Che cos’è l’abbandono scolastico

L’abbandono scolastico precoce riguarda i giovani che lasciano gli studi con la sola licenza media. Un fenomeno grave, sia per le sue cause più frequenti (disagio economico e sociale) sia per gli effetti a breve e lungo termine (difficoltà di trovare lavoro e aggravamento delle disuguaglianze).

Definizione

Il fenomeno dell’abbandono scolastico colpisce i giovani che lasciano gli studi precocemente. Rientrano in questa definizione tutti coloro che abbandonano con al massimo la licenza media, senza conseguire ulteriori titoli di studio o qualifiche professionali. Dal punto di vista del sistema educativo e dell’intera società, si tratta di un vero e proprio fallimento formativo.

I ragazzi e le ragazze che abbandonano gli studi infatti provengono spesso da contesti sociali più difficili e da famiglie in difficoltà economica. Per un giovane, lasciare gli studi prima del tempo significa avere più difficoltà nel trovare un’occupazione stabile: oggi ancora più che in passato. Ciò comporta anche maggiori probabilità di ricadere nell’esclusione sociale, rendendo di fatto ereditario lo svantaggio di partenza.

Dati

Nell’ambito dell’agenda 2020, l’Unione europea aveva fissato come obiettivo che – entro quell’anno – i giovani europei tra 18 e 24 anni senza diploma superiore (o qualifica professionale) fossero meno del 10% del totale. A livello continentale, il target è stato raggiunto, dal momento che nel 2020 la quota si è attestata al 9,9%.

L’obiettivo continentale, in vista del 2030, è stato ulteriormente abbassato di un punto (9%) con una risoluzione del consiglio europeo del febbraio 2021.

Nel 2022 gli abbandoni precoci riguardano il 9,6% dei giovani europei, con una prevalenza tra i ragazzi (11,1% in Ue) rispetto alle ragazze (8%). L’Italia è uno dei paesi in cui il fenomeno incide maggiormente. Nel nostro paese l’11,5% dei residenti tra 18 e 24 anni ha lasciato la scuola con al massimo la licenza media e non è coinvolto in percorsi di istruzione o formazione.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Eurostat
(pubblicati: mercoledì 26 Aprile 2023)

Negli ultimi anni sono stati fatti degli sforzi per ridurre gli abbandoni in Italia. Sebbene la costruzione dell’indicatore risenta di revisioni nelle metodologie di stima, e i dati non siano perfettamente confrontabili, la tendenza discendente è chiaramente visibile sul lungo periodo. Alla metà degli anni 2000, alla vigilia della grande recessione, quasi un giovane su 5 in Italia si trovava in condizione di abbandono. Oggi, anche sulla scorta degli obiettivi europei in materia, la quota è notevolmente diminuita.

Ciononostante, il quadro resta comunque critico, per una serie di ragioni. In primis, per il ritardo nel confronto di altri paesi Ue. In secondo luogo, perché alla diminuzione degli abbandoni espliciti, non sempre corrisponde una riduzione dei cosiddetti “abbandoni impliciti”: i giovani che finiscono la scuola con competenze inadeguate. Un problema aggravato dall’emergenza pandemica.

In terzo luogo, per i divari territoriali presenti nel paese. La quota nazionale di abbandoni precoci (11,5%) è infatti un dato medio che riflette velocità differenziate. Alcune regioni italiane già si attestano al di sotto della nuova soglia Ue del 9%: si tratta di Molise (8,3%), Friuli-Venezia Giulia (7,7%), Lazio (7,4%), Umbria (7,3%), Marche (5,8%) e Basilicata (5,3%). Mentre in 2 regioni del mezzogiorno, come Sicilia e Campania, la quota supera il 15%. Vicine a questa soglia anche Sardegna (14,7%) e Puglia (14,6%).

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Istat
(pubblicati: giovedì 20 Aprile 2023)

I più recenti dati comunali sul fenomeno – purtroppo risalenti al censimento 2011 e con un indicatore parzialmente diverso da quello europeo – confermano i profondi divari esistenti tra i territori italiani.

Analisi

Il fenomeno dell’abbandono scolastico si inserisce in quello più ampio della dispersione scolastica. Questa comprende tante situazioni diverse, spesso difficili da misurare. Dalle interruzioni nel percorso di studi all’evasione dell’obbligo di frequenza, dai ritardi al vero e proprio abbandono prima della fine del ciclo formativo. Ma può essere considerata dispersione scolastica anche l’ottenimento di un titolo di studi che non corrisponde alle reali competenze acquisite. Una situazione esplosa durante la pandemia e che può essere indagata attraverso le rilevazioni dei test Invalsi.

In un quadro così articolato, l’indicatore adottato dall’Ue è uno stimolo utile e soprattutto permette una comparabilità tra stati, regioni, territori. Ma va tenuto presente che da solo non basta per valutare tutti gli aspetti connessi alla questione.

Ecco alcuni limiti dell’indicatore che non vanno trascurati:

  1. misurare gli abbandoni attraverso la quota di giovani che ha al massimo la terza media ci offre un punto di vista retrospettivo sugli abbandoni scolastici, ex post, ma per avere contezza del fenomeno nella sua evoluzione dovremmo monitorare il percorso scolastico del singolo studente, anno per anno;
  2. l’indicatore valuta come abbandono il mancato conseguimento di un titolo (il diploma superiore), ma questo criterio da solo è spesso insufficiente. A parità di titolo conseguito, si registrano livelli di competenza molto diversi tra gli studenti. Il raggiungimento del diploma, da solo, non necessariamente certifica che il rischio di fallimento formativo sia stato davvero evitato (si parla in questi casi di abbandono implicito);
  3. per questo indicatore, che pure offre una discreta comparabilità tra stati e regioni, i dati comunali non esistono, se non risalenti al censimento. Nel contesto attuale, in cui il nostro paese sta cercando di raggiungere l’obiettivo europeo, possiamo fotografare la situazione comunale al 2011, ma non analizzare le più recenti evoluzioni sul territorio. Un limite enorme per comprendere davvero il fenomeno in un paese di profonde differenze territoriali, come l’Italia.
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