Lo stress test delle votazioni parlamentari per il governo Conte Osservatorio legislativo

Marzo è stato un mese pieno di ostacoli per l’esecutivo: tra fiducia e sfiducia all’esecutivo e l’approvazione di provvedimenti controversi. Vediamo il dettaglio.

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Lo studio mensile realizzato con AGI in cui facciamo il punto sulla produzione legislativa del parlamento, analizzando il ruolo del governo nelle dinamiche di aula, e confrontando il tutto con quanto avveniva nelle legislature passate.

Il mese di marzo in breve

Il mese di marzo è stato molto ricco per il parlamento. Quattro testi hanno completato il proprio iter, diventando quindi legge. Il disegno di legge in materia di legittima difesa, tema forte della Lega in campagna elettorale, il provvedimento per l’istituzione del registro nazionale dei tumori, e infine due decreti del governo: il salva-Carige e il cosiddetto “Decretone”, che contiene le norme su reddito di cittadinanza e quota 100.

I voti di marzo hanno fatto emergere le tante differenze tra i due partner di governo.

Certamente però, al di là dei testi discussi, meritano particolare attenzione alcune votazioni che si sono svolte. A marzo infatti ci sono stati numerosi banchi di prova per il governo Conte, che ha dovuto affrontare in varie occasioni votazioni importanti per la stabilità del governo.

Parliamo in primis del voto di fiducia sul decreto reddito di cittadinanza e quota 100, ma soprattutto del voto dell’aula sull’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini sul caso Diciotti, come anche delle due mozioni di sfiducia avanzate dalle opposizioni contro il ministro delle infrastrutture Danilo Toninelli, una a firma Pd e una firma Fi.

L’andamento nella legislatura

Nel mese di marzo si sono svolte 4 riunioni del consiglio dei ministri, il dato più basso da inizio legislatura. Valore che era già stato registrato ad agosto, ottobre e novembre dello scorso anno. Ciò nonostante per la prima volta nel 2019 la durata media degli incontro ha superato l’ora, certamente un aspetto positivo considerando che tra gennaio e febbraio la media era di 40 minuti. All’ordine del giorno nei 4 incontri c’erano, tra le altre cose, la ratifica di numerosi trattati internazionali, e l’ufficializzazione del prossimo election day per le elezioni europee, amministrative e suppletive della camera.

Per la prima volta nel 2019 la durata media degli incontro del consiglio dei ministri ha superato l’ora.

Tra i provvedimenti più importanti deliberati abbiamo certamente il cosiddetto decreto Brexit, già arrivato all’attenzione del parlamento, e il decreto sblocca cantieri, su cui però il governo deve ancora trovare una quadra. Il testo infatti è stato approvato “salvo intese”, formula già vista in passato, per esempio sul decreto emergenze/Genova, e che dà la libertà al governo di rimettere mano al provvedimento prima della presentazione ufficiale al Quirinale. Una scelta sempre più ricorrente da inizio legislatura, specialmente su provvedimenti complessi e su cui la maggioranza giallo-verde ha bisogno di più tempo per trovare l’intesa. Una scelta già criticata dal Comitato per la legislazione della camera, e che rende la genesi dei provvedimenti poco chiara e lineare.

Viene visualizzato il numero di riunioni del consiglio dei ministri nel mese.

FONTE: dati ed elaborazione Agi-openpolis

Tra i 4 provvedimenti approvati a marzo dal parlamento invece, ci sono anche due decreti del governo Conte. Il secondo che ha completato l’iter in ordine di tempo, il cosiddetto decretone, ha richiesto un voto di fiducia. È la quinta volta da inizio legislatura che un decreto del governo ha necessitato di almeno un voto di fiducia per completare l’iter.

Anche a marzo molto del dibattito parlamentare è stato occupato dalla conversione in legge di decreti del governo.

Per la metà dei decreti approvati da inizio legislatura infatti, l’esecutivo è stato costretto ad utilizzare lo strumento, forzando la mano del dibattito, velocizzando la trattazione in aula e serrando i ranghi della maggioranza. È stato “costretto” a farlo soprattutto sui decreti più complessi e controversi dibattuti finora dall’aula: il milleproroghe, il decreto sicurezza, il decreto fiscale, il decreto semplificazioni e infine il decreto su reddito di cittadinanza e quota 100.

In un caso addirittura, e stiamo parlando del decreto sicurezza, i voti di fiducia sono stati necessari in entrambi i rami. Non è mai un elemento positivo per la qualità del dibattito parlamentare quando sia camera che senato vedono posta la questione di fiducia sullo stesso provvedimento. In questa legislatura, oltre che sul decreto sicurezza, era successo anche sulla legge di bilancio, approvata con 3 voti di fiducia.

