Come abbiamo visto nei precedenti capitoli, la figura del capo dello stato ricopre un ruolo cardine nell’ordinamento italiano. Per questo motivo il costituente ha previsto che le forze politiche coinvolte si impegnino per trovare un nome che sia il più possibile condiviso.

Ma le elezioni per il Quirinale hanno anche implicazioni più strettamente politiche. Esse infatti rappresentano un passaggio in cui la compattezza e la capacità di mediare delle diverse formazioni vengono messe alla prova. Una dinamica che acquista una valenza ancora maggiore nell’attuale contesto.

A differenza di quanto avvenuto nel 2015 infatti adesso la situazione risulta molto più incerta. Sono tre in particolare gli elementi molto importanti che caratterizzano questa elezione. Il primo è l’assenza di una forza politica egemone in grado di gestire la partita. Nemmeno considerandoli complessivamente gli schieramenti di centrodestra e centrosinistra hanno i numeri per eleggere da soli il successore di Sergio Mattarella. Data questa situazione potrebbero essere decisivi i voti dei parlamentari appartenenti a forze politiche minori. Che risultano di difficile collocazione e che potrebbero rivelarsi l’ago della bilancia tra i due schieramenti.

505 i voti necessari per eleggere il presidente della repubblica a partire dal quarto scrutinio.

La legislatura inoltre sta entrando nella sua parte finale e il secondo elemento che caratterizza questa elezione è il fatto che il prossimo parlamento sarà a ranghi ridotti con solo 400 deputati e 200 senatori. Per molti politici attualmente presenti in parlamento significa non essere rieletti nella prossima legislatura.

Un ultimo elemento da considerare che potrebbe influire in maniera significativa sull’esito delle votazioni per il colle è ovviamente l’emergenza Covid. Sarebbero molti infatti i deputati e i senatori che in questo momento potrebbero non partecipare alle votazioni poiché in quarantena. Una situazione che potrebbe influire non poco sui rapporti di forza all’interno dell’assemblea.

Com’è andata nel 2015

Come già anticipato, il quadro politico che portò all’elezione di Mattarella era molto diverso rispetto all’attuale. Nel 2015 infatti il Partito democratico poteva fare affidamento, da solo, su ben 408 cosiddetti “grandi elettori” (termine giornalistico con cui sono identificati i deputati, i senatori e i delegati delle regioni che partecipano alle elezioni per il presidente della repubblica). La seconda forza politica più rappresentata era il Movimento 5 stelle che però aveva meno della metà dei voti del Pd (124). Al terzo posto c’era invece Forza Italia con 110 grandi elettori.

FONTE: Dati ed elaborazioni openpolis
(ultimo aggiornamento: venerdì 31 Dicembre 2021)

Il Pd però non aveva i numeri per eleggere da solo il presidente della repubblica, nemmeno al quarto scrutinio. Questo “costrinse” il partito allora guidato da Matteo Renzi a cercare il dialogo con altre forze politiche. All’epoca i rapporti con il Movimento 5 stelle erano tutt’altro che positivi. I pentastellati infatti rifiutarono per 2 volte l'offerta di entrare nella maggioranza (prima quella di Pier Luigi Bersani e poi quella dello stesso Renzi).

Di conseguenza i dem per ottenere i voti che mancavano per arrivare alla maggioranza assoluta dovettero guardare ad altre formazioni. Questo fu probabilmente anche uno dei fattori per cui l’ex democristiano Sergio Mattarella alla fine ebbe la meglio rispetto ad altri candidati, molto autorevoli ma considerati più vicini ai valori della sinistra che non a quelli moderati.

La situazione attuale

Rispetto alla situazione appena descritta, il quadro attuale risulta molto più difficile da decifrare. Non solo perché non c’è una forza egemone in parlamento ma anche perché tutti i principali partiti hanno attraversato, per motivi diversi, momenti di difficoltà.

Il Movimento 5 stelle ad esempio, pur rimanendo la forza di maggioranza relativa sia alla camera che al senato, si è molto ridimensionato rispetto all’inizio della legislatura a causa di abbandoni ed espulsioni. Il Partito democratico dal canto suo non solo ha riportato un risultato deludente nelle elezioni politiche del 2018 ma ha pure subito la scissione di Italia viva che lo ha ulteriormente indebolito.

Le forze di centrodestra e di centrosinistra sostanzialmente si equivalgono.

Sull’altro versante, Forza Italia si presenta con una condizione simile a quella del Pd. Non solo infatti il partito di Silvio Berlusconi nel 2018 ottenne risultati molto inferiori rispetto ai suoi anni migliori ma è stato - proprio insieme a M5s e Pd - una delle principali vittime del fenomeno dei cambi di gruppo. Fratelli d’Italia invece pur riscuotendo in questa fase grandi successi, almeno stando ai sondaggi, può contare però su una ridotta pattuglia parlamentare. Questo contesto di debolezza generale, come abbiamo già visto in diverse occasioni, delinea un sostanziale equilibrio tra le forze di centrodestra e quelle di centrosinistra (incluso il Movimento 5 stelle).

