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Dichiarazione di Piero FASSINO

Alla data della dichiarazione: Deputato


 

«Un patto federativo Pd-Pse. In Europa non si può restare isolati». - Intervista

  • (13 giugno 2008) - fonte: l'Unità - Ninni Andriolo - inserita il 13 giugno 2008 da 31

    «Sarebbe illusorio proporsi di costruire in Europa un campo riformista più ampio prescindendo dalla famiglia socialista».
    Così Piero Fassino spiega il rapporto che il Pd italiano deve costruire con i partiti socialisti e socialdemocratici che, a differenza di quanto pensa Rutelli, non sono in via d’estinzione.
    Sintesi che a suo giudizio è possibile raggiungere attraverso un patto federativo fra Pd e Pse. Ma Fassino precisa anche che dal Pd non si torna indietro.

    Onorevole Fassino lei ha sempre lavorato per costruire un rapporto solido tra Pd e Pse, una prospettiva che piace poco agli ex della Margherita…
    «Prima di toccare questo argomento voglio esprimere il mio cordoglio alle famiglie delle vittime dell’ennesima strage sul lavoro, che si è consumata in Sicilia.
    Può sembrare che di fronte a questa tragedia discutere del nostro partito non sia opportuno.
    In realtà la difesa del mondo del lavoro è un obiettivo comune delle forze riformiste e progressiste.
    E mantenere e sviluppare un rapporto solido tra di esse, anche a livello internazionale, tutela valori che non possono essere dismessi e che attengono alla tutela e alla dignità di chi lavora».
    Il Capo dello Stato chiede interventi risolutivi...
    «Siamo tutti angosciati di fronte a ciò che è accaduto in provincia di Catania. Di fronte a questo evento drammatico sentiamo ancora di più la necessità dell’impegno prioritario del Pd, e di tutta la politica, per restituire al lavoro la sua dignità, rendendolo innanzitutto sicuro. Quando un italiano muore sul posto di lavoro, la società deve interrogarsi su quale sia il proprio grado di civiltà. Fino a quando si può tollerare che ci sia chi paga con la vita la propria fatica quotidiana?
    L’impegno di tutti noi, raccogliendo lo sdegno del Capo dello Stato, è perché si intervenga urgentemente per spezzare una intollerabile catena di morti bianche».
    Un tema che non deve passare in secondo piano rispetto ai problemi politici. Tra questi c’è, appunto, quello del rapporto tra Pd e Pse. Rimarrà insoluto fino alle Europee?
    «Spero proprio di no. Dobbiamo lavorare per risolverlo in tempi ragionevoli. Porsi l’obiettivo di costruire un campo più largo corrisponde all’ispirazione che sta alla base del Pd, nato per unire le culture riformiste.
    Sarebbe illusorio, tuttavia, proporsi di realizzare in Europa un campo riformista più ampio prescindendo dalla famiglia socialista. Non per una ragione ideologica, ma perché - nella stragrande maggioranza dei paesi europei - il riformismo è rappresentato da partiti socialisti e socialdemocratici».
    Partiti che, a sentire Rutelli, sarebbero in via di estinzione…
    «Non è così. Se vogliamo costruire un campo riformista più largo in Spagna con chi parliamo se non con il partito di Zapatero? E in Germania a chi ci rivolgiamo se non alla Spd?
    E in Austria a chi se non ai socialdemocratici?
    Possiamo prescindere dal Pasok di Papandreu, o dai socialisti di Socrates, o dal Partito socialdemocratico svedese che i sondaggi danno oggi al 40%?
    In questi paesi non c’è un’altra forza politica riformista. E in quelle nazioni dove ci sono altre forze riformiste, comunque la principale è sempre un partito socialista e socialdemocratico dal quale non si può prescindere».
    Con i liberaldemocratici non è possibile alcuna intesa?
    «L’evocazione che viene spesso fatta, e che è stata avanzata anche da Rutelli, perché si lavori all’incontro tra socialisti e liberaldemocratici va vista in concreto, per la sua effettiva praticabilità.
    Molti partiti che si collocano nella famiglia liberaldemocratica appartengono a coalizioni di centrodestra.
    E i pochi che fanno parte del campo progressista sono, per ora, competitivi con i socialisti. Questa competizione non può essere superata solo perché lo diciamo noi».
    Il campo riformista più vasto, quindi, si riduce al Pse e al Pd?
    «No, naturalmente. Anche a me interessa far incontrare i socialisti con i liberaldemocratici. Ma questa prospettiva va costruita.
    E, avrà maggiori possibilità di essere realizzata se il Pd, forte anche del suo profilo originale, perseguirà l’obiettivo insieme al Pse».
    Dal versante della ex Margherita, nel frattempo, c’è chi propone un gruppo autonomo del Pd a livello europeo…
    «Il manifesto fondativo dell’Ulivo, promosso da Prodi nel 2003, che ci ha fatto imboccare la strada del Pd, era ispirato dall’idea che il nostro orizzonte fosse l’Europa. L’Unione si trova di fronte a sfide enormi: l’applicazione del Trattato di Lisbona, il rilancio di una crescita capace di consentire all’Europa di tenere il passo con le dinamiche della globalizzazione, le inquietudini determinate dall’immigrazione a dalla insicurezza, l’esigenza di una politica estera comune.
    Tutti questi temi sollecitano un contributo da parte di ogni forza politica che non può essere affrontato in modo solitario e autoreferenziale».
    Chi proviene dalla tradizione cattolico-democratica teme "l’annessione" al Pse, come se ne esce?
