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"Caro D'Alema, ascoltami e ferma il tuo tesseramento" - Intervista
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(26 giugno 2008) - fonte: La Stampa - Federico Geremicca - inserita il 26 giugno 2008 da 31
Magari qualcuno storcerà il naso e dirà «vecchia politica, quella che propone Marini è vecchia politica». Per lui, invece, ex presidente del Senato e presidente mancato (per sua volontà) del Partito democratico, è il punto da cui partire. Spiega: «Dopo le ferie avremo pochi mesi per preparare le Europee e le elezioni in una settantina di Province.
E’ chiaro, allora, che il nostro primo impegno deve essere di carattere organizzativo. A meno che qualcuno non pensi che si possa andare al voto con un partito nemmeno liquido ma gassoso...».
Difende Veltroni («Io appoggio la sua leadership») ma non certo veltronismo di maniera: «Possibile che non si vedano i limiti di un nuovismo furioso che mostra la corda? In alcune occasioni siamo andati oltre il pur deprecato assemblearismo sessantottino...».
E in questa intervista parla dei giovani e della leadership, del clima «depresso» nel Pd, del dialogo col governo e della neonata Red: «Io credo a D’Alema quando dice che non vuol rompere le scatole a Veltroni: ma sappia che la faccenda del tesseramento ha creato perplessità, e sarà bene chiarire».
Presidente, perché è così preoccupato dello stato del Pd?
«Perché tra un anno si vota e in molte Regioni altro che nuovo partito: siamo ancora a Ds e Margherita! E qui, invece di por mano a questo problema, si parla di congresso: fingendo di non vedere che il vero test sulla salute del Pd saranno le prossime elezioni. Ma le chiedo: ha letto i commenti all’ultima assemblea del Pd?».
Letti. Un po’ disarmanti.
«Ecco. Le presenze erano limitate? Certo che sì. Il clima era di scarso entusiasmo? Sicuramente sì. Ma domando come potesse essere il contrario. Come si può pensare che un partito sia governato da un’assemblea di 3 mila persone, molte delle quali non hanno nemmeno presenza militante in periferia?
E noi, invece, ogni tanto le convochiamo chiamandole a guidare il partito? Cose del genere non accadevano nemmeno nel ’68. C’è bisogno di dare organi stabili al Pd nel Paese».
Magari se aveste scelto la via del congresso...
«Un congresso per far cosa, visto che la leadership non è in discussione e che sulla linea - con l’eccezione di Parisi, che obiettò già in campagna elettorale - siamo tutti d’accordo? Il congresso lo faremo dopo le elezioni: e se mi è permesso un consiglio, dico che sarebbe bene cominciare a pensare per tempo a quell’appuntamento».
Scusi, presidente, ma è strambo che lei dica che nel Pd ci sia pieno accordo sulla linea. Su che vi state dividendo, allora, visto che è tutto un fiorire di gruppi, associazioni e fondazioni?
«Sul nulla, direi. O, forse, sull’intensità dello sconforto, della depressione post-elettorale...».
Battute a parte, sul tema delle alleanze davvero non vede linee diverse?
«Io vedo un accordo di fondo sulle questioni essenziali: vogliamo tutti costruire un grande partito riformista e coltivare la cosiddetta vocazione maggioritaria del Pd, e su questo Veltroni si è speso interpretando tutti noi. Quanto alle alleanze, esse dovranno essere coerenti con la natura riformista del nostro partito. Su tutto questo l’intesa è larga. Se poi qualcuno ci ha ripensato e vuole riproporre l’Unione, ce lo dica».
Lei che risponderebbe?
«Parlerei della mia esperienza di presidente del Senato.
Pesante. Frustrante. In una occasione ho contato 19 interventi in aula di nostri senatori contro i ministri Parisi e D’Alema. Non è per questo, forse, che abbiamo così malamente perso le elezioni? Non è per un programma troppo vago e per alleanze eccessivamente eterogenee che abbiamo trasmesso l’immagine di un governo che non ha avuto la forza di fare le scelte che servivano al Paese? E’ quella la madre della nostra sconfitta. Riprovarci sarebbe una pazzia.
Così come è una pazzia il tentativo di scalzare Veltroni o di indebolirlo. Ripeto: io appoggio la sua leadership ma chiedo che ora si pensi a costruire il partito per prepararlo alle prossime elezioni».
E la contorta discussione su dialogo sì, dialogo no?
«Contorta, appunto. E già risolta dai fatti. Abbiamo creato un nuovo partito e messo in campo il governo ombra, i cui ministri sarebbe bene andassero in giro per il Paese a spiegare le ragioni della nostra opposizione. Quanto al dialogo, che c’è da inventare? Le direttrici sono tre, e tutte ci impongono grande rigore».
Di che direttrici parla?
«Faccio degli esempi. Arriva in Parlamento un provvedimento inaccettabile? Lo si contrasta con durezza, usando tutti - dico tutti - gli strumenti regolamentari.
La via per opporsi, insomma, è questa: non certo farsi un girotondo intorno al Senato. Si discute, invece, di questioni economiche e sociali? Pd e Pdl sono diversi, e credo difficile noi si possa aderire alle loro proposte: ma non possiamo prescindere dal fatto che il Paese non cresce da dieci anni e dunque, piuttosto che far muro, occorrerà provare a migliorare - se possibile - i loro provvedimenti.
Poi c’è il grande tema delle riforme: e qui non basta dire che si dialoga. Qui occorre che si vada all’attacco noi, con una nostra idea di riforme costituzionali, senza attendere la proposta della maggioranza per poi finire a giocare di rimessa».
Se è così semplice, perché date così spesso l’impressione di dividervi? Perfino la necessità di far emergere leadership giovani e nuove è oggetto di polemica...
«Su questo, onestamente, credo di avere le carte in regola. Non oggi, ma due anni fa fui io a lanciare quello che voi chiamaste il “tridente della Margherita”: Franceschini, Fioroni e Letta. Quindi, largo ai giovani: ma senza mitologie, come se l’età fosse uno spartiacque tra il bene e il male.
Io darò una mano, ma vorrei anche indirizzare un consiglio ai giovani: esplicitino le loro idee e si battano, piuttosto che lasciarsi cooptare».
Cooptare magari prendendo la tessera di ReD?
«Non è una buona battuta... Io ho sincero apprezzamento per il lavoro fatto da Italianieuropei, è uno strumento importante per il Pd e D’Alema gli ha dato un’anima. Anche l’ultima iniziativa, Red, non mi dispiace...».
Però?
«Però niente. Conosco D’Alema e gli credo quando dice che non vuol rompere le scatole a Veltroni. Ma deve sapere che la faccenda della tessera a Red ha creato perplessità, perché è un fatto stringente, organizzativo, e questo può ingenerare problemi.
Con Massimo ci conosciamo da anni e io, per altro, non sono sospettoso di natura. Per questo gli dico: attento, le tessere possono diventare un problema. C’è bisogno di chiarimenti. Il partito deve essere tranquillizzato».
Fonte: La Stampa - Federico Geremicca | vai alla pagina » Segnala errori / abusi