Il ruolo del Partito democratico nella maggioranza e le sue prospettive Governo e parlamento

Nel corso della XVIII legislatura il Pd ha subìto diversi contraccolpi. Dalla scissione di Italia viva alle dimissioni da segretario di Nicola Zingaretti. Ma nonostante ciò rimane un punto di riferimento per il centrosinistra.

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La caduta del governo Conte II ha lasciato ferite profonde all’interno della ex coalizione giallorossa. Per il Partito democratico in particolare la XVIII legislatura è stata caratterizzata da diversi avvenimenti traumatici. Dapprima infatti il Pd ha subìto la scissione di Italia viva che ne ha indebolito i gruppi parlamentari. Ma anche l’avvento del governo Draghi non è stato un passaggio semplice per il partito.

Se infatti in un primo momento i dem avevano profuso un grande sforzo per cercare di far proseguire l’esperienza del secondo governo Conte anche senza i voti di Italia viva, non tutti nel partito erano d’accordo con la successiva decisione di entrare a far parte della nuova maggioranza. Tali divisioni interne portarono anche alle dimissioni del segretario Nicola Zingaretti.

Al posto di Zingaretti è poi arrivato Enrico Letta. La strategia dell’ex presidente del consiglio per rilanciare il partito si è basata essenzialmente su 3 pilastri. In primo luogo ha scelto di confermare l’alleanza con il Movimento 5 stelle. Ha poi cercato di ricompattare l’elettorato di centrosinistra intorno ad alcuni temi identitari. Infine ha individuato in Matteo Salvini il rivale politico prediletto. Un altro modo per tentare di tenere unito il centrosinistra contro un avversario comune. Ma qual è il ruolo del Pd nel governo Draghi? E quali sono le sue prospettive?

L’evoluzione dei gruppi parlamentari

Come detto durante l’attuale legislatura il Pd ha dovuto superare diversi momenti molto difficili. Il primo di questi è stato l’uscita dal partito dell’ex segretario Matteo Renzi che ha deciso di fondare il proprio movimento seguendo l’esempio del presidente francese Emmanuel Macron. Renzi è stato seguito poi da molti dei suoi più convinti sostenitori che, eletti nelle file del Pd, sono poi confluiti nei gruppi parlamentari di Italia viva. Parliamo in totale di 25 deputati e 14 senatori.

39 i parlamentari che dal Pd sono passati a Italia viva.

D’altra parte però i gruppi democratici hanno registrato anche dei nuovi ingressi nelle loro file. In particolare il Pd ha “acquisito” 5 deputati provenienti dal gruppo misto, tra cui l’ex ministra della salute Beatrice Lorenzin. A questi si aggiunge l’ex presidente della camera Laura Boldrini che invece era stata eletta nelle liste di Liberi e uguali. A palazzo Madama invece ha recentemente aderito al gruppo dem il senatore Giovanni Marilotti.

La mappa mostra i cambi di gruppo che sono stati già ufficializzati e riconosciuti dall’ufficio di presidenza di ciascuna camera. Sono qui rappresentate solo le entrate e le uscite che hanno coinvolto direttamente i gruppi del Pd. Non altri cambi di gruppo avvenuti precedentemente o successivamente il passaggio nei dem.

FONTE: dati ed elaborazione openpolis
(ultimo aggiornamento: giovedì 16 Settembre 2021)

Alcuni parlamentari che avevano lasciato il Pd sono poi tornati sui loro passi.

È interessante notare come alcuni dei parlamentari che avevano abbandonato il partito siano poi tornati sui loro passi. Inclusi 3 esponenti che avevano inizialmente aderito a Iv. Si tratta dei deputati Nicola Carè e Vito De Filippo e del senatore Eugenio Comincini. Percorso simile anche per il senatore Tommaso Cerno che però aveva aderito al gruppo misto. Diverso invece il caso della senatrice Tatiana Rojc, “prestata” al gruppo degli Europeisti all’epoca del governo Conte II. Tale gruppo era nato nel tentativo di trovare un'alternativa a Italia viva per non far mancare la maggioranza all'esecutivo. Fallito questo esperimento la senatrice friulana e rientrata nel Pd.

Quel progetto faceva parte di una visione più ampia che era quella di trovare un punto per salvare il Paese. Ora torno perché ritengo, per me e per la comunità che rappresento, che devo fare fino in fondo il mio dovere in questa legislatura

Nonostante questi flussi in entrata, però, il Pd rimane comunque uno dei partiti più danneggiati dal fenomeno dei cambi di gruppo. Dall’inizio della legislatura infatti i dem hanno perso complessivamente 31 seggi in parlamento, di cui 18 alla camera e 13 al senato.

