però, la quota di comuni interessati nelle due aree scende, registrando rispettivamente il 33,9% e il 35,2%, e confermando che l’impatto negativo sull’accoglienza diffusa abbia avuto rilevanza anche in zone dove questo modello era consolidato, come nelle regioni del nord-est.

Gli ospiti nei centri delle province italiane

La ragione per cui è importante analizzare l’accoglienza a livello provinciale riguarda il fatto che sia i centri governativi sia i Cas sono gestiti dalle prefetture. Infatti, come abbiamo visto in precedenti approfondimenti il modo in cui ciascuna prefettura gestisce l’accoglienza può essere molto diverso.

L’area di competenza delle prefetture ricalca sostanzialmente quella delle province, con alcune differenze. Vai a "Chi sono i prefetti"

Sia nel 2018 che nel 2019 la maggiore concentrazione di presenze in accoglienza si trovava nelle 4 province più popolose: Torino (3.924 persone ospitate nel 2018 e 3.346 nel 2019), Milano (3.873 e 2.205), Roma (3.619 e 2.249) e Napoli (3.450 e 2.190). Parliamo rispettivamente di 14.866 persone nel 2018 e 9.990 nel 2019. Tra i due anni il peso percentuale delle presenze in queste province è aumentato, passando dal 13,8% al 15% del totale dei richiedenti asilo in Italia.

Il fatto che nelle aree urbane più popolose si concentri la maggiore presenza di richiedenti asilo e rifugiati rappresenta uno degli elementi più presenti nel dibattito pubblico degli ultimi anni: il rapporto tra ospiti e popolazione residente nelle periferie delle grandi città del paese. Si tratta di un aspetto che nel tempo è stato cavalcato da formazioni politiche di ogni tipo, e in particolare da quelle xenofobe, creando non poche tensioni sociali.

Oltre alle aree metropolitane, le maggiori concentrazioni si sono verificate nella fascia tirrenica laziale e campana, in Lombardia e Veneto. In particolare, in termini assoluti si sono registrati numeri significativi nelle province di Latina (1.908 persone ospitate nel 2018 e 1.316 l’anno successivo) e Caserta (1.874 e 1.202), territori in cui il fenomeno del caporalato rappresenta un rischio non trascurabile per le persone ospitate.

Come hanno dimostrato diverse indagini, infatti, alcune province tirreniche nel Lazio e in Campania, vedono la compresenza di due elementi contestuali: un peso importante del settore agricolo nelle economie locali e un alto “rischio sfruttamento”, grazie anche a una ingente presenza di lavoratori immigrati.

Le prime due mappe mostrano il numero delle persone ospitate nei centri di accoglienza di ogni provincia, nel 2018 e nel 2019. La terza mappa mostra la variazione percentuale delle presenze di ospiti tra il 2018 e il 2019. Sono stati considerati i centri di accoglienza straordinaria (Cas) e i centri di prima accoglienza (Cpa/hotspot) attivi al 31 dicembre 2018 e al 31 dicembre 2019.

FONTE: elaborazione openpolis su dati del ministero dell'interno
(ultimo aggiornamento: martedì 23 Febbraio 2021)

Analizzando la variazione percentuale delle presenze nei centri delle singole province tra il 2018 e il 2019, notiamo che solo 2 di loro hanno registrato una variazione positiva: Reggio Calabria (66,6%) e Bari (11,9%). Nel primo caso, pur assistendo a un considerevole aumento percentuale, in termini assoluti parliamo di numeri modesti (si è passati da 69 a 115 presenze). Nella provincia pugliese, invece, l’aumento si è verificato esclusivamente all’interno del Cpa di Bari Palese (passato da 553 a 655 presenze) mentre l’unico Cas presente in provincia ospitava 32 persone nel 2018, ma è stato chiuso l’anno successivo.

2 su 107 le province che hanno fatto registrare un aumento delle presenze di ospiti nei centri.

Se guardiamo al resto delle province, tutte con una variazione percentuale negativa tra i due anni, quelle che hanno registrato in proporzione il maggior calo delle presenze sono Foggia (-82,98%), Macerata (-75,7%) e Lecce (-74%). Catania è l’unica provincia italiana dove non risultavano centri governativi o straordinari attivi nel 2019.