In questo contesto un ruolo decisivo potrebbe essere ricoperto non solo dai parlamentari iscritti al gruppo misto e che non hanno una collocazione precisa. Ma anche l'apporto dei 58 delegati regionali potrebbe avere un peso determinante.

I delegati regionali

Capire quale sarà l'orientamento dei grandi elettori inviati dalle regioni per partecipare alla scelta del nuovo capo dello stato non è un elemento di secondo piano dunque. Al 30 dicembre 2021 soltanto l'Abruzzo aveva già annunciato i propri delegati. Si tratta del presidente della regione Marco Marsilio (Fdi), del presidente del consiglio regionale Lorenzo Sospiri (Fi) e della consigliera del Movimento 5 stelle Sara Marcozzi.

La scelta è caduta dunque sui presidenti della giunta e del consiglio regionale e su una rappresentante dell'opposizione. Questo però non è uno schema fisso. Infatti non sono previsti vincoli particolari alle scelte dei consigli regionali. Secondo alcune indiscrezioni riportate dalla stampa ad esempio lo stesso Silvio Berlusconi, potenziale candidato per il Quirinale del centrodestra ma che non siede in parlamento, avrebbe chiesto di essere inserito tra i 3 grandi elettori scelti dalla Lombardia per poter seguire da vicino l'andamento degli scrutini.

58 i delegati regionali che partecipano all'elezione del presidente della repubblica.

In generale però lo schema adottato dall'Abruzzo può essere esteso anche alle altre regioni come ipotesi ragionevole per fare delle previsioni. Anche nel 2015 infatti, salvo poche eccezioni, la composizione dei delegati regionali fu questa. In tal caso il maggior numero di delegati andrebbe al Pd (20). Alla Lega ne spetterebbero 15 mentre a Forza Italia 7.

In attesa delle scelte ufficiali delle regioni è stata realizzata una proiezione su quali saranno i loro delegati in base alla prassi consolidata nel tempo. Tranne la Valle d’Aosta che deve individuare un solo rappresentante, le altre regioni ne hanno invece tre che sono stati finora quasi sempre individuati rispettando il seguente schema: 1) partito del presidente della giunta regionale, 2) partito del presidente del consiglio regionale, 3) principale partito di opposizione. Dov’è stato possibile, i presidenti di regioni sono stati associati ad un partito presente in parlamento anche se formalmente eletti in una lista civica.

FONTE: elaborazione openpolis su dati portali giunte e consiglio regionali
(ultimo aggiornamento: venerdì 31 Dicembre 2021)

È interessante notare come nonostante la maggior parte delle regioni sia amministrata dal centrodestra (14 su 21) sia proprio il Partito democratico ad ottenere il maggior numero di grandi elettori. Questo perché generalmente nelle regioni amministrate dal centrosinistra il Pd esprime sia il presidente di regione che quello del consiglio regionale. Nelle regioni guidate dal centrodestra invece i dem sono quasi sempre la principale forza di opposizione mentre spesso presidente di giunta e presidente del consiglio appartengono a due partiti diversi. Se però consideriamo gli schieramenti nel loro complesso è il centrodestra a farla da padrone. Appartengono a quest’area infatti 33 degli ipotetici delegati regionali individuati con questa metodologia.

La composizione del parlamento in seduta comune

Alla luce di questi dati possiamo ipotizzare la composizione dell’assemblea che si riunirà a Montecitorio per eleggere il nuovo capo dello stato. I grandi elettori saranno complessivamente 1.007. La forza più rappresentata sarà il Movimento 5 stelle con 236 esponenti. Seguono la Lega (212) e il Partito democratico (152). Forza Italia ne avrà 116, Fratelli d'Italia 63, Italia viva 44.

Il parlamento in seduta comune per l’elezione del presidente della repubblica si compone di 1.009 partecipanti. Si tratta dei 630 deputati, dei 321 senatori (inclusi quelli a vita) e di 58 delegati regionali.

FONTE: dati ed elaborazioni openpolis
(ultimo aggiornamento: martedì 25 Gennaio 2022)

Alcuni cambi di gruppo sono tuttora in corso.

Bisogna tuttavia ricordare che tali valori sono in costante evoluzione in virtù del fenomeno dei cambi di gruppo che si sta verificando anche in questi ultimi giorni. Recentemente infatti le deputate Maria Teresa Baldini e Flora Frate sono confluite in Italia viva rispettivamente da Coraggio Italia e gruppo misto. Mentre Lucia Scanu è l’ultima deputata in ordine di tempo ad aver abbandonato il Movimento 5 stelle. Non è da escludere che eventuali spostamenti possano avvenire anche nelle prossime settimane e che ciò possa avere delle ripercussioni anche in vista delle elezioni per il Quirinale.

