Decreti (incompleti) per implementare il programma di governo Osservatorio legislativo

A febbraio il decreto semplificazioni è stato approvato, con la fiducia, inglobando altri 2 decreti. I decreti in parlamento spesso cambiano, a volte troppo.

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Lo studio mensile realizzato con AGI in cui facciamo il punto sulla produzione legislativa del parlamento, analizzando il ruolo del governo nelle dinamiche di aula, e confrontando il tutto con quanto avveniva nelle legislature passate.

Il mese di febbraio in breve

Per la prima volta da novembre il governo di Giuseppe Conte non ha presentato decreti legge. Una novità che più che altro è stata una necessità, visto l’alto numero di provvedimenti in discussione la cui decadenza si stava avvicinando.

Non a caso il decreto semplificazioni, approvato con la fiducia, l’ennesima su un decreto del governo, è stato completamente rivoluzionato in parlamento. Il numero di commi è fortemente cresciuto, elemento dovuto all’accorpamento dell’atto con altri due provvedimenti d’urgenza in discussione: il decreto Ncc e quello sul rinnovo degli ordini forensi.

Come è ormai abitudine consolidata anche l’attuale esecutivo, come i precedenti, utilizza lo strumento del decreto legge impropriamente, principalmente per implementare l’agenda del governo. Non solo, come si vedrà, spesso e volentieri lo fa presentando al parlamento provvedimenti incompleti che vengono fortemente cambiati in aula, evenienza che può creare ambiguità legislative e che andrebbe quindi evitata.

L’andamento nella legislatura

Se nei mesi di dicembre e gennaio il consiglio dei ministri aveva deliberato numerosi decreti legge, a febbraio si è dovuto lavorare alla loro approvazione. Non a caso le riunioni del consiglio dei ministri sono servite principalmente alla gestione legislativa di normative esterne: la ratifica di trattati internazionali, l’adeguamento a normative europee e la valutazione di leggi regionali.

Poche le proposte presentate nelle 7 riunioni del consiglio dei ministri che si sono tenute nel mese appena concluso. Tra le novità il controverso inizio del processo di nomina per Savona alla guida della Consob, la designazione di Parma come capitale della cultura per il 2020 e l’approvazione di 10 disegni di legge delega, principalmente collegati alla manovra finanziaria.

Ad esclusione dell’incontro dello scorso 8 febbraio, che si è prolungato per 2 ore, quasi tutte le riunioni del consiglio dei ministri sono durate meno di 1 ora, per un dato medio che si attesta sui 47 minuti. Tra tutti spicca l’incontro del 19 febbraio, con la presentazione di un decreto legislativo per l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizione europee e la non impugnazione di 3 leggi regionali, che è durato solamente 5 minuti.

Per ogni mese è stata calcolata la durata media degli incontri svolti.

FONTE: elaborazione Agi e openpolis su dati del governo

In parlamento sono state approvate 4 leggi nel mese di febbraio, portando il totale della XVIII legislatura a 32. Il primo testo che ha concluso il proprio iter è stato il decreto semplificazioni approvato in via definitiva il 7 febbraio scorso, e su cui il giorno prima il governo aveva posto la fiducia. È il quarto decreto del governo Conte, sui 9 convertiti in legge, che ha necessitato di almeno un voto di fiducia per essere approvato. Nell’ordine era successo prima anche al milleproroghe, al decreto sicurezza (2 voti) e al decreto fiscale.

L’altro elemento particolare dell’approvazione del decreto semplificazioni, è il fatto che sia stato utilizzato per snellire la mole di provvedimenti in discussione e rimediare all’intasamento di decreti legge all’attenzione del parlamento. Nel decreto semplificazioni sono infatti confluiti altri due decreti, quello per gli Ncc, già decaduto, e quello per il rinnovo dei consigli degli ordini forensi, e che invece decadrà il prossimo 12 marzo.

Il decreto Ncc e quello sugli ordini forensi sono stati accorpati al decreto semplificazioni, su cui è stata posta la fiducia. Tre decreti in uno.

Oltre al succitato decreto, il parlamento ha anche approvato 3 provvedimenti di iniziativa parlamentare. Due di essi sono dal basso impatto normativo, avendo contribuito alla costituzione di 2 commissioni d’inchiesta: quella sul sistema bancario e finanziario, e quella sui fatti accaduti presso la comunità “Il Forteto”. L’altro, approvato il 27 febbraio, è una legge delega al governo per la riforma della disciplina della crisi d’impresa e dell’insolvenza.