Emblematico il caso di Foggia, dove si è passati da 329 a 56 presenze, a causa della chiusura di tutti i Cas della provincia e del ridimensionamento del Centro di prima accoglienza di Borgo Mezzanone, nel comune di Manfredonia, passato da 219 a 56 presenze.

La "centralità" dei comuni che ospitano strutture

Disponendo di dati di dettaglio è possibile inserire nuovi indicatori, che siano da stimolo per ulteriori riflessioni, e che potranno in seguito essere oggetto di analisi più approfondite. Un indicatore molto utile riguarda l’ubicazione centrale o periferica dei comuni interessati dalla presenza di Cas.

I comuni italiani vengono divisi in 6 classi, che identificano ogni entità amministrativa (da sola o insieme ai comuni confinanti) in base alla presenza di servizi essenziali (scuola, sanità, trasporti), o alla distanza dal primo comune in cui questi sono presenti.

Le prime tre classi sono comuni polo, polo intercomunali e cintura. Hanno la caratteristica di avere all’interno del proprio territorio comunale, o di quello confinante, la disponibilità di servizi essenziali. Le seconde tre classi rappresentano quelle che vengono definite “aree interne” e sono i comuni intermedi (20 minuti di distanza dal polo più vicino con il mezzo più veloce), periferici (40 minuti) e ultraperiferici (75 minuti).

Le aree interne sono i comuni italiani più periferici, in termini di accesso ai servizi essenziali. Vai a "Che cosa sono le aree interne"

Si tratta di una classificazione che raffigura la “centralità” di un comune rispetto ai servizi essenziali, ma a cascata anche in riferimento ai flussi giornalieri di persone che entrano ed escono dal comune stesso, come per esempio i pendolari.

La presenza di servizi essenziali non è da sola sufficiente per giudicare esclusivamente in modo positivo i comuni polo. In queste aree, infatti, possono verificarsi altre dinamiche sociali, come la dispersione territoriale e l’emarginazione, meccanismi tipici di alcune periferie metropolitane italiane.

Una forte concentrazione di ospiti nelle grandi aree urbane può portare a fenomeni di marginalità sociale.

Una maggiore presenza di richiedenti asilo e rifugiati nelle aree urbane più grandi, può verificarsi in zone del comune periferiche o marginali. Un contesto meno incline ad agevolare un’effettiva inclusione sociale.

In termini quantitativi parliamo di una situazione tutt’altro che trascurabile, considerando che, come abbiamo visto, una parte consistente di richiedenti asilo vive nelle prime 4 aree metropolitane del paese.

Tra il 2018 e il 2019 sono cresciuti di 3 punti percentuali i posti in accoglienza in comuni polo o polo intercomunali, che nel 2019 erano 37.617, pari al 43,1% del totale.

Per quanto riguarda le aree interne (comuni classificati come intermedi, periferici e ultraperiferici), nel 2019 i posti in accoglienza erano 21mila, circa un quarto del totale (24,1%), in leggero calo rispetto all’anno precedente (25,9%, pari a 34mila posti).

I comuni periferici e ultraperiferici - quelli più lontani dai servizi essenziali - sono il 9,6% del totale nel 2018 e il 7,8% l’anno successivo. In termini assoluti, nel 2018 i posti in accoglienza erano 11.005 in comuni periferici e 1.844 in ultraperiferici. Nel 2019 i posti erano rispettivamente 5.577 in comuni periferici e 1.196 in ultraperiferici.

La presenza di centri di accoglienza in comuni periferici può rappresentare anche un elemento positivo, che contribuisce tra l’altro al ripopolamento di alcune aree del paese. Questo però a patto che i progetti di accoglienza prevedano concrete occasioni di integrazione, orientate allo sviluppo del territorio e delle economie locali, oltre a trasporti pubblici per permettere agli ospiti dei centri di raggiungere i comuni polo per accedere ai servizi.

