Il governo Meloni e le questioni di fiducia Governo e parlamento

L’attuale esecutivo ha posto la fiducia 5 volte in 21 giorni. Un modo per velocizzare l’approvazione delle norme che tuttavia riduce di molto le prerogative del parlamento.

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Dopo 2 mesi di navigazione relativamente tranquilla, nelle ultime settimane del 2022 il governo Meloni ha deciso di porre la questione di fiducia su diversi disegni di legge per velocizzarne l’approvazione.

In particolare, il primo esecutivo della XIX legislatura ha fatto ricorso alla fiducia 5 volte in 21 giorni. Un dato elevato, anche se non il più alto in assoluto tra i governi che si sono succeduti negli ultimi anni.

L’esecutivo può decidere di mettere la fiducia su un disegno di legge, legando il proprio destino a quello del testo. Nasceva per ricompattare la maggioranza in situazioni eccezionali ma è ormai diventata una prassi ricorrente. Vai a “Che cosa sono i voti di fiducia”

Questa scelta è stata certamente condizionata anche dalla situazione contingente. In particolare dalla necessità di approvare la legge di bilancio in pochissimo tempo. Tuttavia il ricorso sempre più frequente a questo strumento a cui abbiamo assistito negli ultimi anni comporta un continuo ridimensionamento del ruolo delle camere. Sempre più subalterne rispetto all’azione dell’esecutivo.

L’esordio del governo Meloni e il confronto con i suoi predecessori

Alla data di pubblicazione di questo articolo, il governo Meloni risulta in carica da 87 giorni (dal 22 ottobre). In questo lasso di tempo, come già detto, l’attuale esecutivo ha fatto ricorso alla fiducia 5 volte. Un dato certamente importante ma non il più alto in assoluto.

Considerando i primi 3 mesi di vita dei governi delle ultime 4 legislature infatti possiamo osservare che il valore più alto in assoluto è quello del governo Renzi che tra il febbraio e il maggio 2014 pose la fiducia ben 9 volte. Dopo quello di Meloni, troviamo invece i governi Berlusconi IV, Monti, Gentiloni e Draghi tutti con 4 questioni di fiducia poste ai loro esordi.

Nel primo grafico sono elencate le questioni di fiducia poste su disegni di legge dagli esecutivi delle ultime 4 legislature nei loro primi 87 giorni di attività. Nel secondo grafico è invece mostrato il rapporto tra questioni di fiducia e leggi approvate nello stesso periodo considerato. Nei grafici non è presente il governo Conte I perché nei suoi primi 87 giorni di attività non ho posto questioni di fiducia e al tempo stesso il parlamento non ha approvato leggi. Nel conteggio del rapporto tra leggi e fiducie non sono state considerate le ratifiche di trattati internazionali. Questo perché molto spesso questi disegni di legge vengono trattati in blocco a intervalli regolari e anche perché quasi mai questo tipo di atto richiede il ricorso alla fiducia.

FONTE: elaborazione openpolis su dati parlamento
(ultimo aggiornamento: giovedì 12 Gennaio 2023)

Certamente però un numero più o meno elevato di questioni di fiducia poste dipende anche dal numero di disegni di legge (Ddl) trattati dal parlamento nello stesso periodo. Maggiore è il numero di provvedimenti in esame infatti e maggiore sarà la probabilità che il governo decida di ricorrere allo strumento.

Da questo punto di vista quindi non deve sorprendere che nei primi 2 mesi il governo non abbia mai fatto ricorso alla fiducia. D’altronde tra ottobre e novembre il parlamento ha approvato una sola legge. La conversione del cosiddetto decreto aiuti ter, risalente peraltro al governo Draghi. Il ricorso alla fiducia quindi non si è praticamente mai reso necessario in quel periodo.

5 su 5 le questioni di fiducia poste dal governo Meloni nei suoi primi 87 giorni a fronte delle leggi approvate dal parlamento nello stesso periodo.

Se si considera questo indicatore (escludendo dal conteggio le ratifiche di trattati internazionali), notiamo che l’attuale governo sale al primo posto. Il secondo dato più elevato è quello del governo Monti (4 voti di fiducia a fronte di 6 leggi approvate), mentre il terzo è quello del governo Renzi (9 su 16).

La questioni di fiducia e il ruolo del parlamento

Come detto, nel mese di dicembre si è assistito a un’impennata nel ricorso alla questione di fiducia. In questo periodo infatti il parlamento si è trovato a dover affrontare contemporaneamente la discussione sulla legge di bilancio e la conversione di diversi decreti legge. La prima, come noto, doveva essere approvata definitivamente entro il 31 dicembre. Per i secondi invece ci sono 60 giorni di tempo dal momento della loro pubblicazione in gazzetta ufficiale.

Questa concomitanza ha fatto sì che il mese di dicembre fosse particolarmente complicato, per cui il governo si è visto “costretto” a ricorrere alla questione di fiducia molte volte per non rischiare di andare in difficoltà nel rispetto di tali scadenze. L’accoppiata decreto legge e questione di fiducia peraltro è una prassi che sta diventando sempre più frequente, specie nella fase di passaggio tra un governo e l’altro. A maggior ragione all’inizio della legislatura.