In base al contesto attuale comunque il dato che emerge è che né le forze di centrodestra né quelle di centrosinistra possono eleggere da sole il prossimo inquilino del Quirinale, nemmeno dopo il quarto scrutinio. Ne consegue che l’ago della bilancia sarà rappresentato da quel 12% circa di voti espressi dal gruppo misto. Ciò a meno di eventuali accordi trasversali.

Le nostre proiezioni

Per cercare di fare delle previsioni diventa quindi fondamentale comprendere come si schiereranno gli esponenti dei gruppi di misti camera e senato. Tra questi ci sono alcuni più vicini ai valori del centrosinistra e altri invece a quelli del centrodestra. Tuttavia i parlamentari potrebbero anche decidere di votare seguendo altre logiche, come quelle che abbiamo descritto all'inizio dell'articolo.

Vi sono poi molti parlamentari che sono confluiti nel misto dopo aver iniziato la legislatura in altri gruppi. Tali esponenti potrebbero decidere di votare insieme ai loro ex alleati oppure in maniera opposta, in polemica con il gruppo che hanno abbandonato (potrebbe essere il caso di molti ex 5s).

FONTE: dati ed elaborazione openpolis
(ultimo aggiornamento: martedì 25 Gennaio 2022)

116 i grandi elettori iscritti al gruppo misto.

Tenendo presenti queste considerazioni abbiamo provato a individuare una potenziale collocazione. Lo abbiamo fatto valutando diversi indicatori. Tra questi il principale è l’appartenenza a componenti interne al gruppo misto. Abbiamo considerato ad esempio nel centrosinistra i voti di Liberi e uguali al senato (dove non esiste un gruppo autonomo).

In seconda battuta abbiamo analizzato la storia dei singoli parlamentari, valutando i loro gruppi di origine. In ultima analisi il voto espresso al governo Conte II durante la questione di fiducia posta nel gennaio del 2021 (questo perché si è trattato dell’ultimo voto significativo prima della formazione della nuova maggioranza trasversale che ha rimescolato le carte in tavola). Anche prendendo in considerazione tutti questi elementi però rimane comunque difficile identificare una collocazione certa per circa 66 dei 116 appartenenti al misto. Nonostante questo si possono comunque trarre alcune indicazioni interessanti.

Se Italia viva votasse con il centrodestra si arriverebbe alla maggioranza assoluta.

Ipotizzando infatti che la coalizione che sosteneva il governo Conte II (Pd, M5s, Iv e Leu) voti compatta e che entrambi gli schieramenti facciano convergere i propri voti su un unico candidato (cosa non scontata), né centrodestra né centrosinistra arriverebbero alla maggioranza assoluta (504 voti). Gli ex giallorossi infatti avrebbero 482 voti mentre l’altro schieramento 459. In questo scenario, a maggior ragione, diventerebbero decisivi i 66 voti dei grandi elettori del misto dalla collocazione incerta.

Chi crede che il centro sia un’entità definita, un blocco massiccio, si sbaglia di grosso. I moderati hanno storie e propensioni diverse

Ma lo scenario cambia qualora Italia viva decidesse di votare con il centrodestra.

La collocazione degli appartenenti al gruppo misto è stata fatta, dove possibile, seguendo 3 diversi criteri: l’eventuale appartenenza a componenti interne al gruppo; il voto sulla questione di fiducia posta dal governo Conte II tra il 18 e il 19 gennaio 2021; eventuali cambi di gruppo intervenuti durante la legislatura.

FONTE: elaborazione openpolis
(ultimo aggiornamento: venerdì 31 Dicembre 2021)

Non si tratta di un’eventualità remota. Già nell'assemblea regionale siciliana infatti i rappresentanti del partito di Matteo Renzi hanno istituito un intergruppo con Forza Italia. Nel caso in cui i 44 grandi elettori di Italia viva decidessero di votare insieme a Lega, Fdi, Fi e Ci il centrodestra arriverebbe a mettere insieme 503 voti e sarebbe vicinissimo ad avere i numeri per eleggere il prossimo presidente della repubblica escludendo dalla partita il centrosinistra.

Ciò detto si deve sempre ricordare che per eleggere il capo dello stato è previsto il voto segreto. Di conseguenza non può essere dato per scontato che tutti gli appartenenti ad un determinato gruppo votino in maniera compatta rispettando le indicazioni di partito.

Il prossimo e ultimo capitolo sarà pubblicato martedì 11 gennaio 2022.

Foto Credit: Quirinale

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