Il grafico mostra la distribuzione percentuale dei posti disponibili per l’accoglienza nei centri, in relazione alle classi dei comuni nei quali questi si trovano. I comuni italiani vengono divisi in 6 classi, che identificano ogni entità amministrativa (da sola o insieme ai comuni confinanti) in base alla presenza di servizi essenziali o alla distanza dal primo comune in cui i servizi sono presenti. Nel grafico, la categoria “polo” racchiude anche la classe “polo intercomunale”, la categoria “altro” racchiude i comuni non identificati in classi e quelli in cui è in corso l’identificazione. Per “posti disponibili” si intende la capienza di ciascun centro, indipendentemente dal fatto che in quel momento i posti siano occupati o meno. Sono state considerate le capienze in centri di accoglienza straordinaria (per adulti e minori) e centri di prima accoglienza (cpa e hotspot) attivi al 31 dicembre 2018 e al 31 dicembre 2019.

FONTE: elaborazione openpolis su dati ministero dell'interno
(ultimo aggiornamento: martedì 23 Febbraio 2021)

Gli importi per la gestione dei centri

Dopo l’emanazione del decreto sicurezza, nel dicembre 2018 è stato ridefinito anche il capitolato di gara per la gestione dei centri, che stabilisce i servizi erogati e il prezzo di questi, distinguendo per categorie di centri. In tutte le categorie di centro i servizi sono ridotti al minimo, con l’esclusione in particolare dei servizi volti all’integrazione. Anche il costo previsto per la gestione del centro viene ridotto in tutte le categorie, ma sono proprio i centri piccoli (unità abitative in accoglienza diffusa) ad essere maggiormente penalizzati.

Si tratta di un tema che, con un approccio diverso basato sull’analisi dei contratti pubblici, abbiamo affrontato anche in precedenti uscite e che ora trova conferma nei dati di dettaglio sui centri di accoglienza tra 2018 e 2019.

Complessivamente si rileva una riduzione del prezzo giornaliero per ciascun ospite che, in media, nei Cas per adulti passa da 35 a 27,2 euro (-22,1%). Se si distingue poi per dimensione del centro si nota come sono proprio i centri piccoli ad aver subito i maggiori tagli (-22,7%, da 35 a 27 euro). Nei centri medi (-20,4%, da 34,8 a 27,7 euro) e ancor più in quelli grandi (-16,0%, da 34,8 a 29,3 euro) la riduzione è consistente, ma inferiore rispetto a quanto avviene per piccoli centri. Questo taglio minore rende maggiormente sostenibile la gestione di centri grandi, un effetto amplificato dalla possibilità di massimizzare gli utili attraverso i grandi numeri e realizzare quindi economie di scala che assicurano un costo inferiore nell’amministrazione della struttura.

Il grafico mostra la variazione percentuale del prezzo giornaliero per ospite, tra il 2018 e il 2019, nelle diverse tipologie di centro. Per “prezzo” si intende l’importo giornaliero per persona, per la gestione dei centri, indicato nei capitolati di gara. Tale importo stabilisce il costo per i servizi erogati. Per “centri piccoli” si intendono i centri con capienza fino a 20 posti, per “centri medi” con capienza da 21 a 50 posti, per “centri grandi” da 51 a 300 posti. Sono stati considerati i centri di accoglienza straordinaria (Cas) per adulti, fino a 300 posti, attivi al 31 dicembre 2018 e al 31 dicembre 2019.

FONTE: elaborazione openpolis su dati ministero dell'interno
(ultimo aggiornamento: martedì 23 Febbraio 2021)

Il capitolato voluto da Matteo Salvini, al contrario del precedente, prevedeva prezzi uniformi su tutto il territorio nazionale, nonostante i costi per alcuni beni cambino significativamente a seconda della zona. Da questo punto di vista il problema più lampante riguardava il prezzo uniforme per l’affitto degli immobili. Un principio che ha messo in seria difficoltà i gestori nel reperire strutture in particolare nelle grandi città e al nord, dove i prezzi sono più elevati. Il governo Conte II ha rivisto questo aspetto dando la possibilità ai prefetti di modificare in questo ambito i prezzi previsti dal capitolato originale. Una modifica che tuttavia è intervenuta a febbraio del 2020, dunque in un momento successivo rispetto a quello analizzato in questo rapporto. Ma oltre a questo intervengono altre differenze, come la strutturazione del sistema in centri di diverse dimensioni, il fatto che la prefettura sia riuscita a imporre i nuovi prezzi o che al contrario sia dovuta ricorrere a delle proroghe.

