Come sta cambiando il rischio povertà nelle aree metropolitane Periferie

Tra 2005 e 2015 il rischio povertà è aumentato nelle grandi città del sud, ma anche negli hinterland del centro-nord.

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Senza un contesto sociale che li definisca, centro e periferia sono concetti astratti. Etichette che non ci dicono nulla sulla condizione di vita di chi ci abita, sulle opportunità e i servizi presenti sul territorio. Né sulla condizione economica o sul rischio povertà dei residenti, inteso come persone che vivono con un reddito inferiore alla soglia di povertà relativa. Una delle variabili con cui dobbiamo fare i conti è la collocazione geografica.

Il rischio povertà tra nord e sud

Non si possono fare generalizzazioni valide per tutte le città italiane, da nord a sud, quando queste attraversano situazioni economiche radicalmente differenti. Come abbiamo già visto, la tendenza alla diminuzione della disoccupazione – chiara nelle maggiori città del centronord – è meno nitida al sud.

Qualsiasi analisi sulle periferie non può prescindere dal contesto geografico e sociale.

Il fattore nord-sud incide anche sul rischio di povertà degli abitanti, con effetti molto diversi a seconda dell’area geografica. I dati presentati da Istat alla commissione periferie lo evidenziano con chiarezza. Il rischio povertà tra 2005 e 2015 è aumentato mediamente in tutta Italia, passando dal 19,3 al 19,9%. Significa che circa una famiglia su 5 vive con un reddito inferiore alla soglia di povertà relativa. Ma il segno e l’importanza di questa variazione cambia notevolmente in base alla collocazione geografica.

1 su 5 le famiglie a rischio povertà relativa

Nel nord il rischio povertà è passato dal 10,3% del 2005 all’11% del 2015. Nell’Italia centrale il balzo è stato molto più netto: dal 13,3% al 16,1%. Al sud la crescita è minore ma il dato raggiunge comunque il 34%, oltre una famiglia su 3. Ma quello che colpisce dai dati Istat è come stia cambiando l’incidenza della povertà all’interno delle stesse aree metropolitane, tra centro e periferie.

Cosa succede nelle aree metropolitane

Per centro, in questo caso, non si intendono i quartieri centrali (dati purtroppo non disponibili), ma l’intero capoluogo della città metropolitana: Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Palermo, Catania, Cagliari. Quindi dobbiamo tenere conto che il dato comprende anche le periferie interne al comune capoluogo, che spesso sono anche quelle con maggior disagio sociale e economico, come nel caso di Roma. Tra le periferie delle aree metropolitane sono invece compresi i comuni dell’hinterland, cioè la cintura urbana che gravita attorno al capoluogo.

FONTE: Istat
(ultimo aggiornamento: martedì 24 Gennaio 2017)

Il disagio economico tra 2005 e 2015 è cambiato con dinamiche molto differenti tra le diverse aree del paese. Al nord il divario tra capoluogo e hinterland si è ridotto, ma a costo di un peggioramento per entrambe le realtà. Il rischio povertà è cresciuto nei capoluoghi (+0,8), ma soprattutto nei comuni limitrofi (+2,1). Al centro il divario capoluogo-hinterland invece è aumentato nettamente. Ciò è dovuto a un peggioramento nelle condizioni dei comuni periferici: qui il rischio povertà è raddoppiato nei dieci anni, passando dal 10,3% al 21,1%. Al sud al contrario sono le grandi città ad aver subito un peggioramento drastico nelle condizioni di vita. Nei centri delle aree metropolitane del mezzogiorno il rischio povertà è cresciuto di quasi 7 punti, passando dal 29,6% al 36,5%. Ha quindi scavalcato quello dei comuni dell'hinterland, dove è diminuito di circa 3 punti.

Se è vero quindi che il divario tra le città e i comuni della cinta si è ridotto, in dieci anni si sono acuite situazioni di povertà sia al centronord che al sud. Realtà su cui il lavoro di Istat per la commissione periferie ha contribuito a fare luce, ma che rischiano di essere trascurate se nei prossimi anni non sarà mantenuta la giusta attenzione sul tema.

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