D’altronde in questa fase il parlamento, prima di dedicarsi all’attività legislativa, deve espletare una serie di pratiche preliminari. Tra cui: 

  • la formazione dei gruppi parlamentari e la scelta dei loro presidenti;
  • la scelta dei presidenti di camera e senato e dei rispettivi uffici di presidenza; 
  • la definizione delle commissioni.

Questa situazione può spingere il governo a fare ampio ricorso ai decreti legge per dare attuazione al proprio programma, in attesa della piena operatività delle camere.

I governi ricorrono a Dl e fiducia per attuare il programma ma così esautorano il parlamento.

Poi però, per evitare che le norme contenute nei Dl decadano, gli esecutivi spesso pongono la fiducia sulla legge di conversione per velocizzare la sua approvazione. In questo modo tuttavia si riducono drasticamente la prerogative del parlamento. La possibilità di apportare modifiche al testo infatti sarà limitata e l’unico vero momento di confronto in aula sarà quello delle dichiarazioni di voto.

Questa circostanza si è presentata anche in passato. Riprendendo il confronto con gli anni precedenti infatti possiamo osservare che quasi sempre i governi ai loro esordi hanno legato la fiducia a leggi di conversione di decreti legge.

Nel periodo considerato infatti (i primi 3 mesi di vita degli esecutivi degli ultimi anni) su 35 voti di fiducia 32 riguardavano leggi di conversione di Dl. Il governo Meloni in particolare ha posto la fiducia 3 volte sui decreti. In un solo caso, durante il governo Renzi, la fiducia è stata posta su una legge ordinaria.

Su ogni disegno di legge può essere posta la fiducia due volte: sia alla camera che al senato. È il caso, ad esempio, della legge di bilancio 2023. Il numero di questioni di fiducia quindi non coincide necessariamente con il numero dei Ddl su cui sono state poste.

FONTE: elaborazione openpolis su dati parlamento
(ultimo aggiornamento: giovedì 12 Gennaio 2023)

In questo caso possiamo osservare che 5 governi (oltre a Renzi anche Berlusconi, Monti, Letta e Draghi) hanno usato più spesso l’accoppiata decreto legge – fiducia rispetto all’attuale esecutivo. Tuttavia occorre anche ricordare che il governo Meloni ha fatto ricorso allo strumento anche per la legge di bilancio. Altra norma con una scadenza ben precisa.

2 le norme blindate con la fiducia in entrambe le camere dal governo Meloni (legge di bilancio e decreto aiuti quater).

Da questo punto di vista, probabilmente la scelta di far cadere il governo Draghi e andare a elezioni anticipate a settembre (un unicum nella storia repubblicana del nostro paese) ha inciso non poco su questa dinamica e non ha rappresentato una soluzione ottimale.

Certamente poi il contesto internazionale, caratterizzato dalla guerra in Ucraina, dell’aumento dell’inflazione e del costo di energia e materie prime ha reso ancora più complesso il passaggio dalla XVIII alla XIX legislatura.

Come sono andati i voti di fiducia sul governo Meloni

Anche se sono un numero abbastanza esiguo per valutare la solidità di una maggioranza, dall’analisi dei 5 voti di fiducia svolti finora emergono comunque degli spunti interessanti.

Il primo elemento da rilevare riguarda il fatto che il margine al senato, benché minore rispetto alla camera, sembra essere più stabile. Per la fiducia posta sulla legge di bilancio infatti la maggioranza ha ottenuto uno scarto di 16 voti rispetto all’opposizione. Valore simile (14) per il voto sulla conversione del decreto aiuti quater.

Situazione particolare invece a Montecitorio. Qui in 2 occasioni lo scarto è stato superiore ai 60 voti. Si tratta in particolare della fiducia sul decreto rave (61) e di quella sul decreto aiuti quater (64). Il margine si è invece ridotto notevolmente in occasione del voto sulla legge di bilancio.

34  i voti di scarto tra maggioranza e opposizione in occasione della fiducia sulla legge di bilancio alla camera. 

Un numero particolarmente basso rispetto agli altri. Questa differenza può essere dovuta al fatto che, data l’importanza del Ddl in discussione, la presenza in aula era molto più consistente. Se infatti nel caso dei due decreti i votanti totali sono stati rispettivamente 354 e 346 per la legge di bilancio erano 373.

Alla luce di questo dato, e del fatto che non risultano “voti ribelli” (cioè voti di singoli parlamentari in contrasto con il gruppo di appartenenza), lo scarto ridotto può essere attribuito alla maggiore presenza in aula di esponenti dell’opposizione piuttosto che a defaillance in seno alla maggioranza. 

Un dato, anche questo, che non deve sorprendere. Se infatti agli esponenti di centro-destra viene richiesto di garantire i numeri al governo, quest’obbligo non c’è per l’opposizione. I cui esponenti quindi possono essere meno “invogliati” dal partecipare alle sedute. Inoltre è noto come i partiti che non fanno parte della maggioranza non siano riusciti finora a trovare un accordo per un fronte comune. Il che rende l’attività di moral suasion per la partecipazione dei parlamentari ai lavori ancora più difficile.

Foto: GovernoLicenza

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