Le mappe mostrano le variazioni percentuali del prezzo giornaliero per ospite, tra il 2018 e il 2019, nelle diverse tipologie di centro presenti all’interno delle province. Per “prezzo” si intende l’importo giornaliero per persona, per la gestione dei centri, indicato nei capitolati di gara. Tale importo stabilisce il costo per i servizi erogati. Per “centri piccoli” si intendono i centri con capienza fino a 20 posti, per “centri medi” con capienza da 21 a 50 posti, per “centri grandi” da 51 a 300 posti. Sono stati considerati i centri di accoglienza straordinaria (Cas) per adulti, fino a 300 posti, attivi al 31 dicembre 2018 e al 31 dicembre 2019.

FONTE: elaborazione openpolis su dati ministero dell'interno
(ultimo aggiornamento: martedì 23 Febbraio 2021)

È interessante notare ad esempio come nel territorio della città metropolitana di Torino non si registra quasi una differenza di prezzo tra 2018 e 2019. Al contrario a Milano si assiste in media a una drastica riduzione dei prezzi giornalieri per persona, da 35,4€ nel 2018 a 19,3 nel 2019 (-45,5%).

Nel 2019, in effetti, il sistema era ancora in trasformazione. Alcuni centri nati con le regole precedenti al decreto sicurezza erano ancora attivi, magari anche grazie a delle proroghe. In molti casi tuttavia hanno dovuto ricontrattare il prezzo con la prefettura, come accaduto a Trieste.

Per evitare questo effetto distorsivo si può osservare la variazione di prezzo mettendo a confronto da un lato i centri che, attivi nel 2018, sono stati chiusi nel 2019 (spesso perché i gestori non sono stati disposti a proseguire con le nuove regole); e dall’altro, i centri aperti per la prima volta nel 2019, con le regole del decreto sicurezza e del relativo capitolato.

In questo modo possiamo confrontare delle strutture che si basano sul modello del decreto sicurezza con delle strutture che si basano su quello precedente, escludendo situazioni “ibride” che si verificano nel passaggio da una normativa a quella successiva. In questo caso la riduzione di prezzo è ancora più evidente e raggiunge in media il 30,1% (da 35 euro nel 2018 a 24,4 nel 2019).

Quando si parla di importi è bene tenere presente la differenza tra una semplice spesa e un investimento.

La riduzione dei costi per l’accoglienza straordinaria, in particolare per quella diffusa, e l’eliminazione dei servizi di integrazione nei Cas, fanno emergere il sospetto che questi importi siano considerati una semplice spesa.

Sospetto che trova conferma in molte delle politiche portate avanti sia dal secondo governo Conte che dagli esecutivi precedenti. Anche la scelta di prevedere un doppio livello di servizi nel Sai esprime chiaramente l’intenzione di non investire fin da subito nelle persone che arrivano nel nostro paese e che in grande maggioranza vi rimangono, indipendentemente dall’esito della loro domanda di asilo.

Al contrario, puntare fin da subito all’integrazione, attraverso i modelli che si sono dimostrati più efficaci (l’accoglienza integrata e diffusa) dovrebbe essere considerato un investimento. Un costo sostenuto oggi con l’obiettivo di velocizzare il processo di accompagnamento utile a rendere le persone richiedenti asilo e rifugiate, economicamente autonome e socialmente produttive, nel più breve tempo possibile. Tagliare i costi su progetti di integrazione può apparire un risparmio, ma si traduce in un costo netto che non produce effetti positivi nel medio e nel lungo periodo. Un costo netto che era stato anche in parte quantificato dall’Anci in un rincaro annuo pari a 280 milioni sulle casse degli enti locali.

La capienza media dei centri di accoglienza

Fino ad ora ci siamo occupati delle presenze di ospiti all’interno dei centri fotografate al 31 dicembre del 2018 e del 2019.

Di fronte alle fluttuazioni delle presenze sembra utile chiarire il quadro riferendosi alla capienza dei centri: un dato più stabile che corrisponde al numero di posti disponibili all’interno di ciascun centro, indipendentemente dal fatto che in quel momento siano occupati o meno.

