La crisi Ucraina e la gestione emergenziale dell’accoglienza Mappe del potere

In Italia già esistono due modalità di accoglienza per i migranti: una ordinaria, minoritaria, e una straordinaria, maggioritaria. Nonostante questo con la crisi Ucraina viene creato un ulteriore livello, emergenziale, che si sovrappone agli altri due.

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La guerra che da fine febbraio sta sconvolgendo l’Ucraina ha avuto tra le sue molte tragiche conseguenze anche quella di spingere milioni di persone a fuggire dal paese. Sebbene l’Italia non sia tra gli stati più esposti a questo fenomeno sono comunque molte le persone in fuga dal conflitto che stanno arrivando nel nostro paese.

73.898 le persone arrivate in Italia dall’Ucraina in fuga dal conflitto al 28 marzo 2022.

Trovandosi di fronte a una situazione così complessa il governo ha quindi deciso di attivare la protezione civile, attraverso meccanismi emergenziali, piuttosto che affidarsi al sistema previsto dalle norme vigenti.

Infatti nonostante dal 2015 siano intervenute 3 riforme a modificare la struttura del sistema di accoglienza l’Italia si è trovata anche questa volta impreparata. Eppure negli ultimi anni il numero di richiedenti asilo e rifugiati si era ridotto in maniera significativa, fornendo la possibilità di ristrutturare per intero il modello di accoglienza. Un’opportunità che però non è stata colta, lasciando che i molti limiti del modello attuale si manifestassero proprio nel corso di una nuova situazione di emergenza.

Un nuovo stato di emergenza

Il 25 febbraio, il giorno dopo l’inizio della guerra in Ucraina, il consiglio dei ministri ha varato due primi importanti provvedimenti. Innanzitutto è stato approvato il decreto legge 14/2022 intitolato “Disposizioni urgenti sulla crisi in Ucraina” e poi è stato deliberato lo stato di emergenza per intervento all’estero, attribuendo le relative competenze alla protezione civile.

Lo stato di emergenza è una condizione giuridica che può essere attivata al verificarsi o nell’imminenza di eventi eccezionali nel caso si renda necessario agire con urgenza e con poteri straordinari. Vai a "Che cos’è lo stato di emergenza"

Tre giorni più tardi poi il consiglio dei ministri si è riunito di nuovo. Questa volta la delibera ha disposto lo stato di emergenza interno per assicurare soccorso ed assistenza alla popolazione ucraina sul territorio nazionale. Anche in questo caso dunque sono stati attribuiti poteri straordinari al capo della protezione civile, affinché intervenga anche in deroga a ogni disposizione vigente.

Per l’organizzazione ed attuazione degli interventi urgenti di soccorso e assistenza alla popolazione proveniente dal teatro operativo, da effettuare nella vigenza dello stato di emergenza […] si provvede con ordinanze, emanate dal Capo del Dipartimento della protezione civile, in deroga a ogni disposizione vigente e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico

Nei giorni successivi il capo della protezione civile Fabrizio Curcio ha quindi emanato una serie di ordinanze e di decreti. Atti con cui è stata definita una nuova struttura emergenziale per la gestione dei rifugiati, del tutto sovrapposta, anche se in buona parte intersecata, a quella prevista dalla normativa vigente.

Il sistema “ordinario”

Come abbiamo avuto modo di raccontare in numerose occasioni in Italia nel sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati vige ormai da molti anni una struttura duale.

In Italia l’accoglienza è strutturata su due binari paralleli. Il primo, ordinario, è il Sistema di accoglienza e integrazione (Sai). Il secondo è invece composto dai centri di accoglienza straordinaria (Cas). Vai a "Come funziona l’accoglienza dei migranti in Italia"

Stando alla legge il sistema dovrebbe basarsi sul Sistema di accoglienza e integrazione (Sai). Questo infatti, come dice il nome, è costruito per fornire agli ospiti gli strumenti necessari a una rapida integrazione nel tessuto sociale e lavorativo italiano. Un modello che vede coinvolti direttamente gli enti locali attraverso progetti che, nella maggior parte dei casi, sono strutturati secondo modelli di accoglienza diffusa sul territorio.

