Solo con opportunità educative eque si tutelano i diritti dei minori #conibambini

Dopo la pandemia, la povertà è sempre più un fenomeno multidimensionale. Oltre alla questione economica, è cruciale l’accesso a opportunità e servizi per tutti i minori. Un diritto oggi non sempre tutelato sull’intero territorio nazionale e che coinvolge il ruolo della comunità educante.

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Il 10 dicembre ricorre la giornata mondiale dei diritti umani. Dal punto di vista di bambini e ragazzi, tutelarli significa garantire un accesso equo all’istruzione e, in generale, alle opportunità educative e sociali.

Non parliamo solo dell’istruzione in senso formale, impartita tra le mura scolastiche. Ma dell’insieme di esperienze formative, culturali e sociali che sono fondamentali per la crescita. E che, in definitiva, possono contrastare la povertà educativa.

La povertà educativa è la condizione in cui un bambino o un adolescente si trova privato del diritto all'apprendimento in senso lato, dalle opportunità culturali e educative al diritto al gioco. Povertà economica e povertà educativa si alimentano a vicenda. Vai a "Quali sono le cause della povertà educativa"

Come sottolineato dalle Nazioni unite in occasione dell’ultima giornata mondiale, ciò è ancora più importante nel contesto che stiamo vivendo. L’impatto delle crisi finanziarie e pandemica succedutesi negli ultimi anni ha reso la povertà un fenomeno sempre più multidimensionale.

Essere poveri non è solo una questione monetaria, ma anche di mancato accesso agli strumenti che consentono di sottrarsi all’esclusione sociale.

Successive financial and health crises have had long-lasting and multidimensional impacts on millions of young people. Unless their rights are protected, including through decent jobs and social protection, the “Covid generation” runs the risk of falling prey to the detrimental effects of mounting inequality and poverty.

L’accesso alle opportunità educative non è garantito allo stesso modo sul territorio nazionale.

Per le generazioni più giovani, segnate dall’emergenza Covid, garantire l’accesso a questo tipo di opportunità significa anche tutelarne i diritti. Per farlo è necessario un approccio olistico alla povertà minorile, che miri alla salvaguardia dell’intero percorso di crescita del minore. Nell’accesso all’istruzione, ma anche nella possibilità di fare sport, di usufruire di esperienze culturali, di disporre di luoghi dove trovarsi con gli amici.

Questi diritti non sempre sono tutelati sull’intero territorio nazionale. In molti casi le aree più deprivate in termini di servizi e opportunità sono anche quelle con maggiore povertà economica e livelli di istruzione più bassi.

La povertà minorile nel contesto post-pandemico

Negli ultimi anni, la povertà assoluta è cresciuta nel nostro paese e con essa si sono allargati anche i divari tra le generazioni.

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Con la pandemia, la quota di bambini e ragazzi in povertà assoluta ha superato il 14%. Si tratta di un record nella serie storica, ma il fenomeno nelle sue tendenze non è affatto nuovo. Da circa 10 anni i minori e le loro famiglie sono la fascia di popolazione più spesso in povertà.

Una persona si trova in povertà assoluta quando vive in una famiglia che non può permettersi l’insieme dei beni e servizi che, nel contesto italiano, sono considerati essenziali per mantenere uno standard di vita minimamente accettabile.

FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Istat
(ultimo aggiornamento: mercoledì 15 Giugno 2022)

Ciò è stato sicuramente l’esito delle crisi economiche che si sono succedute negli ultimi anni, a partire dalla recessione del 2008. Tuttavia i dati segnalano anche il ruolo della possibilità di accesso all’istruzione, e in generale alle opportunità educative, nell’alimentare tali dinamiche. Nel corso dell'ultimo decennio, il tasso di occupazione dei giovani che hanno lasciato la scuola prima del tempo è crollato.

FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Eurostat e Istat
(ultimo aggiornamento: giovedì 23 Dicembre 2021)

Un dato ancora più grave per il nostro paese, la cui caratteristica - nel contesto europeo - è proprio una maggiore “ereditarietà” nei livelli di istruzione. In Italia circa due terzi dei figli di chi non ha il diploma abbandonano a loro volta, contro una media Ocse inferiore di oltre 20 punti.

2/3 dei bambini con i genitori senza diploma restano con lo stesso livello d'istruzione, rispetto a una media Ocse del 42%.

Questo ha un impatto sull’ascensore sociale: nascere in una famiglia povera, con meno istruzione, significa spesso essere condannati a restare in quella condizione.

Aree interne e mezzogiorno indietro su abbandoni e apprendimenti

Ciò ha forti connotazioni territoriali. Le aree del paese con meno adulti diplomati tendono a coincidere con quelle con più abbandoni precoci, una relazione visibile tanto a livello regionale quanto in quello locale. Si tratta generalmente anche dei territori dove si registrano i livelli di apprendimento più bassi.

Ogni capoluogo è stato classificato in base a due parametri.

Il primo è il punteggio nelle prove Invalsi di italiano (a.s. 2020/21) al grado 2 (II primaria). Ciascun capoluogo è stato classificato in due categorie: competenze medio-basse (se il dato è inferiore o uguale alla mediana dei capoluoghi); competenze medio-alte (se superiore alla mediana).

Il primo è il punteggio nelle prove Invalsi di italiano (a.s. 2020/21) al grado 13 (V superiore). Anche in questo caso abbiamo suddiviso ciascun capoluogo in due categorie (competenze medio-alte; competenze medio-basse) con lo stesso criterio.

FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Invalsi
(ultimo aggiornamento: giovedì 2 Settembre 2021)

I risultati nei test Invalsi sono sistematicamente peggiori nelle città del sud rispetto a quelle del nord e nelle aree interne rispetto ai centri maggiori.

Le aree interne sono i territori del paese più distanti dai servizi essenziali (quali istruzione, salute, mobilità). Parliamo di circa 4.000 comuni, con 13 milioni di abitanti, a forte rischio spopolamento (in particolare per i giovani), e dove la qualità dell'offerta educativa risulta spesso compromessa. Vai a "Che cosa sono le aree interne"

Questa tendenza si innesta su profonde disparità nell'offerta di servizi, opportunità, esperienze educative e sociali. I territori con più abbandoni e bassi apprendimenti spesso infatti coincidono con quelli con minore dotazione di servizi e opportunità educative.

Le troppe opportunità che mancano nei territori deprivati

Le disuguaglianze nelle opportunità educative cominciano nei primi anni di vita, con la possibilità di accesso agli asili nido, meno diffusi proprio nei territori che registrano un livello più basso di apprendimenti.

In primo luogo nelI'Italia meridionale. In 3 grandi regioni del mezzogiorno, l'offerta di posti nido supera di poco i 10 posti ogni 100 bambini: Sicilia (12,5), Calabria (11,9) e Campania (11). Lo stesso vale per le aree interne: nei comuni polo l’offerta di servizi prima infanzia raggiunge i 33 posti ogni 100 bambini, in quelli periferici e ultraperiferici la quota mediamente non arriva al 20%.

FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Istat
(ultimo aggiornamento: giovedì 14 Luglio 2022)

Sono spesso gli stessi territori che, nella scuola dell'obbligo, vedono una minore diffusione dei servizi scolastici. A partire dalle mense, fondamentali per garantire l’estensione di attività educative ed extrascolastiche.

Non a caso, la diffusione del tempo pieno nelle scuole risente dello stesso tipo di divari. In primo luogo quello tra centro-nord e sud. Tra le regioni a statuto ordinario, la quota di classi delle primarie a tempo pieno supera il 50% nel Lazio, Lombardia, Piemonte e Toscana. Mentre si trovano tutte nel mezzogiorno quelle in cui la quota non raggiunge il 25%: Calabria (21,5%), Puglia (16,8%), Abruzzo (16%), Campania (13,2%) e Molise (5,6%).

Il dato è disponibile solo per le regioni a statuto ordinario.

FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Sose
(ultimo aggiornamento: lunedì 15 Marzo 2021)

In secondo luogo, riemerge la spaccatura tra città maggiori e piccoli centri. Nei comuni con oltre 100mila abitanti il 60,4% delle classi delle elementari sono a tempo pieno, mentre in quelli con meno di 1.000 residenti la quota scende sotto al 15%.

14,5% le classi delle scuole primarie a tempo pieno nei comuni tra 500 e 999 abitanti. In quelli con meno di 500 residenti la quota scende al 6,5%.

Oltre alla mancanza di servizi educativi, si tratta spesso dei territori in cui - fuori dall'orario scolastico - sono più carenti luoghi e strutture dove fare attività sportive. E in generale gli spazi dedicati ai minori, dai parchi ai centri di aggregazione. Una carenza di opportunità che ancora una volta è ricorrente soprattutto nel mezzogiorno, nelle periferie urbane, nelle aree interne.

I centri di aggregazione / sociali, da glossario Istat, sono definiti come luoghi “nei quali promuovere e coordinare attività ludico-ricreative, sociali, educative, culturali e sportive, per un corretto utilizzo del tempo libero. Per utenti si intende il numero di persone che hanno beneficiato del servizio durante l’anno”.

Nei dataset Istat, i dati sui centri di aggregazione riguardano due aree tematiche: “famiglia e minori” e “anziani”. Ai fini dell’analisi sono stati isolati solo gli utenti relativi all’area “famiglia e minori” e messi in relazione con il numero di residenti 0-17 in ciascun territorio. Dati non disponibili per Sud Sardegna.

FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Istat
(ultimo aggiornamento: lunedì 31 Dicembre 2018)

Il contributo essenziale della comunità educante

In questo quadro, appare prioritario un investimento educativo sulla scuola come baricentro della rete territoriale di soggetti che già oggi, in ciascun territorio, lavorano in ambiti diversi al contrasto della povertà educativa: insegnanti, famiglie, presidi sociali, culturali ed educativi.

Dalle strutture sportive alle biblioteche, dai musei alle librerie, dai cinema ai doposcuola. Solo alleanze educative di questa natura possono intervenire sulle cause - a tutto tondo - del fenomeno.

Scarica, condividi e riutilizza i dati

I contenuti dell'Osservatorio povertà educativa #conibambini sono realizzati da openpolis con l'impresa sociale Con i Bambini nell'ambito del fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Mettiamo a disposizione in formato aperto i dati utilizzati nell'articolo. Li abbiamo raccolti e trattati così da poterli analizzare in relazione con altri dataset di fonte pubblica, con l'obiettivo di creare un'unica banca dati territoriale sui servizi. Possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione. I dati relativi ad asili nido e servizi prima infanzia sono di fonte Istat, mentre quelli relativi alla percentuale di classi a tempo pieno nelle regioni a statuto ordinario sono di fonte Sose.

Foto: Marisa Howenstine (unsplash) - Licenza

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