Nel 2018 il centro con il maggior numero di posti in accoglienza era il Cara di Mineo, in provincia di Catania (2.400 posti), seguito da altri quattro centri di prima accoglienza (Cpa): Isola di Capo Rizzuto, in provincia di Crotone (1.216 posti), Bari Palese (774), Castelnuovo di Porto, vicino Roma (650) e Borgo Mezzanone, in provincia di Foggia (636).

L’anno seguente sono venuti meno due megacentri: prima il Cara di Castelnuovo di Porto, con una chiusura che molto ha fatto discutere, e poi quello di Mineo, gradualmente svuotato nel mese di luglio, con modalità tutt’altro che chiare e dignitose.

Nei due anni considerati, i posti (in strutture governative e straordinarie) in ciascun centro erano, in media, 16,4 nel 2018 e 15,9 nel 2019, con un calo tra i due periodi del 3%.

-3% è il calo della capienza media per centro tra il 31 dicembre 2018 e il 31 dicembre 2019.

Tuttavia anche in questo caso si tratta di una media, che non coglie le differenti realtà locali. Infatti nella maggioranza delle province italiane (65) la capienza media dei centri è in realtà aumentata.

In Centri d'Italia: il sistema a un bivio abbiamo visto come in molti territori il fenomeno dei bandi deserti abbia portato notevoli problemi nell’assegnazione dei nuovi contratti. Problemi che si manifestavano in particolare per i centri di piccole dimensioni, costituiti da singole unità abitative organizzate in rete. In quell’occasione avevamo fatto emergere come almeno 34 prefetture avessero incontrato difficoltà ad assegnare i contratti, trovandosi in molti casi costrette a prorogare i contratti precedenti. Quattordici prefetture in particolare hanno dovuto riproporre almeno 3 bandi per l’accoglienza. Tra queste, in 11 si riscontra nel 2019 un aumento della capienza media dei centri rispetto all’anno precedente. Un aumento che varia da un lieve +0,5% di Varese fino a un consistente +19,7% di Savona.

La mappa mostra la variazione percentuale, tra 2018 e 2019, dei posti disponibili in media nei centri di accoglienza straordinaria in ogni provincia. Per “posti disponibili” si intende la capienza di ciascun centro, indipendentemente dal fatto che in quel momento i posti siano occupati o meno. Sono stati considerati i posti disponibili in centri di accoglienza straordinaria (per adulti e minori) e centri di prima accoglienza (cpa e hotspot) attivi al 31 dicembre 2018 e al 31 dicembre 2019.

FONTE: elaborazione openpolis su dati ministero dell'interno
(ultimo aggiornamento: martedì 23 Febbraio 2021)

A questi poi si aggiungono altri casi emblematici. A Siena, ad esempio, si registra un aumento della capienza media per centro da 12,1 persone nel 2018 a 17,8 nel 2019. Allo stesso modo, a Milano, nel 2018 ogni struttura aveva in media 19,5 posti e l’anno successivo ben 49.

In alcuni casi poi i dati riportano situazioni particolari, come quella di Foggia. Come abbiamo visto la chiusura di tutti i Cas nella provincia di Foggia ha ridotto notevolmente il numero di presenze. Tuttavia rimanendo aperto un unico centro governativo da 636 posti la capienza media è aumentata del 293%.

Nel 2018, tra le prime 30 province per capienza media dei centri solo una si trova al nord.

Se ci limitiamo ad analizzare i Cas, nel 2018 era Sassari la provincia con centri in media più grandi: 105,2 posti per centro, per un totale di 25 centri di cui il più piccolo aveva una capienza di 30 posti e il più grande di 248. La provincia sarda era seguita da altre 8 del mezzogiorno (Catanzaro, Brindisi, Bari, Siracusa, Trapani, Foggia, Campobasso e Salerno). Tra le prime 30 province per capienza media dei centri una sola si trovava al nord, Bolzano, dove erano presenti 29 centri con capienze che andavano da 12 a 190 posti. Uno squilibrio, quello tra nord e sud, che conferma quanto abbiamo rilevato negli anni scorsi, analizzando i contratti.

