I numeri del governo Meloni a un anno dalla nomina Governo e parlamento

Abbiamo fatto il punto, dati alla mano, del primo anno di governo Meloni. Il quadro che emerge dall’analisi è di un esecutivo sempre più al centro della scena e di un parlamento relegato a spettatore quasi impotente.

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Qualche giorno fa il governo Meloni ha compiuto il suo primo anno di vita. Le sfide da affrontare in questo periodo sono state molteplici. Dalla guerra in Ucraina, agli eventi che hanno colpito tra le altre l’Emilia Romagna, le Marche e l’isola di Ischia. Dall’aumento del costo delle materie prime, dell’energia e dell’inflazione alle questioni migratorie. Fino ai recentissimi fatti che stanno sconvolgendo il Medio oriente.

Al di là dei giudizi di merito sulle scelte prese in questi 12 mesi, analizzando i dati relativi all’attività di governo e parlamento è possibile tracciare un bilancio da cui emergono delle tendenze molto chiare.

54 i consigli dei ministri tenuti in un anno dall’attuale governo per un totale di oltre 60 ore di riunione.

Si conferma infatti l’assoluto protagonismo del governo anche per quanto riguarda la produzione legislativa. La maggior parte delle norme approvate dall’inizio della legislatura infatti proviene da palazzo Chigi. Una dinamica dovuta in larga misura all’ampio ricorso fatto allo strumento del decreto legge, che con questo governo ha raggiunto livelli record.

In questo contesto il parlamento ha ricoperto un ruolo sempre più marginale. Una dinamica che potrebbe arrivare a un nuovo livello di guardia se fosse confermata l’indiscrezione secondo cui l’esecutivo sarebbe intenzionato a chiedere alla propria maggioranza di non presentare emendamenti alla legge di bilancio.

L’iniziativa legislativa del governo Meloni

Come già anticipato, l’esecutivo è stato protagonista assoluto anche per quanto riguarda la produzione normativa. In base ai dati aggiornati al 19 ottobre infatti, in questi primi 12 mesi ha presentato in parlamento 101 disegni di legge (Ddl). Non tutti i Ddl governativi hanno già concluso l’iter. Ad essere già divenute legge per il momento sono 45 proposte (di cui una presentata dal governo Draghi). A queste poi se ne aggiungono 19 che invece sono di iniziativa parlamentare. Basterebbe questo dato per capire la priorità che assume la volontà del governo rispetto alle iniziative delle aule.

70,3% le leggi approvate dall’inizio della legislatura che sono di iniziativa governativa.

Tra le proposte di iniziativa governativa, la stragrande maggioranza (43) è rappresentata dai Ddl di conversione dei decreti legge (Dl) emanati dall’esecutivo stesso. Si tratta anche delle proposte che hanno la maggiore probabilità di concludere l’iter. Questo perché i Dl devono essere convertiti entro 60 giorni dalla loro entrata in vigore, pena la loro decadenza.

FONTE: elaborazione openpolis su dati senato
(ultimo aggiornamento: giovedì 19 Ottobre 2023)

Tra gli altri Ddl presentati dal governo alle camere troviamo 27 ratifiche di trattati internazionali, 26 leggi ordinarie e 5 norme legate al bilancio dello stato. A queste ultime a breve si aggiungerà anche la legge di bilancio per il 2024, che il governo ha approvato in nel consiglio dei ministri del 16 ottobre.

L’uso (o abuso) dei decreti legge

Una parte significativa dell’azione normativa del governo è quindi passata dai decreti legge. Il cui uso massiccio condiziona inevitabilmente anche l’agenda del parlamento, costretto ad attribuire la priorità ai Ddl di conversione per non superare la soglia dei 60 giorni.

Si dovrebbe ricorrere ai decreti legge solo in situazioni di emergenza. Ma sempre più spesso i governi li usano per attuare il loro programma. Vai a “Che cosa sono i decreti legge”

Se da un lato è vero che tale dinamica è in corso da anni, dall’altro occorre sottolineare che con l’attuale esecutivo si stanno toccando picchi mai raggiunti in precedenza. Dal suo insediamento, il governo Meloni ha pubblicato in totale 46 Dl. Nonostante, in termini assoluti, si trovi ancora fuori dal podio, l’attuale esecutivo ha già superato molti governi che peraltro erano rimasti in carica per un periodo più lungo. I governi Monti (41), Conte I (26), Letta (25 ma in 9 mesi) e Gentiloni (20) infatti avevano pubblicato meno Dl durante la loro permanenza a palazzo Chigi.

FONTE: elaborazione openpolis su dati openpolis e senato

Se poi si considera il dato medio di decreti pubblicati al mese – unico modo per fare un confronto tra esecutivi che hanno avuto durata diversa – quello di Meloni sale al primo posto con 3,83 dl pubblicati in media ogni mese. Seguono gli esecutivi Draghi (3,20) e Conte II (3,18). Governi però che, a differenza dell’attuale, hanno dovuto affrontare le fasi più dure della pandemia.

Un altro elemento interessante da analizzare riguarda l’intervallo temporale che intercorre tra l’approvazione del testo di un Dl in consiglio dei ministri (Cdm), la sua effettiva pubblicazione in gazzetta ufficiale (Gu) e la conseguente entrata in vigore. Normalmente, la pubblicazione dovrebbe avvenire immediatamente dopo l’approvazione in Cdm ma non sempre ciò avviene. Spesso infatti è necessario un supplemento di discussione tra le forze politiche che compongono la maggioranza per trovare l’accordo sul testo definitivo. 

4,8 giorni che intercorrono in media tra la deliberazione in Cdm di un decreto legge e la loro effettiva entrata in vigore.

