L’Italia è il terzultimo paese in Ue per spesa in istruzione sul Pil #conibambini

I dati confermano come al diminuire del livello di istruzione corrispondano retribuzioni più basse. Per questo l’investimento in tale ambito può contribuire a una riduzione dei divari socio-economici. Anche se non è di per sé un indice di qualità, si tratta di un elemento da monitorare.

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I recenti dati pubblicati da Istat sulla povertà in Italia ci indicano che il 12,3% delle famiglie con figli nel 2024 si è trovata a vivere in condizioni di povertà assoluta. Una quota che supera il 20% tra i nuclei con almeno 3 minori a carico.

I dati confermano inoltre che la condizione economica delle famiglie tende a peggiorare al diminuire del titolo di studio della persona di riferimento. Tendenzialmente infatti un basso livello di istruzione riduce le opportunità di accesso a lavori qualificati e meglio retribuiti, accentuando la vulnerabilità economica. Una dinamica confermata anche dai dati relativi alla struttura delle retribuzioni in Italia. Da queste elaborazioni emerge infatti come il livello dei salari medi tenda a diminuire al calare del titolo di studio conseguito, con significativi divari di genere.

+58,8% il divario retributivo medio tra chi ha conseguito una laurea e chi si è fermato alla terza media in Italia nel 2022.

Come abbiamo avuto modo di raccontare, questo tipo di divari socio-economici tende a tramandarsi di generazione in generazione, per la forte segmentazione nel percorso di studi in base alla famiglia d’origine. Per i figli di famiglie svantaggiate infatti è meno frequente raggiungere i gradi di istruzione più alti, rispetto ai coetanei. Investire in un’istruzione accessibile per tutti resta quindi una leva imprescindibile per cercare di far uscire bambini e bambine, ragazzi e ragazze dalla trappola della povertà educativa. Peraltro, nel suo ultimo rapporto annuale, Invalsi ha evidenziato come sia necessario intervenire fin dai primi gradi di studio. Già in terza media infatti si possono accumulare gap educativi difficilmente recuperabili. Questi possono condurre ai fenomeni come quello della dispersione scolastica, sia esplicita che implicita.

Le recenti esperienze dimostrano che, quando le azioni sono progettate sulla base delle esigenze specifiche di scuole e classi, i risultati non tardano ad arrivare. L’analisi dei dati, l’autonomia responsabile e il supporto alle comunità educanti si confermano leve strategiche.

In questo senso, la spesa in istruzione – pur essendo un indicatore quantitativo e non qualitativo – resta uno degli aspetti da monitorare per valutare l’investimento del paese in questa priorità. Da anni purtroppo l’Italia si colloca tra i paesi europei con la più bassa spesa in rapporto al prodotto interno lordo.

3,9% la quota di spesa pubblica destinata all’istruzione rispetto al Pil nel 2023 in base ai dati Eurostat.

Come detto, si tratta di un valore quantitativo che quindi di per sé non rappresenta un indicatore di qualità dell’offerta educativa. Allo stesso tempo, porre questo comparto al centro delle politiche pubbliche può contribuire a una riduzione dei divari sociali, educativi e territoriali che gravano sul paese.

Divari retributivi e titoli di studio in Italia

I dati raccolti da Istat nell’ambito dell’indagine europea RCL-SES consentono di evidenziare piuttosto chiaramente il legame tra il livello di istruzione e la retribuzione. Nel 2022, ultimo anno della rilevazione, infatti i lavoratori dipendenti con un diploma di scuola superiore guadagnavano in media circa 35mila euro all’anno, il 18,5% in più rispetto a chi possedeva al massimo la licenza media (29.567 €). I laureati invece arrivavano a guadagnare circa il 59% in più (46.953 €).

In questa dinamica si inserisce anche l’annosa questione del divario retributivo di genere. Dai dati infatti emerge chiaramente come le donne guadagnino generalmente meno degli uomini, anche a parità di livello di istruzione. Complessivamente infatti nell’anno in esame la retribuzione media annua degli uomini ammontava a 39.982 euro mentre quella delle donne si fermava sui 33.807 euro. Una differenza percentuale del 18,3%. Questo divario aumenta con il crescere del livello di istruzione: è del 19,9% per i dipendenti con al massimo la licenza media, sale al 20,5% per l’istruzione secondaria superiore e raggiunge il 39,9% per l’istruzione terziaria.