Solo nel caso non siano presenti posti nel sistema ordinario è poi prevista la possibilità di attivare dei centri di accoglienza straordinaria (Cas).

Nel caso in cui è temporaneamente esaurita la disponibilità di posti all’interno dei centri di cui all’articolo 9 (Sai n.d.r.), a causa di arrivi consistenti e ravvicinati di richiedenti, l’accoglienza può essere disposta dal prefetto, sentito il Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’interno, in strutture temporanee, appositamente allestite.

La norma in effetti inquadra in maniera molto precisa la situazione in cui potrebbe rivelarsi necessario attivare questo tipo di strutture, ovvero in caso di arrivi consistenti e ravvicinati di richiedenti. Una previsione che sembra descrivere in modo preciso la situazione che è scaturita dall’emergenza Ucraina.

Non a caso la norma prevede che questi centri siano gestiti direttamente dalle prefetture, ovvero strutture che da un lato sono articolate su tutto il territorio nazionale, ma dall’altro fanno capo in modo verticistico direttamente al governo e in particolare al ministero dell’interno.

Dalla teoria a una pratica che non funziona

Le disposizioni di legge tuttavia sono state attuate in questi anni solo sulla carta. Il sistema ordinario infatti è sempre rimasto largamente minoritario. I centri di accoglienza straordinaria al contrario non hanno mai rappresentato meno dei 2/3 dell’intero sistema, raggiungendo picchi dell’86%.

65,5% delle persone presenti nei centri di accoglienza sono ospitate nei Cas (al 28 febbraio 2022).

I Cas hanno svolto impropriamente un ruolo ordinario e ora si sono dimostrati inadatti allo scopo per cui sono stati creati.

È evidente dunque come il Sai non sia mai riuscito a rappresentare effettivamente il sistema ordinario. Tuttavia il fatto che i Cas svolgano un ruolo diverso da quello per cui sono stati creati, non vuol dire necessariamente che non siano in grado di adempiere alla loro funzione originaria. Ovvero quella di essere attivati rapidamente in caso di necessità. La dichiarazione dello stato di emergenza e i successivi provvedimenti che ne sono derivati, hanno tuttavia espresso chiaramente anche questo fallimento.

Le strutture per richiedenti asilo e rifugiati.

Esplora il sistema di accoglienza.
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Una nuova catena di comando

Il 4 marzo Fabrizio Curcio ha emanato la prima ordinanza in merito all’accoglienza dei rifugiati ucraini, a cui ne sono seguite altre nei giorni successivi. Con questi atti sono stati presi diversi provvedimenti che hanno definito una nuova catena di comando per la gestione dell’accoglienza. Le strutture istituite sono state essenzialmente tre: il comitato di coordinamento, la struttura di coordinamento nazionale e la direzione di comando e controllo (DiComaC).

Il DiComaC è una struttura che può essere attivata in caso di necessità per svolgere attività di supporto tecnico, operativo, organizzativo, logistico ed amministrativo. La struttura di coordinamento nazionale invece riunisce componenti e strutture operative del servizio nazionale di protezione civile, oltre che gli ordini nazionali competenti in materia.

Il comitato di coordinamento è invece l’unico organo tra quelli identificati che riunisce anche profili che non rientrano strutturalmente nel sistema di protezione civile. Al contrario al suo interno si trovano figure diverse che in buona parte dei casi detengono, in situazioni ordinarie, competenze in materia di immigrazione e accoglienza.

Il comitato di coordinamento

La struttura è infatti composta dallo stesso Curcio, in qualità di capo della protezione civile, ma anche dal capo del dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, dal direttore della direzione centrale dell’immigrazione e della polizia di frontiera, dal coordinatore tecnico della commissione protezione civile della conferenza delle regioni e dal segretario generale dell’Anci, l’associazione dei comuni italiani.