Per ogni mese è stato riportato il numero di disegni di legge che hanno completato l’iter.

FONTE: elaborazione Agi e openpolis su dati del parlamento

Per l’ennesima volta a febbraio, come nello scorso mese, ad esclusione dei decreti del governo, camera e senato hanno approvato provvedimenti o dal basso impatto normativo, o su cui il contribuito dell’aula è generalmente basso.

L’eccezione è stata la legge delega ma, come noto, il provvedimento rimanda a successivi interventi normativi da parte dell’esecutivo. Vai a "Cosa sono legge delega e decreto legislativo"

Escludendo il decreto semplificazioni, le altre leggi approvate sono state tutte di iniziativa parlamentare, elemento sicuramente positivo, ma che sottolinea ancora una volta come a deputati e senatori sia lasciato il compito di presentare o proposte dal ridotto peso nelle dinamiche dell’aula, o che delegano il governo a legiferare su specifiche materie.

Le leggi approvate dal nostro parlamento sono state categorizzate per tipologia. Per leggi “ordinarie” si intendono qualsiasi altro disegno di legge che non rientra nelle altre categorie.

FONTE: elaborazione Agi e openpolis su dati del parlamento

Il confronto con i governi precedenti

La questione di fiducia posta sul decreto semplificazioni, la nona da inizio legislatura, ha confermato quanto il governo abbia bisogno di questo strumento per approvare i provvedimenti politici. Ormai da novembre, ogni volta che arriva in aula una proposta di legge per implementare il programma di governo, generalmente trattasi di decreti legge, l’esecutivo pone la fiducia. È stato così anche a febbraio, in cui per l’unico testo di peso approvato è stato necessario il voto di fiducia.

28,13% è il rapporto tra leggi approvate e voti di fiducia. In linea con gli esecutivi precedenti.

Circa 3 leggi su 10 hanno richiesto la fiducia, terza percentuale più alta dal governo Berlusconi ad oggi. Il governo Conte, come gli esecutivi della scorsa legislatura, sta facendo un ampio utilizzo di questo strumento. Questo da un lato evidenzia la fragilità dell’esecutivo, che necessità di questi mezzi per serrare i ranghi della maggioranza, dall’altro quanto l’intasamento di provvedimenti di urgenza nel calendario dei lavori costringa il governo a soluzioni “drastiche” per velocizzare il dibattito in parlamento.

È stato messo in relazione il numero di leggi approvate con il numero di questioni di fiducia poste su provvedimenti.

FONTE: elaborazione Agi e openpolis su dati del parlamento

Ciò nonostante la produzione legislativa del governo Conte continua ad essere molto bassa. Quantità non vuole certamente dire qualità, ma è indiscutibile il fatto che l’attuale esecutivo stia approvando un numero di leggi inferiore rispetto a quelli precedenti. Nei 9 mesi di governo sono state approvate 32 leggi, poco più di 3 al mese. Il dato è la metà della media registrata dagli esecutivi precedenti. Dal governo Berlusconi IV in poi gli esecutivi che si sono succeduti hanno infatti approvato una media di 6,54 leggi al mese.

Il numero di leggi approvate al mese è la metà rispetto agli esecutivi precedenti.

Tra le passate legislature prese in considerazione (XVI e XVII) i confronti più appropriati sono quelli con gli esecutivi che hanno cominciato i diversi quinquennati: Berlusconi IV e Letta. Gli altri infatti hanno potuto godere del lavoro fatto dagli esecutivi che li hanno preceduti, e sono stati quindi facilitati nell’ottenere un dato medio più alto. Ciò detto, anche i governi che come quello guidato da Conte hanno iniziato la legislatura hanno un dato medio più alto: Berlusconi con 6,64 leggi al mese e Letta con 4,67.

Quantità non vuol dire qualità. Il governo Conte però è sicuramente l’esecutivo che dal 2008 ad oggi sta producendo meno leggi.

Per ogni governo è stato calcolato il rapporto tra leggi approvate e durata dell’esecutivo.