Nell’ultimo anno ben 13 decreti legge sono entrati in vigore a più di una settimana di distanza dal Cdm in cui sono stati discussi. Si tratta di un dato che deve essere tenuto in grande considerazione dal momento che non c’è grande trasparenza su cosa avviene in questo intervallo di tempo.

Spesso la gestazione dei decreti legge è molto lunga e poco trasparente.

In 3 casi in particolare l’attesa è stata superiore ai 10 giorni. Si tratta dell’entrata in vigore del Dl 44/2023 sul rafforzamento della capacità amministrativa (16 giorni). Del decreto per il ponte sullo stretto di Messina (15) e del decreto sud (12).

Il Dl dedicato alla riapertura delle progettazioni per la realizzazione del ponte sullo stretto è anche l’unico in cui si è tornati a ricorrere alla formula dell’approvazione “salvo intese”. Una prassi che è stata molto utilizzata nella scorsa legislatura, in particolare durante il governo gialloverde. In questi casi l’esecutivo ammette esplicitamente che il testo deliberato nel corso del Cdm potrebbe subire delle variazioni nell’ambito di trattative anche di carattere politico e non solo tecnico. Anche se questa formula sembra essere caduta un po’ in disuso, almeno in questa fase, il problema permane.

Il governo Meloni e il ricorso alla fiducia

Un altro elemento da tenere presente quando si parla dei rapporti tra parlamento e governo è certamente quanto quest’ultimo ricorre alla questione di fiducia per blindare i provvedimenti di suo interesse e velocizzarne l’approvazione.

Da questo punto di vista, in valori assoluti, possiamo osservare che i numeri dell’attuale esecutivo non risultano particolarmente elevati. Parliamo infatti di 30 voti di fiducia in totale dall’insediamento. Solo gli esecutivi Conte I (15) e Letta (10) hanno fatto un ricorso più limitato allo strumento.

La situazione però cambia se, come nel caso dei decreti legge, facciamo un confronto in base alla media mensile. In questo caso l’attuale esecutivo sale al terzo posto nel confronto con i governi delle ultime 4 legislature con 2,5 voti di fiducia al mese. Dato superato solo dai governi Monti (3) e Draghi (2,89).

FONTE: elaborazione openpolis su dati openpolis e camera
(ultimo aggiornamento: giovedì 19 Ottobre 2023)

Occorre precisare però che quello del governo Meloni è comunque un valore in aumento rispetto al giugno scorso (+0,5 fiducie al mese). E che il dato potrebbe crescere ulteriormente nelle prossime settimane dato che il parlamento sarà chiamato nel giro di poco tempo a convertire ben 9 decreti legge (per il momento) oltre alla manovra, che lo scorso anno fu blindata con la fiducia sia alla camera che al senato. Un ricorso allo strumento per velocizzare l’iter di questi Ddl appare quantomeno probabile.

Un altro elemento interessante da segnalare riguarda quei disegni di legge su cui è stata posta la fiducia in entrambi i rami del parlamento. In questi casi infatti la possibilità di intervenire sulle norme da parte di deputati e senatori è sostanzialmente sterilizzata. Gli spazi di discussione si limitano alla dichiarazione di voto.

7 le leggi approvate con doppio voto di fiducia.

Tra questi vi sono la già citata legge di bilancio per il 2023, il decreto per il rafforzamento della Pa, il decreto asset e il decreto incendi. Anche in questo caso gli esecutivi precedenti hanno fatto registrare numeri più elevati. Ma ovviamente bisogna sempre tenere presente che, salvo il governo Letta, hanno tutti avuto durate superiori ai 12 mesi.

Le risposte alle interrogazioni

Il legame tra governo e parlamento non si limita solamente all’iter legislativo. Deputati e senatori infatti possono sottoporre agli esponenti dell’esecutivo i cosiddetti atti di sindacato ispettivo con cui chiedere conto del loro operato e quali siano gli orientamenti del governo su temi specifici.

I governi non rispondono a buona parte delle interrogazioni scritte.

Come abbiamo spiegato in questo articolo, ci sono diversi tipi di atto ispettivo. In questo caso ci concentreremo sulle interrogazioni a risposta scritta. Non solo perché sono di gran lunga le più numerose ma anche perché sono quelle in cui i governi solitamente sono meno assidui nel rispondere.

Da questo punto di vista è significativo notare che, al 31 agosto, i dati del governo Meloni risultano essere lievemente superiori rispetto a quelli dei suoi predecessori. Nel suo complesso infatti l’attuale esecutivo fa registrare un tasso di risposta del 19,1%. Un valore che rimane modesto. Al secondo posto invece troviamo il governo Renzi con il 18% e al terzo il Conte II con il 17,1%.

Scomponendo il dato fra i vari ministri attualmente in carica però si notano alcuni elementi molto rilevanti. Il primo è che ci sono ben 8 ministri che non hanno risposto a nemmeno un’interrogazione. Tra questi anche 3 fra i più rilevanti: il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti, quello delle infrastrutture Matteo Salvini e quello della salute Orazio Schillaci. A questi si aggiungono altri 5 esponenti che hanno un tasso di interrogazioni senza risposta superiore al 90%.

FONTE: elaborazione openpolis su dati camera
(ultimo aggiornamento: giovedì 31 Agosto 2023)

Il ministro della giustizia Carlo Nordio è invece quello più efficiente nel rispondere alle interrogazioni scritte. Parliamo di 130 risposte fornite a fronte di 171 interrogazioni presentate. Il secondo esponente del governo con il tasso più basso è invece il vice presidente del consiglio e ministro degli esteri Antonio Tajani (50%).

Foto: GovernoLicenza

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