FONTE: openpolis
(ultimo aggiornamento: mercoledì 23 Marzo 2022)

Se da un lato può stupire l'assenza in quest'organo del ministro dell'interno non desta sorpresa invece che vi sia stata inclusa Francesca Ferrandino. La prefetta Ferrandino infatti è il capo del dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione e in questa fase è stata anche nominata commissario delegato per i minori stranieri non accompagnati. D'altronde nel contesto ordinario è a lei che compete la gestione di tutta l'accoglienza prefettizia, ovvero i Cas, i centri di prima accoglienza, ma non solo. Il Sai infatti è gestito dal servizio centrale una struttura che fa capo da un lato proprio al ministero dell'interno e dall'altro all'Anci.

Non stupisce quindi, ed è un dato positivo, che anche l'associazione dei comuni italiani sia stata coinvolta. Meno scontata invece era la presenza di un rappresentante della conferenza delle regioni, del capo della polizia di frontiera e dello stesso capo della protezione civile.

Affidare alla protezione civile il coordinamento dell'emergenza vuol dire ammettere che il ministero dell'interno non era nelle condizioni di gestire la situazione.

La decisione d'inserire in questa materia la protezione civile, attribuendogli poteri speciali e di coordinamento su tutti gli altri componenti, dimostra che il sistema previsto dalle leggi vigenti, che vede al centro proprio il ministero dell'interno, non è stato considerato in grado di gestire la situazione.

Il coinvolgimento del capo della polizia di frontiera invece sembra più che altro esprimere il cambio di prospettiva geografica. In passato infatti, quando gli arrivi provenivano perlopiù dal mare era più facile vedere coinvolta la guardia costiera. Si tenga presente a questo proposito che a tutt'oggi il cruscotto statistico giornaliero del ministero dell'interno considera solo gli sbarchi via mare. Un limite che è stato sempre presente ma che in questa fase assume una portata del tutto nuova.

Il ruolo delle regioni

Per nulla scontata infine è stata l'inclusione un rappresentante delle regioni nel comitato di coordinamento. Nello specifico la persona individuata è Maurizio Fugatti, presidente della provincia autonoma di Trento. In seno alla conferenza delle regioni infatti è proprio la provincia di Trento ad avere il compito di coordinare la commissione protezione civile.

Ma d'altronde il ruolo delle regioni definito dall'ordinanza non si limita a questo. L'atto infatti prevede anche la nomina dei presidenti di regione a commissari delegati. Un ruolo a cui corrisponde il compito di coordinare i rispettivi sistemi di protezione civile negli interventi di soccorso e assistenza alla popolazione proveniente dall’Ucraina. Inoltre è prevista la possibilità che i presidenti nominino a loro volta dei soggetti attuatori.

In questo quadro è poi richiesto che le regioni attivino (o creino in caso non siano previste) le strutture di coordinamento con le prefetture previste dalle rispettive norme di protezione civile. Una relazione che, nel settore dell'accoglienza, non è invece prevista dalla normativa ordinaria.

Il ruolo della protezione civile nazionale e regionale, così come il rapporto tra il capo del dipartimento e i presidenti di regione da lui nominati commissari delegati sembra insomma ricalcare la struttura emergenziale attivata per l'emergenza covid-19. Non a caso tra le varie disposizioni è anche previsto che i presidenti di regione possano destinare alla prima accoglienza proprio le strutture allestite negli scorsi anni allo scopo di fronteggiare la pandemia.

Le deroghe all'accoglienza

Ma l'ordinanza del capo della protezione civile non si limita a individuare le figure che dovranno gestire l'accoglienza della popolazione ucraina. La norma infatti interviene anche sulle modalità previste dalla legge per l'attivazione di nuovi centri di accoglienza, che siano questi prefettizi o Sai.