FONTE: elaborazione Agi e openpolis su dati del parlamento
(ultimo aggiornamento: mercoledì 27 Febbraio 2019)

Questo dato ovviamente non basta per valutare la bontà delle proposte normative avanzate dall’esecutivo, ma ciò nonostante è comunque indicativo di un cambio di passo rispetto al passato.
Un altro modo per affrontare la questione è vedere la natura delle proposte che il governo ha presentato al parlamento. Da quando si è insediato il governo Conte ha portato all’attenzione dell’aula 56 testi, quasi la metà (il 48%) sono ratifiche di trattati internazionali. Si tratta della percentuale più alta tra i 6 governi presi in considerazione. Tra i 9 disegni di legge “ordinari” presentati dalla squadra di Conte abbiamo: il ddl anticorruzione, la legge europea e la legge di delegazione europea, alcuni provvedimenti collegati alla manovra economica e un ddl contro la violenza di genere.

48% Delle proposte avanzate dal governo sono ratifiche di trattati internazionali.

Per il resto il governo ha presentato al parlamento una percentuale alta di decreti legge (il 26,79% del totale), un valore superato solo dal governo Monti (28,15%). Va però ricordato che l’esecutivo che ha portato a termine la XVI legislatura è arrivato in un momento di forte crisi economica ed istituzionale, e che era composto interamente da ministri tecnici.

Tre quarti delle proposte avanzate al parlamento sono state o decreti o ratifiche.

Le leggi presentate al parlamento sono state divise per tipologie.

FONTE: elaborazione Agi e openpolis su dati del parlamento
(ultimo aggiornamento: mercoledì 27 Febbraio 2019)

È mettendo insieme i diversi aspetti dell’attuale situazione politica che emergono le reali problematiche della produzione legislativa di parlamento e governo in questa legislatura. Se alcuni mali sono cronici, come la predominanza dell’iniziativa governativa su quella parlamentare, quello che invece sembra essere una novità è la mancanza di vie alternative alla decretazione d’urgenza.

L’unico strumento utilizzato dal governo per avanzare il suo programma è l’emanazione di decreti legge

I disegni di leggi “ordinari” per avanzare proposte di governo sono pochi, e raramente vengono discussi dall’aula. Non solo, le proposte politiche dei parlamentari conseguentemente hanno pochissimo spazio a Montecitorio e Palazzo Madama, e quando lo hanno riguardano materie marginali.

 

Gli equilibri della maggioranza

Il voto di fiducia che si è tenuto alla camera è stato l’ennesimo test importante per il governo di Giuseppe Conte. Tra i due rami, Montecitorio è certamente quello in cui l’esecutivo gode di un margine più ampio sulla soglia di maggioranza, ma ciò nonostante alcuni elementi interessanti si possono comunque analizzare. Quello sul decreto semplificazioni è stato il sesto voto di fiducia alla camera da inizio legislatura, ed è stato anche quello con la percentuale più bassa di voti favorevoli. In aggiunta i No hanno raggiunto per la prima volta il 40% dei votanti. I Sì sono stati 310, 6 in meno della maggioranza assoluta (metà +1 dell’aula).

A febbraio il governo ha posto la fiducia sul decreto semplificazioni, ottenendo la percentuale più bassa di voti favorevoli tra le votazioni prese in considerazione.

Sono state considerate solamente le questioni di fiducia su provvedimenti in discussione a Montecitorio.

FONTE: elaborazione Agi e openpolis su dati del parlamento
(ultimo aggiornamento: mercoledì 27 Febbraio 2019)

È interessante però vedere il diverso comportamento tra i due partiti al governo: Movimento 5 stelle e Lega. Dei 15 deputati leghisti che fanno parte del governo, solo 1 era in missione durante la votazione (il ministro Fontana). Tra i 5stelle invece, dei 21 deputati membri del governo, ne erano in missione ben 11, oltre la metà. Un elemento non da poco, considerando che in tutti gli altri voti di fiducia alla camera la situazione è stata la stessa: praticamente presenti al completo i membri del governo eletti con la Lega, e quasi sempre assenti quelli del Movimento 5 stelle. Soprattutto quando scendono i presenti, il ruolo dei tanti parlamentari che sono anche membri del governo può essere fondamentale per passare indenni le votazioni. In un certo senso il contributo della Lega in questi contesti è maggiore e più responsabile.

Le possibili espulsioni di Fattori e Nugnes renderebbe Palazzo Madama un terreno ancora più ostico per il governo.