I dati derivano dalla Rilevazione sulla Struttura delle retribuzioni e del costo del lavoro (RCL-SES) riferita al 2022. In linea con le normative comunitarie, l’indagine ha coinvolto i lavoratori dipendenti retribuiti per l’intero mese di ottobre 2022, impiegati in unità economiche (aziende e enti pubblici) con un minimo di 10 dipendenti.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i bambini su dati Istat
(pubblicati: lunedì 20 Gennaio 2025)

Da notare che il divario di genere colpisce le donne anche nelle differenze retributive in sulla base del titolo di studio. Le donne diplomate infatti guadagnano il 20,2% in più rispetto a quelle con licenza media, un divario simile a quello maschile (20,7%). Tuttavia, per le donne con istruzione terziaria, la retribuzione è superiore del 54,2% rispetto a chi ha la licenza media. Si tratta di una differenza nettamente inferiore rispetto a quella riscontrata negli uomini (79,9%)

La spesa in istruzione in Italia e in Europa

L’accesso all’istruzione resta quindi uno dei principali fattori per le opportunità di vita successive. Da questo punto di vista, il principale strumento a disposizione del decisore è l’offerta di istruzione di qualità per tutte e tutti. Ciò si traduce in un investimento complessivo, che non riguarda unicamente l’entità delle risorse spese ma anche – e soprattutto – la qualità dell’offerta educativa cui bambini e ragazzi hanno accesso. Allo stesso tempo, le risorse investite sul comparto possono essere comunque considerate un indicatore dell’importanza attribuita al settore.

La spesa in istruzione non è un indicatore di qualità ma può dirci qualcosa sull’importanza attribuita al settore dai decisori.

Da questo punto di vista possiamo osservare come nel 2023 la spesa pubblica italiana per l’istruzione sia consistita in circa 83,7 miliardi di euro, in base ai dati riportati da Eurostat per quell’anno. Si tratta del terzo valore più alto all’interno dell’Unione europea superato solamente da Germania (187,3 miliardi) e Francia (141,6 miliardi). Naturalmente però occorre tenere presente le diverse caratteristiche dei paesi Ue, a partire dalla grandezza della popolazione e dalla capacità di spesa che ogni stato può mettere in campo.

Per questo, un indicatore utile per fare confronti a livello europeo è l’analisi della percentuale di spesa in istruzione rispetto al Pil (prodotto interno lordo) di ogni paese. Considerando questo indicatore possiamo osservare che l’Italia nel 2023 ha investito in istruzione una quota pari al 3,9% del proprio Pil. Si tratta del terzo valore più basso a livello Ue a fronte di un dato medio del 4,7%. Solo Romania (3,4%) e Irlanda (2,8%), su cui valgono però alcune considerazioni particolari, riportano valori inferiori. Ai primi posti troviamo invece Svezia (7,3%), Belgio, Finlandia ed Estonia (6,3%).

I dati, raccolti da Eurostat per i diversi paesi europei, fanno riferimento alla classificazione internazionale della spesa pubblica per funzione (Cofog).

Dati 2023 provvisori per Belgio, Francia, Germania, Slovacchia, Spagna e Portogallo.

FONTE: elaborazione Openpolis – Con i bambini su dati Eurostat
(ultimo aggiornamento: martedì 21 Ottobre 2025)

Da notare, peraltro, che l’Italia fra i 3 maggiori stati europei (considerando anche Francia e Germania) è quella che spende meno in istruzione in rapporto al proprio Pil fin dal 2010.

I risultati Invalsi come indicatore di possibili criticità dove intervenire

In un contesto di risorse limitate come quello appena descritto, è fondamentale attuare interventi mirati sulla base delle diverse esigenze. Da questo punto di vista, i risultati dei test Invalsi possono rappresentare un utile indicatore in questo senso. Il già citato report riguardante l’anno scolastico 2024-2025 ha evidenziato come continuino ad emergere disparità territoriali significative nei livelli di apprendimento tra sud e centro-nord.

I dati possono contribuire a individuare situazioni di criticità fin dai primi gradi di studio.

Questi divari sono già evidenti nella scuola primaria e si accentuano nei cicli successivi, anche quando si tiene conto del background socio-economico o dell’origine migratoria degli studenti. Divari che evidenziano la necessità di azioni strutturali, sin dalla primissima infanzia.