Percorso più lineare invece, e senza il ricorso alla fiducia, per i provvedimenti d’urgenza dall’impatto normativo più basso: decreto sul tribunale di Bari, quello per la cessione di unità navali alla Libia, il provvedimento d’urgenza per il riordino dei ministeri e quello per il salvataggio di banca Carige. Proprio su quest’ultimo testo, approvato nel mese appena trascorso, la fiducia non è stata necessaria anche perché l’opposizione ha deciso di “facilitare” il compito al governo uscendo dall’aula al momento del voto finale.

Sono stati contati solamente i decreti che hanno completato l’iter parlamentare.

FONTE: dati ed elaborazione Agi-openpolis

Al di là dei due decreti che sono diventati legge, il parlamento, come già detto, ha approvato anche altri due testi. Uno per l’istituzione del registro nazionale dei tumori, e l’altro in materia di legittima difesa. Il mese di marzo segna quindi per il governo Conte il raggiungimento 3 punti centrali del programma di governo firmato ad inizio legislatura: reddito di cittadinanza, quota 100 in materia di pensioni e la riforma della legittima difesa.

3 dei principali punti del programma di governo 5stelle-Lega sono stati approvati a marzo: reddito di cittadinanza, quota 100 e riforma della legittima difesa

Un mese quindi particolarmente intenso nelle aule di camera e senato. Lo è stato non solo per le approvazioni in via definitiva di 4 testi, ma anche per le altre 11 votazioni che hanno avanzato l’iter di provvedimenti ancora in discussione. Da questo punto di vista da inizio legislatura, solo nel novembre scorso ci sono stati più voti finali in parlamento (18).

Merita menzione speciale in questo senso l’annuale legge europea che è stata modificata e approvata alla camera, e che ora dovrà quindi tornare al senato. In aggiunta sono state votate anche: 4 ratifiche di trattati internazionali, il provvedimento per il distacco di 2 comuni dalle Marche all’Emilia-Romagna, e il disegno di legge per la modificata dell’articolo 416-ter in materia di voto di scambio politico-mafioso.

Viene mostrato il numero di voti finali nel mese in questione. Più voti possono riguardare lo stesso testo.

FONTE: dati ed elaborazione Agi-openpolis

Il confronto con i governi precedenti

Il governo Conte con il mese di marzo festeggia i 10 mesi di vita, superando in durata l’esecutivo che aveva iniziato la precedente legislatura, guidato da Enrico Letta. Con 304 giorni di durata, il governo giallo-verde diventa il 36° più lungo della storia repubblicana sui 65 che si sono susseguiti.

Notoriamente l’instabilità politica che da sempre accompagna il nostro paese ha portato ad esperienze governative relativamente brevi. Va però detto, in controtendenza con quanto appena sottolineato, che 2 dei 4 governi più lunghi in durata della storia repubblicana hanno operato negli ultimi 10 anni. Parliamo infatti del quarto governo Berlusconi, primo della XVI legislatura e durato 1.287 giorni, secondo più lungo della storia, e quello guidato da Matteo Renzi, quarto per durata dal 1946 ad oggi, e arrivato a 1.024 giorni.

I dati del governo Conte sono al primo aprile 2019.

FONTE: dati ed elaborazione Agi-openpolis

La variabile della durata non è da ignorare. L’esperienza del governo Letta, nato all’inizio di una legislatura con presupposti simili all’attuale vista l’alleanza inedita tra due forze avversarie fino a pochi mesi prima, si era conclusa anticipatamente a causa di una crisi politica. Una crisi che si era manifestata anche con l’uscita di Forza Italia dalla maggioranza di governo, e quindi una riformulazione dell’alleanza che sarebbe poi stata guidata da Matteo Renzi. L’alleanza 5stelle-Lega in questo senso si è dimostrata più stabile, nonostante i presupposti per molti fossero peggiori, e nonostante stiamo parlando di forze nuove ad alleanze di governo di questo genere.

A marzo sono state votate le prime due mozioni di sfiducia della legislatura.

All’interno del quadro appena descritto però le opposizioni stanno continuando ad avere un ruolo. A marzo sono state votate infatti le prime 2 mozioni di sfiducia della XVIII legislatura, presentate rispettivamente da Partito democratico e Forza Italia nei confronti di un membro del governo. Nello specifico le mozioni avevano come protagonista il ministro delle infrastrutture e dei trasporti Danilo Toninelli (M5s), reo, a detta delle opposizioni, di aver mal gestito nei suoi mesi di mandato la questione della Tav Torino-Lione.

