Come si sfiducia un ministro

La mozione di sfiducia è l’atto con cui il parlamento chiede le dimissioni di un governo o di un suo singolo componente.

Definizione

In Italia il governo è legato al parlamento da un rapporto fiduciario. Ciò significa che un esecutivo, una volta nominato dal presidente della repubblica, per poter entrare effettivamente in carica deve prima presentarsi alle camere per ottenere la loro approvazione.

Così come la concede però, il parlamento può anche revocare la fiducia a un governo, che in questo caso è costretto a dimettersi. Ciò avviene appunto con la cosiddetta mozione di sfiducia.

La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione.

La costituzione italiana non prevede esplicitamente che possa essere sfiduciato un singolo componente di un esecutivo. D’altronde nemmeno esclude questa possibilità. Infatti a partire dagli anni ottanta questa è diventata una prassi ricorrente. Il primo caso si è verificato nel 1984. In quell’occasione alcuni esponenti di opposizione presentarono una richiesta di dimissioni dell’allora ministro degli esteri Giulio Andreotti per il suo presunto coinvolgimento nel caso Sindona.

Solo il regolamento della camera prevede esplicitamente la possibilità di sfiduciare un singolo ministro.

Successivamente a questo passaggio ci fu una revisione del regolamento della camera. Da quel momento infatti l’articolo 115 prevede che per le mozioni di sfiducia rivolte a un singolo ministro si applichi la stessa disciplina di quelle rivolte all’intero governo. Curiosamente non è prevista una stessa formulazione così specifica al senato. La questione però fu definitivamente risolta dalla corte costituzionale. Nel 1996 infatti si espresse in seguito al ricorso dell’allora ministro di grazia e giustizia del governo Dini, Filippo Mancuso, sfiduciato dagli esponenti di palazzo Madama.

Gli effetti derivanti dalla approvazione di una mozione siffatta sono esterni al Senato: in primis, l’obbligo del titolare dell’organo colpito da sfiducia di dimettersi. Qualora questo obbligo non sia rispettato, il Presidente della Repubblica può nominare il nuovo titolare dell’ufficio, con sostituzione del titolare sfiduciato.

La sentenza dunque non solo riconosceva la possibilità di mozioni di sfiducia individuali ma confermava la possibilità di presentarle anche da parte dei senatori sulla base del principio della parità di poteri tra le due camere.

Dati

La mozione di sfiducia individuale è uno strumento dal peso politico piuttosto rilevante eppure, salvo alcune eccezioni, non troppo utilizzato finora. Grazie alla banca dati della camera possiamo osservare che tra la IX e la XVIII legislatura (1983-2022) ne sono state presentate in tutto 75. Di cui meno della metà (33) effettivamente discusse e votate in aula.

Da notare il dato particolarmente elevato della XVII legislatura in cui gli atti depositati sono stati ben 26. Il motivo di questo picco è da attribuire all’ingresso in parlamento del Movimento 5 stelle. Restringendo l’analisi alle sole mozioni discusse infatti, 4 su 5 erano presentate proprio da questo gruppo. E la quinta aveva comunque visto la firma di diversi esponenti M5s.

FONTE: elaborazione openpolis su dati camera
(ultimo aggiornamento: venerdì 7 Luglio 2023)

Nella XVIII legislatura le mozioni di sfiducia discusse sono state 7 ma hanno riguardato solamente 3 esponenti. Le prime 2 risalgono al 2019 e riguardano l’allora ministro delle infrastrutture Danilo Toninelli. All’epoca furono centrodestra e centrosinistra, con 2 atti distinti, a chiederne le dimissioni per le sue posizioni riguardanti la linea ad alta velocità Torino-Lione.

Nel 2020 poi altre 2 mozioni, che avevano come firmatari esponenti del centrodestra e alcuni del misto (inclusa Emma Bonino), riguardarono Alfonso Bonafede all’epoca ministro della giustizia. La contestazione in questo caso riguardava la lacunosa gestione delle carceri durante la pandemia che portò, tra l’altro, anche alla scarcerazione di alcuni detenuti sottoposti al regime del 41-bis.

Infine nel 2021 si registrarono 3 distinte mozioni di sfiducia nei confronti del ministro della salute Roberto Speranza. Anche in questo caso evidentemente la contestazione riguardava la gestione dell’emergenza da Covid-19. Le mozioni erano tutte firmate da esponenti del misto (tra cui moltissimi fuoriusciti dal Movimento 5 stelle) e di Fratelli d’Italia che all’epoca era l’unico gruppo parlamentare espressamente all’opposizione.

1 mozione di sfiducia conclusa con l’approvazione.

È particolarmente rilevante il fatto che finora c’è stato un unico caso di mozione approvata. È avvenuto nel 1995 e riguardava l’esponente del governo Dini, Filippo Mancuso. L’allora ministro della giustizia aveva, tra le altre cose, lanciato pesanti accuse nei confronti del presidente della repubblica Oscar Luigi Scalfaro. 

Un altro elemento interessante da rilevare riguarda il fatto che non sempre le mozioni di sfiducia riguardano il comportamento dei ministri nello svolgimento delle loro funzioni. Infatti tra la XV e la XVII legislatura in molti casi gli esponenti dei vari esecutivi sono stati soggetti a mozione di sfiducia per il sospetto che avessero commesso atti illeciti o quantomeno illegittimi. Solo per citare alcuni esempi, nel 2015 la ministra per le riforme Maria Elena Boschi ricevette una mozione di sfiducia dal Movimento 5 stelle. In particolare l’accusa era di aver spinto per l’approvazione del decreto “salva banche” al fine di aiutare il padre, ex vicepresidente di Banca Etruria, salvata dal decreto.

Nel 2017 invece l’allora ministro dello sport Luca Lotti fu soggetto a mozione di sfiducia perché indagato per favoreggiamento nell’ambito dell’inchiesta per corruzione relativa alla Consip.

Analisi

In base ai dati passati in rassegna, lo strumento della mozione di sfiducia può apparire poco efficace e anche relativamente sotto-utilizzato. Certamente sfiduciare un ministro della repubblica non è un gesto che può essere fatto con leggerezza. Ma questa dinamica può forse essere spiegata anche con il fatto che è generalmente l’opposizione a presentare atti di questo tipo. La maggioranza dal canto suo tenderà a “proteggere” l’esponente del proprio governo votando contro.

Un ricorso eccessivo a questo strumento dunque potrebbe rischiare di rivelarsi controproducente, contribuendo a far apparire poco incisivo l’operato delle opposizioni. Più spesso queste ultime si limitano a chiedere le dimissioni di un esponente del governo nei casi in cui il suo operato finisca sotto accusa per qualche motivo.

Una mozione di sfiducia individuale può risparmiare al capo del governo l’imbarazzo di chiedere a un ministro a dimettersi.

D’altro canto, in alcuni casi la presentazione di questi atti può comunque produrre delle conseguenze. Ad esempio l’ex ministro delle infrastrutture del governo Renzi Maurizio Lupi, sospettato di abuso d’ufficio, si dimise ancora prima della votazione della mozione a suo carico. Le dimissioni non furono pienamente volontarie: Matteo Renzi dichiarò infatti che se Lupi non si fosse dimesso avrebbe dato libertà alla maggioranza su come votare.

È evidente quindi che in molti casi la sfiducia individuale possa essere sfruttata come sostituto del potere di revoca. Il presidente del consiglio non può infatti revocare direttamente l’incarico a un membro del suo governo. Ma lasciando libertà di voto costringe sostanzialmente il ministro alle dimissioni.

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