Nel 2019, invece, sono salite a 4 le province con, in media, più di 100 posti per l’accoglienza in ogni centro: Brindisi (133), Sassari (119,3), Livorno (117,2) e Vibo Valentia (108,7). Nel brindisino il dato medio era frutto di soli 3 centri, che tuttavia avevano una capienza di 50, 99 e 250 posti.

Il grafico mostra il numero medio di posti disponibili per centro di accoglienza, nel 2018 e nel 2019, divisi per provincia. Per “posti disponibili” si intende la capienza di ciascun centro, indipendentemente dal fatto che in quel momento i posti siano occupati o meno. Sono stati analizzati i posti disponibili in centri di accoglienza straordinaria (Cas) attivi al 31 dicembre 2018 e al 31 dicembre 2019. Sono state considerate le 10 province italiane che nel 2019 presentano la capienza media più elevata.

FONTE: elaborazione openpolis su dati ministero dell'interno
(ultimo aggiornamento: martedì 23 Febbraio 2021)

I centri chiusi tra 2018 e 2019

In questi anni la riduzione del numero di posti all’interno del sistema di accoglienza (passati da 133.552 nel 2018 a 87.201 nel 2019) ha portato anche a una considerevole diminuzione del numero di centri attivi, che sono passati da 8.145 a 5.482.

Guardando il quadro a livello nazionale, nel periodo considerato, la chiusura di oltre 2mila 600 centri non ha portato a una variazione considerevole della distribuzione di posti nelle strutture di diverse dimensioni. La quota di posti in strutture che possono accogliere fino a 300 persone è leggermente calata, passando dal 6,7% al 4,8% del totale. Lo stesso dato per i centri di piccole dimensioni invece è leggermente aumentato, passando dal 37% al 39%.

Per “posti disponibili” si intende la capienza di ciascun centro, indipendentemente dal fatto che in quel momento i posti siano occupati o meno. Per “centri piccoli” si intendono i centri con capienza fino a 20 posti, per “centri medi” con capienza da 21 a 50 posti, per “centri grandi” da 51 a 300 posti, per “centri molto grandi” oltre i 300 posti. Sono stati considerati i centri di accoglienza straordinaria (Cas) e centri di prima accoglienza (Cpa/hotspot) attivi al 31 dicembre 2018 e al 31 dicembre 2019.

FONTE: elaborazione openpolis su dati del ministero dell'interno
(ultimo aggiornamento: martedì 23 Febbraio 2021)

Dai dati aggregati a livello nazionale non emerge una riduzione della quota di posti in centri piccoli, anzi. La crescita dei posti nei grandi centri, che abbiamo rilevato in alcuni casi su scala locale, non risulta confermata, in media, su scala nazionale.

Si tratta indubbiamente di una buona notizia. La media tuttavia ci restituisce un'immagine piatta che non deve farci dimenticare come in molte e importanti realtà locali il fenomeno della concentrazione in grandi strutture si è invece verificato. Come nel caso di Roma.

Anche rimanendo su un’analisi su scala nazionale, però, è importante rilevare come, in valori assoluti, sono proprio i centri piccoli ad aver perso più posti. Questi, infatti, sono passati da 49.487 a 34.005.

-15.482 posti in accoglienza disponibili nei centri di piccole dimensioni, tra il 2018 e il 2019.

Per “posti disponibili” si intende la capienza di ciascun centro, indipendentemente dal fatto che in quel momento i posti siano occupati o meno. Per “centri piccoli” si intendono i centri con capienza fino a 20 posti, per “centri medi” con capienza da 21 a 50 posti, per “centri grandi” da 51 a 300 posti, per “centri molto grandi” oltre i 300 posti. Sono stati considerati tutti i centri di accoglienza straordinaria (Cas) e centri di prima accoglienza (Cpa/hotspot) attivi al 31 dicembre 2018 e al 31 dicembre 2019.

FONTE: elaborazione openpolis su dati del ministero dell'interno
(ultimo aggiornamento: martedì 23 Febbraio 2021)

Come abbiamo visto rispetto alla capienza media dei centri, queste dinamiche cambiano in modo significativo se si passa dal piano nazionale all’analisi dei territori.