“[...] le decisioni assunte, e soprattutto quelle non assunte, dal ministro Toninelli risultano in evidente contrasto con lo stesso programma di governo presentato al senato dal presidente del consiglio dei ministri Conte e soprattutto contro l'interesse della nazione, che sta segnando, anche a causa del blocco delle principali opere pubbliche, una recessione economica già registrata negli ultimi due trimestri del 2018 [...] Esprime la propria sfiducia al ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Danilo Toninelli, e lo impegna a rassegnare immediatamente le proprie dimissioni

È la prima volta per un membro dell’esecutivo giallo-verde che viene votata in aula una mozione di sfiducia. Nella scorsa legislatura era successo in 5 diverse occasioni: 2 volte con Angelino Alfano (prima nel 2013 e poi nel 2014), una volta con Anna Maria Cancellieri (sotto il governo Letta), e infine con i ministri del governo Renzi Boschi e Lotti.

Dalla IX alla XVII legislatura sono state votate 25 mozioni di sfiducia nei confronti di singoli ministri. Nel conteggio vengono considerati solo i singoli eventi, in cui a volte possono essere state presentate e votate anche più mozioni da diversi partiti per lo stesso caso. Va detto che nella storia repubblicana lo strumento ha ormai più un valore simbolico e politico, più che reale.

In una sola occasione infatti la mozione di sfiducia ha avuto esito positivo. Era il 1995 e l’allora ministro della giustizia Filippo Mancuso (governo Dini) fu sfiduciato dal parlamento con 173 voti favorevoli. Vai a "Come si sfiducia un ministro"

Tornando al caso Toninelli, entrambe le mozioni, presentate al senato, hanno avuto esito negativo. A votare a favore in entrambi i casi sono stati i parlamentari del Partito democratico e di Forza Italia. L’altro principale gruppo di opposizione a Palazzo Madama invece, Fratelli d’Italia, ha optato per votare Sì sulla mozione presentata da Forza Italia, ma di astenersi su quella presentata dal Partito democratico.

Compatto invece il comportamento della maggioranza. Anche le 2 senatrici Fattori e Nugnes, note per essere le più critiche all’interno del Movimento 5 stelle, hanno votato contro le mozioni in entrambe le circostanze. Compattezza che, come vedremo, non si è vista sul voto sempre al senato per l’autorizzazione a procedere al ministro Salvini sul caso Diciotti.

Le mozioni riguardanti uno stesso argomento, anche se non abbinate, sono state considerate una sola volta. Sono state contate anche le mozioni contro viceministri e sottosegretari.

FONTE: Banca dati della camera

È giusto sottolineare che con il passare dei mesi sta emergendo una nuova tematica, che nel suo piccolo sta contraddistinguendo l’attuale esecutivo dai precedenti nella gestione “quotidiana” dell’attività parlamentare. Stiamo parlando della bassa percentuale di interrogazioni a risposta scritta presentate dai parlamentari che hanno avuto una risposta da parte dei membri del governo da inizio legislatura

7,97% delle interrogazioni a risposta scritta al governo Conte ha ricevuto risposta, percentuale sensibilmente più bassa rispetto agli esecutivi precedenti.

Dall’inizio del governo Conte ne sono state depositate 2.059, di cui solamente 164 hanno ottenuto una risposta da parte del ministro competente, il 7,97% del totale. Rispetto alla legislatura precedente, e i governi che si sono susseguiti nei 5 anni che sono andati dal 2013 al 2018, l’attuale esecutivo sta registrando percentuali considerevolmente più basse. Per il governo Letta il tasso di risposta era al 15,46%, per quello guidato da Matteo Renzi al 18% e per quello con Paolo Gentiloni al Palazzo Chigi il dato era al 16,46%.

Nel confronto governo Letta - governo Conte, il secondo ha risposto alla metà delle interrogazioni rispetto al primo.

Va ricordato che gli ultimi due governi appena menzionati sono durati più tempo, e quindi hanno avuto maggiore possibilità di rispondere alle tante interrogazioni depositate da deputati e senatori. Non solo, essendo arrivati in corso di legislatura, e con una maggioranza già stabile, non hanno dovuto gestire l’avvio di una nuova fase politica.

Ciò detto, nel confronto con il governo Letta, durato più o meno come l'attuale e molto simile per caratteristiche, il distacco nei valori è sensibile. Nei 10 mesi di vita dell’esecutivo Letta i membri del governo avevano svolto il 15,46% delle interrogazioni a risposta scritta, quasi il doppio del governo Conte.

I dati del governo Conte sono al primo marzo 2019.