Al senato invece, dopo le espulsioni di De Bonis e De Falco, si è molto discusso all’interno del Movimento sulla possibilità di riservare lo stesso trattamento a due senatrici sempre più in contrasto con la linea del partito: Elena Fattori e Paola Nugnes.
Attualmente il margine del governo sulla soglia di maggioranza, considerando solo i gruppi 5stelle, Lega e Maie, è di soli 6 senatori. Se dovessero concretizzarsi le espulsioni di Fattori e Nugnes lo scarto scenderebbe a +4. Ricordiamo poi che ben 13 senatori fanno parte del governo. Parlamentari che quindi sono spesso in missione, rendendo l’attuale margine ancora più debole. In un certo senso l’avere delle opposizioni variegate e divise, che su alcuni provvedimenti sostengono persino l’esecutivo, facilita la vita al governo. In un sistema bipolare, proprio alla luce di quando detto finora, l’esecutivo Conte avrebbe molte più difficoltà a governare.

Al momento la maggioranza può contare su 167 senatori.

I membri del Maie, come gli espulsi del M5s, fanno parte del gruppo Misto del senato.

FONTE: elaborazione Agi e openpolis su dati del parlamento
(ultimo aggiornamento: martedì 5 Febbraio 2019)

A questo punto è però interessante analizzare quali sia stato il comportamento delle due senatrici in parlamento nell’ultimo periodo, visto che i segnali di rottura con il Movimento 5 stelle vanno avanti ormai da un po’ di mesi.

+6 è lo scarto del governo sulla soglia di maggioranza assoluta al senato.

Escludendo il voto per la ratifica di un trattato internazionale, a febbraio si sono tenuti 3 voti finali a Palazzo Madama. Nei primi due casi le senatrici non hanno partecipato alla votazione, o per assenza o a causa di missioni istituzionale. Più interessante invece quanto avvenuto sul decreto reddito di cittadinanza e quota 100, provvedimento simbolo del governo in questa fase della legislatura. Elena Fattori ha deciso di evidenziare il suo dissenso nei confronti del provvedimenti non votando, pur rimanendo in aula durante la votazione. Paola Nugnes invece ha espresso parere favorevole sul provvedimento.

Come hanno votato le due senatrici negli ultimi voti finali al senato - 
 Sono state escluse le ratifiche dei trattati internazionali

provvedimentiFattoriNugnes
Legge di bilancio (22/12/2018)favorevolefavorevole
Decreto semplificazioni (29/01/2019)assentein missione
Ddl riduzione parlamentari (07/02/2019)in missioneassente
Ddl su legge elettorale e numero parlamentari (19/02/2019)assenteassente
Decreto reddito cittadinanza e quota 100 (27/02/2019)presente non votantefavorevole

 

Altro elemento da considerare è quello dei voti ribelli, occasioni in cui le senatrici non hanno seguito la linea del gruppo M5s. La stragrande maggioranza dei casi in cui è successo sono avvenuti dal nuovo anno in poi.
Questi elementi messi insieme dimostrano come già da tempo l’apporto delle due senatrici alla causa del Movimento 5 stelle sia meno costante. Palazzo Madama quindi, a prescindere dall’espulsione delle senatrici, è destinato a continuare ad essere un terreno pericoloso per il governo.

Il focus: i decreti legge

Non è una novità che gli ultimi governi abbiano fatto un utilizzo sbagliato dei decreti legge. L’articolo 77 della costituzione dà la possibilità all’esecutivo di intervenire con un provvedimento che ha effetto immediato, il decreto, in casi di necessità e urgenza.

Il governo non può, senza delegazione delle camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria. Quando, in casi di necessità e urgenza, il governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni. I decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non convertiti in legge entro 60 giorni dalla loro pubblicazione [...]

Sempre più spesso però si fa ricorso allo strumento in maniera impropria, utilizzandolo non per emergenze o urgenze, ma per implementare il programma di governo

60% dei decreti utilizzati per implementare l’agenda di governo. È un abuso dello strumento, lo dice la costituzione.

Dei 15 decreti emanati dal governo Conte da quando si è insediato, il 60% sono testi che hanno avuto il chiaro scopo di implementare l’agenda politica dell’esecutivo: decreto dignità, decreto sicurezza, decreto sul reddito di cittadinanza e quota 100 e il decreto semplificazione ne sono un perfetto esempio.