A livello nazionale, si riscontra che le percentuali di studenti che raggiungono un risultato adeguato rispetto ai traguardi di apprendimento alla fine del primo ciclo di istruzione (almeno livello 3 per italiano e matematica, livello A2 per inglese) sono: 58,6% in italiano, 55,7% in matematica, 82,8% in reading e 69,7% in listening. Italiano e, ancor più, matematica hanno mostrato una fase di sostanziale stabilità dal 2021.

41,4% gli studenti di terza media che non hanno raggiunto competenze linguistiche adeguate in italiano nel 2025.

Tale quadro suggerisce che l’ipotesi di un effetto pandemico di medio-lungo periodo sugli apprendimenti, pur plausibile, non è più sufficiente a spiegare da sola le dinamiche attuali.

Il protrarsi di questa situazione potrebbe anche essere attribuito a diversi fattori strutturali, tra cui non solo le difficoltà legate alla didattica a distanza e alle discontinuità formative durante gli anni critici della pandemia ma anche all’emergere di nuove fragilità negli studenti e nelle studentesse e alle sfide poste dalla crescente complessità del contesto scolastico e sociale.

È quindi necessario interrogarsi su fattori strutturali legati alla trasformazione della società, all’impatto crescente delle tecnologie e al ruolo della scuola.

Le competenze linguistiche degli studenti nei comuni capoluogo

In un contesto sociale ed economico dove la capacità di padroneggiare le nuove tecnologie è diventata imprescindibile, l’apprendimento delle discipline Stem è assolutamente essenziale. Così come resta fondamentale l’acquisizione delle competenze di base, a partire dalla capacità di leggere, comprendere e produrre un testo, premessa per essere cittadini consapevoli e non soggetti passivi. Da questo punto di vista, le elaborazioni di Istat nell’ambito delle statistiche sperimentali ci consentono di fare alcune analisi a livello territoriale circa le competenze linguistiche raggiunte dagli studenti di terza media nei comuni capoluogo al termine dell’anno scolastico 2021-2022.

Generalmente gli studenti del mezzogiorno ottengono punteggi più bassi nei testi Invalsi di lingua.

A livello nazionale, il punteggio medio ottenuto dagli studenti di terza media in quell’anno era pari a 196,6. Disaggregando il dato a livello regionale, possiamo osservare che i punteggi più alti sono stati raggiunti in Valle d’Aosta (205,8), Umbria (204,5) e Marche (202,3). Viceversa, i punteggi più bassi si sono registrati in Sicilia (185), in Calabria (185,4) e in Campania (187,9).

In generale possiamo osservare che tutte le regioni del mezzogiorno, con la sola eccezione dell’Abruzzo, hanno riportato un dato inferiore rispetto alla media nazionale. Viceversa tutte le regioni del centro-nord, con la sola eccezione della provincia autonoma di Bolzano, hanno fatto registrare punteggi più alti.

Scendendo a livello comunale, i 5 capoluoghi con i punteggi più alti sono Macerata (214,6), Sondrio (212), Siena (211,8), Perugia (210,1) e Fermo (209,7). Rispetto alla dinamica individuata a livello regionale, ci sono, come spesso capita, delle eccezioni. Tra le realtà del mezzogiorno e delle isole infatti, si nota che 11 città fanno registrare un punteggio superiore a 200. Si tratta di: Avellino, Campobasso, Potenza, Lecce, Caserta, Teramo, Chieti, Cagliari, Pescara e Isernia.

FONTE: elaborazione Openpolis – Con i bambini su dati Istat statistiche sperimentali
(ultimo aggiornamento: giovedì 19 Giugno 2025)

I capoluoghi con i risultati inferiori sono invece Trapani (178,1), Palermo (183,3), Napoli (184,7), Prato (185,2) e Crotone (186). Oltre al capoluogo toscano, altre città del centro-nord con risultati non particolarmente elevati sono Savona, Alessandria, Vercelli, Bolzano, Imperia e Venezia.

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I contenuti dell’Osservatorio povertà educativa #conibambini sono realizzati da openpolis con l’impresa sociale Con i bambini nell’ambito del fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Mettiamo a disposizione in formato aperto i dati utilizzati nell’articolo. Li abbiamo raccolti e trattati così da poterli analizzare in relazione con altri dataset di fonte pubblica, con l’obiettivo di creare un’unica banca dati territoriale sui servizi. Possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione. I dati relativi alla competenze linguistiche degli studenti di terza media nei comuni capoluogo sono di fonte Istat statistiche sperimentali.

Foto: Freepik (licenza)

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