FONTE: dati parlamento, elaborazione Agi-openpolis

Scomponendo il dato per i singoli dicasteri emergono numerose differenze tra i membri del governo Conte. Partiamo subito dicendo che i due ministri più sollecitati, Salvini e Toninelli, hanno un tasso di risposta superiore alla media: del 9,62% il primo e del 10,34% il secondo. Negativo invece il contributo di altri ministri a cui sono state destinate un alto numero di interrogazioni. Il ministro dell’economia Tria ha risposto a 0 delle 101 interrogazioni a risposta scritta a lui destinate, la presidenza del consiglio (Conte e Giorgetti) a 0 delle 117 ricevute, il ministro dell’istruzione Bussetti a 0 delle 159, e infine la ministra della salute Giulia Grillo a una delle 189.

Meritano invece menzione speciale due dicasteri che hanno un alto tasso di risposta, notevolmente superiore alla media. Nello specifico parliamo del ministero degli esteri, che ha svolto al 45,88% delle interrogazioni a risposte scritta ricevute, e del ministero della difesa, per cui il tasso di risposta è al 22,95%.

Percentuale di risposte a interrogazioni a risposta scritta

ministeroministrointerrogazioni depositatecon risposta pubblicatapercentuale
InternoSalvini343339,62%
InfrastruttureToninelli2612710,34%
SaluteGrillo18910,53%
AmbienteCosta1761810,23%
IstruzioneBussetti15900%
LavoroDi Maio14342,80%
Presidenza del consiglio dei ministriConte - Georgetti11700%
Sviluppo economicoDi Maio11665,17%
GiustiziaBonafede114119,65%
Economia e finanzeTria10100%
Beni culturaliBonisoli86910,47%
Affari esteriMoavero Milanesi853945,88%
DifesaTrenta611422,95%
Politiche agricoleCentinaio5111,96%
Pubblica amministrazioneBongiorno3100%
Famiglia e disabilitàFontana9111,11%
Affari regionaliStefani800%
Per il sudLezzi500%
Affari europeiSavona-Conte200%
Rapporti con il parlamentoFraccaro200%

dati al 1° marzo 2019

 

Gli equilibri della maggioranza

Oltre alla questione di fiducia sul decreto reddito di cittadinanza e quota 100 alla camera, che il governo ha ottenuto con tranquillità, l’altro voto importante che si è svolto nel mese di marzo è stato quello sull’autorizzazione a procedere nei confronti del leader della Lega Matteo Salvini.

La questione è nota e riguarda la responsabilità del ministro dell’interno sul caso Diciotti, e sul voto dell’aula sul documento approvato dalla giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari di Palazzo Madama in cui veniva negata l’autorizzazione a procedere giuridicamente nei confronti del ministro.

Il voto sull’autorizzazione a procedere ha dimostrato per l’ennesima volta quanto le opposizioni siano frammentate.

L’analisi di questo voto è interessante per due motivi. Il primo è perché mostra le numerose sfumature dell’attuale opposizione, o più correttamente, delle varie opposizioni. Nel voto sull’autorizzazione a procedere Forza Italia e Fratelli d’Italia hanno votato a favore del diniego. La scelta è giustificata da due elementi: da un lato dal sostegno che i due gruppi hanno deciso di dare all’alleato di coalizione durante le scorse elezioni politiche, dall’altra dalla nota posizione a favore dell’immunità parlamentare di movimenti come Forza Italia.

Rispetto al voto sulla sfiducia a Toninelli quindi, in questo caso i numeri a sostegno della maggioranza sono notevolmente cresciuti. Questo dimostra che, a differenza del Movimento 5 stelle, la Lega può, quando serve, contare sempre sui vecchi alleati con cui ha partecipato alle ultime elezioni politiche.

Sono stati confrontati il voto al senato del 20 marzo sull’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini, e quello del 21 marzo sulla mozione di Forza Italia contro Toninelli.

FONTE: Agi-openpolis

Tornando all'esito del voto, capitolo a parte lo meritano invece i senatori del Movimento 5 stelle. Come noto storicamente il partito guidato da Luigi Di Maio è sempre stato contro l’immunità parlamentare, considerandolo un “privilegio” da abolire. Proprio per questo motivo era molto atteso il primo voto in aula che vedeva un ministro del governo giallo-verde coinvolto. Il voto è stato soprattutto l’ennesima occasione per monitorare il comportamento dei cosiddetti “dissidenti” all’interno del Movimento 5 stelle. Argomento che abbiamo già avuto modo di trattare nella scorsa edizione dell’Osservatorio legislativo.