Nel 60% dei casi in cui è stato emanato un decreto legge lo si è fatto per implementare il programma di governo. Solo in 2 occasioni è stato utilizzato per un’emergenza: per il crollo del ponte di Genova e per il salvataggio di Carige.

Definizioni – Necessità sopraggiunta: per affrontare eventi imprevisti, ma che non rientrano in emergenze e urgenze operative; Annuali: leggi approvate ogni anno tramite decreto (es. milleproroghe)

FONTE: elaborazione Agi e openpolis su dati del parlamento
(ultimo aggiornamento: mercoledì 13 Marzo 2019)

Altri testi invece sono stati deliberati per affrontare necessità sopraggiunte nel corso dei mesi, ma che con difficoltà possono essere categorizzate come “emergenze”, vedi il decreto per il rinnovo dei consigli degli ordini forensi. Alcune urgenze ci sono state, come il crollo del ponte di Genova e il salvataggio di banca Carige, situazioni che hanno giustamente richiesto l’approvazione in consiglio dei ministri di specifici decreti.

Altra questione non da poco riguarda invece il come questi provvedimenti arrivano in parlamento. Come già analizzato il decreto semplificazioni è stato approvato con la fiducia, accorpando al suo interno altri due decreti che trattavano tutt’altro. Questo è stato permesso perché è prassi sempre più comune approvare decreti omnibus, che riguardano quindi diverse materie. Questo di fatto è già un problema, considerando quanto prescritto dalla legge 400 del 1988:

I decreti devono contenere misure di immediata applicazione e il loro contenuto deve essere specifico, omogeneo e corrispondente al titolo.

La mole di decreti presentati dal governo tra dicembre e gennaio ha creato una situazione di sovraccarico nel mese appena trascorso. Questo, come appena visto, ha costretto all’accorpamento di tre testi in uno, ma ha anche obbligato il senato ad approvare in prima lettura il decretone (su quota 100 e reddito di cittadinanza) anche se non ancora finalizzato. Il 9 marzo sarebbe decaduto il decreto salva-Carige, a cui al tempo però mancava ancora il voto proprio di Palazzo Madama per essere convertito in legge.

Si è dovuto quindi liberare l’agenda dei lavori del senato, per evitare che il provvedimento per il salvataggio della banca non fosse convertito in tempo. I nodi da sciogliere sul decretone erano ancora troppi, e si è quindi preferito spostare la trattazione dell’atto alla camera, ramo in cui, tra le altre cose, il governo gode di una maggioranza più ampia.

Il “decretone” è stato approvato in prima lettura al senato anche se incompleto, per dare spazio al decreto salva-Carige che stava per decadere

Sembra quindi evidente che non solo vengono presentati tanti decreti in maniera inopportuna, ma che spesso non arrivano in parlamento finalizzati, richiedendo contorte trattazioni parlamentari. Abusare dei decreti legge è sbagliato, farlo su provvedimenti non finalizzati è ancora peggio. Si rischia infatti di generare confusione procedurale e legislativa.

Tutti i principali provvedimenti del governo, come per esempio il decreto sicurezza o il decreto dignità, hanno visto il numero di commi incrementare durante la trattazione in aula. Questo può essere considerato un elemento positivo, visto che dà maggiore centralità al parlamento, se non fosse che avviene su decreti legge.

I decreti non dovrebbero essere rivoluzionati in parlamento, e questo continuo aumento di commi nella trattazione parlamentare non è certamente un elemento da sottovalutare. Non andrebbero rivoluzionati perché hanno effetto immediato, e i troppi cambiamenti potrebbero creare situazioni giuridiche ambigue.

+289% commi per il decreto semplificazioni tra il testo presentato dal governo e quello approvato dal parlamento.

Nonostante l’intervento del Quirinale per limitare il numero di emendamenti, proprio per i motivi appena citati, i commi del decreto semplificazioni da 39 sono diventati 152 (+289%), avendo accorpato altri due decreti. Destino analogo per il decreto fiscale, passato da 126 a 229 (+81%) o il decreto dignità, passato da 48 commi a 97 (+102%). Numeri da non sottovalutare considerando che, come fatto notare dal Comitato per la legislazione di Montecitorio, durante i primi 6 mesi del governo Letta l’aumento medio di commi sui decreti del governo era del 55%.

 

Foto credit: Palazzo Chigi - Licenza

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