    «Il tentativo di costruire una famiglia democratica - che si affiancasse e si aggiungesse a quelle dei popolari, dei socialisti, dei liberali e dei verdi - è stato già condotto.
    La Margherita lo ha portato avanti con uno sforzo generoso che, però, ha raccolto frutti modesti, un numero limitato di partiti, quasi sempre di scarso peso elettorale e di scarsa rappresentatività. La maggior parte è nel centrodestra».
    Si imputa al Pse di rappresentare un retaggio ideologico del ’900…
    «Quando diciamo che bisogna costruire un rapporto tra il Pd e il Pse non lo diciamo per una scelta ideologica, ma perché solo per questa via è possibile costruire un campo riformista più ampio.
    Bisogna liberarsi di rappresentazioni caricaturali del socialismo europeo. Ho l’impressione che qualcuno, magari per convenienza politica, accrediti una visione dei socialisti come se ci fosse ancora la II Internazionale.
    Chiunque si metta seriamente ad analizzare i partiti socialisti e socialdemocratici si rende conto che parliamo ormai di grandi forze politiche di centrosinistra».
    Qualche esempio?
    «Penso a come Blair ha rinnovato il laburismo inglese.
    O a Zapatero e a Gonzales che hanno liberato i loro partiti dal massimalismo.
    Penso a come la socialdemocrazia scandinava ha innovato la sua idea di welfare state.
    Penso al Partito socialista francese che ha ottenuto il successo alle amministrative anche con candidati che non erano sua espressione diretta.
    Tutto questo dimostra che sono i partiti socialisti a porsi per primi l’obiettivo di un riformismo europeo più ampio».
    Spinte che portarono alla modifica dello Statuto del Pse…
    «Esatto. Il congresso di un anno e mezzo fa, non dimentichiamolo, decise una modifica statutaria che portò il Pse a definirsi non solo partito dei socialisti e dei socialdemocratici, ma anche di realtà politiche e culturali di matrice diversa.
    La proposta di Rasmussen e Schulz, di cambiare il nome sia al partito che al gruppo parlamentare, così da fare riferimento ai “socialisti e democratici”, non è un’operazione di restauro.
    È una realtà nuova che anche nel nome riconosce la pluralità di culture che la sostanziano. E poi la proposta di andare nella direzione del partito dei socialisti e dei democratici fu avanzata da Prodi nel 2006».
    I socialisti europei hanno compreso appieno il significato del Pd italiano?
    «Il Pse ha guardato con grande simpatia e attenzione alla costruzione del Pd.
    Naturalmente deve essere chiaro che noi vogliamo realizzare un rapporto con il Pse sapendo che il Pd nasce dall’incontro di culture riformiste diverse.
    E quindi non può essere assimilato tout court a un partito socialdemocratico.
    Il Pd deve costruire una prospettiva insieme al Pse, mantenendo il proprio profilo».
    Il Pd dovrà aderire al gruppo socialista, quindi?
    «Ritengo che l’ipotesi intorno alla quale si sta ragionando - un patto di tipo federativo e un rapporto permanente tra Pse e Pd, che consenta di far parte di un unico gruppo a Strasburgo, pur con forme che riconoscano l’autonomia reciproca - vada nella direzione giusta.
    E possa essere condivisa da tutti perché non chiede a nessuno di rinunciare alla propria identità».
    Una soluzione simile all’alleanza tra popolari europei e conservatori inglesi nel Ppe-De?
    «Credo si debba avere lo stesso atteggiamento pragmatico. Il Ppe, prima del 1990, era formato solo dai democratici cristiani europei.
    Dopo la crisi della Dc italiana, Kohl si ritrovò a essere sostanzialmente solo, negli altri grandi paesi europei non c’erano partiti democristiani rappresentativi.
    A quel punto che il cancelliere tedesco aprì ad Aznar, a Berlusconi, ai conservatori inglesi. Senza chiedere di mutare il loro modo di essere. E quei partiti non si posero nemmeno la preoccupazione del nome.
    A dimostrazione che conta la sostanza. In Europa si va sempre più, come in Italia, verso incontri tra culture diverse.
    A Rutelli o alla Bindi non chiedo di diventare socialdemocratici. A loro chiedo una scelta politica, e non ideologica, per la costruzione di un campo riformista europeo che non può prescindere da chi ne rappresenta già una parte rilevante».
    Se le posizioni dovessero rimanere le stesse di oggi, ex Ds ed ex Dl siederebbero su scranni diversi nel 2009? Veltroni lo esclude…
    «Come Veltroni non condividerei la scelta di una divisione, l’ipotesi che i deputati del Pd a Strasburgo possano appartenere ancora a gruppi diversi.
    Anche perché nel 2009 verranno eletti euro parlamentari della lista del Pd e non più dei Ds e della Margherita».
    Non teme che questo il dibattito nasconda il tentativo di rimettere in discussione il Pd?
    «Non voglio credere alle interpretazioni maliziose. Vorrei un confronto vero di posizioni per arrivare a una sintesi.
    Non voglio credere si possa usare strumentalmente la collocazione internazionale per tornare indietro rispetto al Pd.
    Meno che mai lo vogliono i democratici di sinistra che con generosità hanno messo a disposizione tutte le loro energie e le loro forze».

    Fonte: l'Unità - Ninni Andriolo | vai alla pagina
    Argomenti: veltroni, pd, elezioni europee, socialismo, rutelli, pse, fassino | aggiungi argomento | rimuovi argomento
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