Storicamente contro, è la prima volta che il M5s ha votato per vietare l'autorizzazione a procedere nei confronti di un parlamentare.

Nel caso specifico sono emerse le note criticità all’interno del partito pentastellato, con ben 3 senatrici che hanno votato contro il documento della giunta, decidendo quindi di non seguire la linea dettata dalla maggioranza. Parliamo nello specifico di Virginia La Mura, Paola Nugnes ed Elena Fattori. La scelta non ha influito sull’esito finale del voto, proprio perché la maggioranza ha comunque potuto godere, come visto, del sostengo di Forza Italia e Fratelli d’Italia.

3 voti ribelli all’interno del Movimento 5 stelle sull’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini: Fattori, La Mura e Nugnes

Sul provvedimento clou approvato nel mese appena trascorso invece, il decreto reddito di cittadinanza e quota 100, non ci sono stati voti ribelli, e tutte e 3 le senatrici hanno espresso parere favorevole alla proposta di legge. Quello che sta emergendo quindi è che mentre sui provvedimenti voluti dal Movimento 5 stelle, come il reddito di cittadinanza, con difficoltà le senatrici in questione fanno mancare il loro sostegno, è su quelli voluti dalla Lega che emergono i problemi. A fine mese proprio il senato ha dato il via libera in via definitiva al ddl per la riforma della legittima difesa, provvedimento bandiera del partito guidato da Matteo Salvini. In quest’occasione Fattori, La Mura e Nugnes erano tutte e tre assenti, come lo erano anche quando a inizio novembre Palazzo Madama ha votato la fiducia al decreto sicurezza.

Sui provvedimenti in materia di sicurezza voluti dalla Lega Fattori, La Mura e Nugnes non partecipano ai voti finali.

Quando all’ordine del giorno ci sono provvedimenti in materia di sicurezza voluti dalla Lega, o anche il testo sull’autorizzazione a procedere nei confronti di Salvini, le 3 senatrici fanno sempre sentire la loro voce, ufficializzando pubblicamente il loro dissenso durante le votazioni.

Cosa monitorare nelle prossime settimane

Sarà ora quindi interessante monitorare il comportamento del collegio dei probiviri nei confronti delle senatrici in questione. Nell’ultima comunicazione a riguardo, risalente a fine dicembre 2018, il collegio aveva archiviato la procedura già pendente nei confronti di Virginia La Mura, mentre quella nei confronti di Fattori e Nugnes era considerata ancora pendente e sott’esame. Ricordiamo che l’ultima espulsione per violazione del codice etico M5s risale proprio a fine anno (De Bonis e De Falco), evento che aveva già costretto la maggioranza a subire un duro colpo a Palazzo Madama.

Eventuali ulteriori espulsioni al senato comprometterebbero i numeri della maggioranza.

La compattezza della maggioranza, soprattutto al senato, continuerà quindi ad essere una tema da monitorare anche nei prossimi mesi. Ad oggi infatti i due principali azionisti di governo, Movimento 5 stelle e Lega, possono contare su 165 senatori. A questi possiamo aggiungere i due membri del Movimento associativo italiani all’estero (Maie) presenti nel gruppo Misto, e che portano il totale a sostegno del governo a 167. Il margine di +6 sulla soglia della maggioranza assoluta (161 senatori) non è sicuramente tranquillizzante, ed eventuali ulteriori espulsioni all’interno del Movimento contribuirebbero a renderlo ancora più pericolante.

I membri del Maie, come gli espulsi del M5s, fanno parte del gruppo Misto del senato.

FONTE: elaborazione Agi e openpolis su dati del parlamento

Il governo ha quindi passato indenne il mese di marzo. Nonostante i tanti banchi di prova, sia individuali per alcuni membri del governo, che legislativi per la discussione di testi controversi, l'esecutivo ha portato a casa tutti i risultati voluti. Le sfide però non terminano certamente qui, e la continua approvazione di decreti "salvo intese" ne è un esempio.

Molto decreti approvati "salvo intese", prova delle tante differenze ancora interne alla maggioranza.

È successo a marzo con lo sblocca cantieri, e successo ad aprile con il decreto crescita. L'accordo sui testi politicamente più complessi viene trovato sempre più spesso con difficoltà. E su quelli chiaramente riconducibili alla Lega, i dissidenti all'interno del Movimento 5 stelle continuano a far sentire la loro voce. Elementi che se da un lato sono normali vista la natura dei due partiti a Palazzo Chigi, dall'altro mettono l'alleanza di governo alla costante ricerca di una stabilità che dopo quasi 1 anno stenta ancora ad arrivare.

 

Foto credit: Twitter - Danilo Toninelli

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