Nel grafico non sono riportati i dati dei gruppi di Leu alla camera e Per le autonomie al senato il cui saldo dall’inizio della legislatura è 0.

FONTE: dati ed elaborazioni openpolis
(ultimo aggiornamento: lunedì 20 Settembre 2021)

Soltanto Movimento 5 stelle (96 parlamentari persi dall’inizio della legislatura) e Forza Italia (40) hanno subìto delle perdite maggiori.

Il peso del Pd nel governo e in parlamento

Nonostante i cambi di gruppo il Pd rimane comunque una delle principali forze politiche presenti in parlamento. Curiosamente però il peso del partito è diverso tra la camera e il senato. A Montecitorio infatti quello del Pd è il terzo gruppo più numeroso dopo Lega e Movimento 5 stelle con 93 deputati. A palazzo Madama invece anche Forza Italia presenta un numero di rappresentanti maggiore (50 senatori azzurri contro 38 dem).

Nella maggioranza al senato c'è equilibrio tra le forze di centrodestra e quelle di centrosinistra.

Una situazione molto particolare che di fatto al senato determina sostanzialmente un equilibrio tra Lega e Fi da un lato e Pd e M5s dall’altro. Tale quadro determina il fatto che al senato il voto dei gruppi “minori” diventa decisivo per le sorti dei provvedimenti. Motivo per cui, ad esempio, si è arenata la discussione sul Ddl Zan. Da sole infatti le forze del centrosinistra non avrebbero i numeri per approvare la proposta di legge contro l'omotransfobia.

FONTE: dati ed elaborazione openpolis
(ultimo aggiornamento: giovedì 16 Settembre 2021)

Per quanto riguarda l’esecutivo invece possiamo osservare che il Pd esprime 9 esponenti sui 63 totali. In particolare i dem possono vantare 3 ministri con portafoglio, una viceministra e 5 sottosegretari. Nel comporre la sua squadra Draghi ha cercato di rispettare i rapporti di forza interni al parlamento. Il Pd infatti è il terzo partito, insieme con Forza Italia, con più esponenti nel governo dopo Movimento 5 stelle e Lega.

Il grafico mostra il numero di ministri viceministri e sottosegretari del governo Draghi in base al loro partito di appartenenza. Nel conteggio non è stato considerato il presidente del consiglio Mario Draghi. Deve ancora essere nominato il sostituto di Claudio Durigon dimessosi lo scorso 26 agosto. Valentina Vezzali è stata considerata coma tecnica anche se nella scorsa legislatura era stata eletta in parlamento con Scelta civica di Mario Monti.

FONTE: elaborazione e dati openpolis
(ultimo aggiornamento: venerdì 17 Settembre 2021)

Da notare che il Pd ha ottenuto il vertice del ministero del lavoro e delle politiche sociali alla cui guida è stato chiamato Andrea Orlando. Un dicastero importante per un partito di centrosinistra che si dichiara attento alla tutela dei lavoratori.

 

Gli incarichi degli esponenti Pd nel governo Draghi

EsponenteIncarico
Lorenzo GueriniMinistro della difesa
Andrea OrlandoMinistro del lavoro
Dario FranceschiniMinistro della cultura
Marina SereniViceministra degli affari esteri e della cooperazione internazionale
Vincenzo AmendolaSottosegretario alla presidenza del consiglio con delega agli affari europei
Caterina BiniSottosegretaria alla presidenza del consiglio con delega ai rapporti con il parlamento
Carmela Assunta MessinaSottosegretaria all'innovazione tecnologia e la transizione digitale
Alessandra SartoreSottosegretaria all'economia
Anna AscaniSottosegretaria allo sviluppo economico

 

Anche se non ne esprime il vertice poi il Pd occupa posizioni di rilievo all’interno di altri due ministeri di fondamentale importanza. Quello dell’economia (con la sottosegretaria Alessandra Sartore) e quello dello sviluppo economico (con Anna Ascani). Due ministeri per altro che saranno coinvolti da vicino nella gestione dei fondi europei nell’ambito del piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr).

Le dimissioni di Zingaretti e l'arrivo di Letta

Come abbiamo detto, la caduta del governo Conte II ha rappresentato un altro passaggio molto complicato per il Pd. A pochi giorni dalla caduta del governo infatti arrivarono le dimissioni del segretario Nicola Zingaretti. Il presidente della regione Lazio, sostenitore dell’alleanza strutturale con i pentastellati, utilizzò toni molti duri nei confronti del suo stesso partito.