A Bologna, ad esempio, nel 2018 erano 622 i posti attivi in centri di piccole dimensioni. Nel 2019 invece ne erano rimasti solo 299 (-51,9%). Per i centri medi e grandi invece la riduzione non è stata così significativa (da 523 a 386 posti, -26,2%).

Ancora più evidente il caso di Torino dove nel 2019 i posti in piccole strutture sono diminuiti (-119 posti) mentre quelli in centri medi e grandi sono addirittura aumentati (rispettivamente +94 e +43 posti).

Al contrario, in Sicilia sono proprio queste strutture ad aver ridotto maggiormente i posti a disposizione. A Catania in particolare, nel 2018 era presente un unico centro, il Cara di Mineo, da 2.800 posti, centro chiuso l’anno seguente.

D'altronde, come abbiamo avuto modo di raccontare in La continuità del modello siciliano, in questa regione l’accoglienza diffusa non ha mai preso veramente piede. Non c’è dunque da stupirsi se con la riduzione delle presenze complessive nel sistema siano stati chiusi alcuni grandi centri.

Per ogni provincia è indicato il colore corrispondente alla categoria di centro che ha subito la maggiore riduzione di posti in accoglienza, in termini assoluti. Per “posti in accoglienza” si intende il numero di posti disponibili all’interno di ciascun centro, indipendentemente dal fatto che in quel momento siano occupati o meno. Per “centri piccoli” si intendono i centri con capienza fino a 20 posti, per “centri medi” con capienza da 21 a 50 posti, per “centri grandi” da 51 a 300 posti, per “centri molto grandi” oltre i 300 posti. Sono stati considerati tutti i centri di accoglienza straordinaria (Cas) e centri di prima accoglienza (Cpa/hotspot) attivi al 31 dicembre 2018 e al 31 dicembre 2019.

FONTE: elaborazione openpolis su dati del ministero dell'interno
(ultimo aggiornamento: martedì 23 Febbraio 2021)

Infine è sempre bene tenere presente che nel 2019 il sistema era ancora in transizione. Quando avremo a disposizione i dati sul 2020 quindi potremmo trarre delle conclusioni definitive, verificando una volta per tutte se il decreto sicurezza ha portato a una maggiore concentrazione nelle grandi strutture anche su scala nazionale. Il fenomeno infatti è certamente presente in molte realtà locali in cui le prefetture si sono trovate strette tra l’esigenza di reperire posti in accoglienza e norme di difficile applicazione. Se applicate integralmente, queste ultime hanno spesso l’effetto di sacrificare le forme di accoglienza più dignitose e sostenibili, sia per le persone accolte che per le comunità ospitanti.

Di fronte a un calo di presenze così rilevante si sarebbe potuto intervenire in modo più decisivo sulla distribuzione dell'accoglienza.

In ogni caso resta il fatto che, con un calo delle presenze di queste proporzioni, si sarebbe potuto intervenire in maniera molto più incisiva, se solo ci fosse stata la chiara volontà politica di seguire le indicazioni delle relazioni annuali sullo stato del sistema di accoglienza (o quelle della commissione di inchiesta parlamentare sull’accoglienza) e quindi privilegiare l’accoglienza diffusa. In questo caso, infatti, sarebbe bastato lasciare in funzione i centri piccoli che erano già attivi nel 2018 e chiudere quelli più grandi.

Se gli oltre 49mila posti attivi in centri di piccole dimensioni nel 2018 (37% del totale) fossero rimasti tutti in funzione nel 2019, si sarebbe fatto un enorme passo avanti verso l’accoglienza diffusa. In questo modo infatti i piccoli centri avrebbero coperto ben oltre la metà dei posti necessari.

56,7% la percentuale di posti in centri di piccole dimensioni che sarebbe stata raggiunta nel 2019 se fossero rimasti aperti tutti i piccoli centri attivi nel 2018.

 

Un risultato che sarebbe stato possibile con pochissimo sforzo e che invece si è evitato a causa di una scelta politica insita nel decreto sicurezza: smettere di incentivare lo sviluppo dell’accoglienza diffusa e tagliare i servizi per l’integrazione, lasciando che le persone prive di mezzi scivolino verso una condizione di soggiorno irregolare e di estrema marginalità sociale.

Foto credit: Francesco Bellina / Cesura

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