Per quanto riguarda il Sai infatti viene introdotta una deroga al codice degli appalti, cosa che sicuramente consentirà di velocizzare l'apertura di nuove strutture ma al costo di abbassare drasticamente il livello di trasparenza e competitività delle gare d'appalto, con tutti i rischi connessi.

Questa deroga non è stata necessaria invece per i Cas. Come abbiamo visto infatti queste strutture erano proprio pensate per situazioni emergenziali e dunque la legge già prevede la possibilità per le prefetture, in caso di estrema urgenza, di assegnare contratti tramite affidamenti diretti.

Un altro tipo di deroga è stata però necessaria anche per l'apertura di nuovi Cas. La norma che è permesso disapplicare in questo caso è lo schema di capitolato d'appalto stabilito dal ministero dell'interno. Un testo che definisce i costi dei servizi previsti nei centri e che segna la differenza sostanziale, oltre che formale, con il sistema Sai.

Da un lato dunque si creano deroghe per aprire, con modalità emergenziali, nove strutture Sai, anche se queste non sono state pensate per rispondere a situazioni straordinarie.

Dall'altro, si deroga al capitolato dei Cas, ritenendolo evidentemente inadeguato, nonostante questo riguardi dei centri creati proprio per rispondere a situazioni straordinarie. Viene da chiedersi a questo punto perché se il capitolato è inadeguato oggi per i rifugiati ucraini non lo fosse anche ieri per tutti gli altri.

La conversione del decreto Ucraina e i nuovi posti in accoglienza

Quando il 25 febbraio il governo ha emanato il decreto Ucraina questo conteneva solo disposizioni relative all'assistenza estera, coerentemente con lo stato di emergenza estera deliberato quello stesso giorno.

È in fase di conversione dunque che il parlamento sta introducendo disposizioni per finanziare l'apertura di nuovi centri di accoglienza, sia nel circuito Cas che in quello Sai.

Ad oggi il provvedimento è passato all'esame della camera ed ora è in discussione al senato.

Nota di lettura del Senato sulla conversione del decreto Ucraina.

Certamente l'apertura di nuovi posti nella rete Sai è, in termini pratici, una buona notizia. Tuttavia si può ritenere che una politica di buon senso sarebbe stata aprire nuovi posti nel sistema ordinario durante gli scorsi anni. Ovvero in una fase non caratterizzata da un'emergenza. In questo modo si sarebbe potuto alleggerire il carico sul sistema straordinario lasciandogli la possibilità di essere maggiormente reattivo quando, come oggi, si fosse rivelato necessario.

Ma che i posti nel sistema di accoglienza siano ripartiti per 2/3 nei Cas e per 1/3 nel Sai sembra ormai un dato immutabile. Anche se come abbiamo visto la legge disegna un sistema molto diverso.

Infatti anche il disegno di legge di conversione del decreto Ucraina stabilisce l'apertura di 3mila nuovi posti nel circuito Sai e di 5mila in quello dei Cas, rispettando in pieno la proporzione di cui sopra.

Il 25 febbraio il governo ha emanato il decreto Ucraina che prevedeva solo disposizioni relative all’assistenza estera, coerentemente con lo stato di emergenza estera deliberato quello stesso giorno. È in fase di conversione dunque che il parlamento sta introducendo disposizioni per finanziare l’apertura di nuovi centri di accoglienza, sia nel circuito Cas che in quello Sai. Ad oggi il provvedimento è passato all’esame della camera e ora è in discussione al senato. Il testo menziona esplicitamente l’apertura di 3mila nuovi posti nel circuito Sai. Quanto ai Cas invece questo si limita ad aumentare le risorse a disposizione che, sulla base della relazione tecnica, corrisponderebbero a 5mila nuovi posti, come si legge nella nota di lettura del senato.

FONTE: nota di lettura del senato sulla conversione del decreto Ucraina
(ultimo aggiornamento: venerdì 25 Marzo 2022)

Foto: Protezione civile - Licenza


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