Come suo successore l’assemblea nazionale del Pd scelse a larghissima maggioranza Enrico Letta. Una delle prime mosse del nuovo leader democratico fu la richiesta di dimissioni dei capigruppo Graziano Delrio e Andrea Marcucci. Il loro posto è stato preso da due donne: Debora Serracchiani alla camera e Simona Malpezzi al senato.

Letta all'epoca dichiarò che tale sostituzione aveva come obiettivo quello di dare una rappresentanza femminile al partito, dopo che per i vertici dei ministeri erano stati scelti solamente uomini (Dario Franceschini, Andrea Orlando e Lorenzo Guerini). Una scelta che tuttavia non mancò di destare polemiche.

Letta poi scelse di confermare l’alleanza con il Movimento 5 stelle, anche in vista delle elezioni amministrative. Una decisione non condivisa da tutto il partito e che comunque non sempre è riuscita a livello locale. A Torino, Milano e Roma, ad esempio il M5s si presenterà al primo turno con propri candidati.

Letta ha individuato in Salvini il proprio avversario politico all'interno della maggioranza.

Un’altra strategia adottata da Letta per ricompattare il partito è stata quella di concentrarsi su un avversario politico dello schieramento opposto. In questo senso il segretario ha individuato nel leader della Lega Matteo Salvini il proprio nemico da superare. Da quando è nato il governo di unità nazionale infatti le critiche alle posizioni ambigue della Lega sono state frequenti. Recentemente ad esempio Letta ha chiesto un chiarimento alla Lega per quanto riguarda la posizione in tema di green pass.

Credo di poter dire che quello che è successo oggi pomeriggio alla camera, dove in commissioni affari sociali la Lega di fatto è uscita dalla maggioranza e ha votato contro il green pass dimostra una situazione intollerabile

Letta inoltre ha cercato di ricucire i rapporti con il proprio elettorato deluso lanciando una serie di proposte di bandiera. Vanno in questa direzione il recupero di alcuni temi come lo ius soli, il voto ai sedicenni, fino anche alla tassa di successione sui grandi patrimoni. Sotto questo profilo però c'è da dire che, nonostante alcuni di questi temi siano stati rilanciati anche recentemente, nelle ultime settimane si è registrato un atteggiamento più cauto da parte del partito.

Con l'avvicinarsi delle elezioni l'atteggiamento del Pd è diventato più cauto.

Un esempio concreto lo si può ritrovare nella posizione nei confronti del Ddl Zan. A luglio infatti i dem avevano spinto per cercare di approvare il disegno di legge contro l'omotransfobia prima della pausa estiva del parlamento. Adesso invece Il Pd - e le altre forze di maggioranza - hanno bocciato una proposta di Fdi che chiedeva di calendarizzare la discussione del Ddl prima del voto. Secondo alcuni osservatori la mossa di Fratelli d'Italia sarebbe da interpretare come una provocazione. Tuttavia l'atteggiamento del centrosinistra potrebbe essere imputato al timore che un tema così delicato possa far perdere voti. Da notare a questo proposito che Letta è impegnato in prima persona nelle elezioni suppletive per ottenere un seggio alla camera.

La critiche al partito e le sue prospettive

Salvo la parentesi del governo gialloverde, nelle ultime 2 legislature il Pd è sempre stato al governo. Ciò ha portato spesso l’opinione pubblica a identificare i dem come il “partito dell’establishment”. È forse anche per questo motivo che Letta ha cercato di recuperare temi sensibili per il proprio elettorato. La strategia del segretario tuttavia non è stata esente da critiche.

L'ex segretario Nicola Zingaretti ad esempio, pur rivendicando quanto di buono fatto dal Pd negli ultimi anni, ha invitato i dem a tornare a guardare alle classi meno abbienti del paese. Sulla stessa linea anche uno dei padri nobili del partito come Romano Prodi che ha ribadito la necessità di tornare a parlare di temi sociali.

Se il Pd deciderà di di spingere per una politica di forte rivendicazione dei diritti sociali (lavoro, scuola, salute, casa) i voti pioveranno. [...] L'affermazione dei diritti individuali avviene solo se esiste una rete sociale.

D'altra parte però alcuni osservatori hanno affermato che lo “spostamento a sinistra” del partito potrebbe mettere in difficoltà il governo Draghi. Una dinamica che potrebbe avere delle ripercussioni negative anche sul Pd stesso nel caso in cui l'esecutivo non dovesse riuscire a realizzare tutti i progetti contenuti nel Pnrr. Al di la di tali critiche si deve comunque osservare che, in base ai sondaggi, il Pd rimane comunque il terzo partito del paese, nonché la principale forza del centrosinistra.

Foto credit: palazzo Chigi - licenza

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