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Come vivono gli adolescenti nelle periferie delle città italiane? Che differenza c’è, in termini di opportunità sociali, economiche ed educative, tra crescere nel centro di una città o nella sua periferia?

Rispondere a domande come queste è tanto complesso, quanto urgente. A partire dalla pandemia, si è molto discusso sulla condizione dei giovani nel nostro paese. Temi come disagio sociale e dispersione scolastica si sono imposti nel dibattito, in forza di un disagio finalmente percepito nell’opinione pubblica. In particolare rispetto alla situazione delle periferie: luoghi lontani dal centro non solo in termini geografici, ma sempre più anche economici, sociali, culturali.

Il report completo, in formato pdf

Purtroppo, come abbiamo avuto modo di raccontare nel rapporto dello scorso anno, nell’ambito della campagna Non sono emergenza promossa da Con i bambini, la discussione sul disagio giovanile risente di un’elevata infodemia. Abbiamo cioè accesso a tantissime informazioni, pareri, argomentazioni, e allo stesso tempo a pochi dati su fenomeni la cui possibilità di misurazione resta complessa. In un panorama informativo così articolato è difficile orientarsi; è invece molto facile ricadere in due tendenze di fondo, entrambe deleterie per la condizione di ragazze e ragazzi. L’allarmismo emergenziale, da un lato; la sottovalutazione del fenomeno, dall’altro.

9,8% i giovani tra 18 e 24 anni in abbandono precoce nel 2024, in netto calo negli ultimi anni. Nel 2025 però è tornata a crescere la dispersione implicita: studenti che completano il percorso di studi senza competenze adeguate.

Partire dai dati è, a nostro avviso, l’unico modo per impostare correttamente la discussione, individuare cause e predisporre soluzioni. Quando parliamo di soluzioni, non ci riferiamo ad approcci uniformi, validi per ogni situazione e replicabili in qualsiasi contesto. Al contrario, pensiamo a interventi calibrati sulle esigenze e i bisogni di ciascun territorio.

Per poterlo fare, serve avere gli strumenti per riconoscere i problemi a livello locale: comune per comune, municipio per municipio, addirittura quartiere per quartiere nelle grandi città. Con questo approccio, il rapporto di quest’anno si focalizza proprio su tali aspetti, anche avvalendosi della preziosa attività di rilascio dati svolta da Istat nell’ambito del censimento permanente, nonché per la Commissione parlamentare di inchiesta sulle condizioni delle città e delle periferie.

6,2% le famiglie con figli in potenziale disagio economico a Catania. Nel sesto municipio del comune la quota raggiunge il 9,3%.

L’obiettivo è restituire un quadro chiaro delle disuguaglianze che attraversano le città, mettendo in luce dimensioni cruciali come il disagio socio-economico delle famiglie con figli, la condizione di Neet, la dispersione scolastica e l’accesso a opportunità educative e sociali.

A questo scopo il report è così strutturato. Nel prossimo paragrafo, inquadreremo le tendenze di fondo nella condizione giovanile nel paese dopo la pandemia, focalizzandoci, dove i dati lo consentono, sulle specificità delle grandi città e aree urbane. In quelli successivi, approfondiremo l’analisi città per città, per i 14 comuni capoluogo di città metropolitana. Nella consapevolezza di fondo che il dato medio spesso nasconde la reale condizione sul territorio, specie per comuni di grandi dimensioni e popolazione quali i capoluoghi delle città metropolitane. A questo scopo, cuore del rapporto sono i paragrafi dedicati a ciascuna città, e al confronto tra centri e periferie nella condizione degli adolescenti.

Il volto economico, educativo e sociale del disagio tra gli adolescenti

Negli ultimi anni, si sono imposti all’attenzione pubblica i segnali di disagio attraversato da tante ragazze e ragazzi. Questo fenomeno, reso evidente dalla pandemia nei mesi di isolamento fisico e troppo spesso sociale, incrocia tante dimensioni diverse.

In primis, riguarda la questione socio-economica per le famiglie con figli. Da circa quindici anni ormai si registra la tendenza per cui più una persona è giovane, più è probabile che si trovi in povertà assoluta.

13,8% i minori di 18 anni in povertà assoluta nel 2024. Molto più della media (9,8%).

Una questione particolarmente pressante nelle città, dove il costo della vita rende meno sostenibile per le famiglie il mantenimento dei figli. In media, nel 2024, il 12,3% delle famiglie in cui vivono minori di 18 anni si è trovato in povertà assoluta; la quota sale al 16,1% dei nuclei con minori nei comuni centro di area metropolitana.

I dati sulla povertà e l’esclusione sono il punto di partenza ineludibile, poiché strettamente connessi alla cosiddetta trappola della povertà educativa. Chi cresce in una famiglia con minori possibilità economiche, generalmente ha anche minore accesso alle opportunità educative, sociali e culturali che potrebbero consentirgli di affrancarsi da una condizione di svantaggio.

Ne sono indiretta testimonianza gli esiti educativi, in molti casi differenziati in base all’origine sociale. Il nostro purtroppo resta un paese dove il percorso di istruzione di ragazze e ragazzi tende a riflettere la condizione di partenza. Ciò è particolarmente visibile nell’adolescenza, con la scelta dell’indirizzo di studi dopo le scuole medie. Nel 2024 su 100 diplomati del liceo, in base ai dati Almadiploma, solo 16 erano figli di operai e lavoratori esecutivi. Al contrario, questi rappresentano il 27,9% dei diplomati negli istituti tecnici e oltre un terzo dei diplomati in quelli professionali (33,8%). Le percentuali sono pressoché ribaltate per gli studenti delle classi più elevate, che rappresentano oltre un terzo dei diplomati dei licei e appena il 13,9% dei diplomati nei professionali.

E se perlomeno negli anni, anche sulla scorta degli obiettivi europei in materia, è calata la quota di chi abbandona gli studi prima di raggiungere il diploma, non si può dire lo stesso della dispersione scolastica implicita. Parliamo di chi completa il percorso di studi, ma lo fa con competenze del tutto inadeguate, più vicine al livello previsto alla fine delle medie che a quello dei diplomati. La quota di alunni che arrivano alla fine delle superiori con competenze insufficienti nelle materie di base è nettamente cresciuta durante la pandemia, per assestarsi nell’immediato post-Covid su livelli vicini al 10%. Da allora è cominciato un percorso di calo, anche se l’ultima rilevazione del 2025 mostra che i ritardi del periodo pandemico non sembrano ancora del tutto recuperati.

FONTE: elaborazione Openpolis – Con i bambini su dati Invalsi
(pubblicati: mercoledì 9 Luglio 2025)

I fenomeni di dispersione scolastica, tanto espliciti (l’abbandono vero e proprio) quanto impliciti (le basse competenze) riguardano soprattutto alcune aree geografiche e sociali. Gli studenti di quinta che hanno alle spalle una famiglia con status socio-economico-culturale inferiore alla media si trovano in dispersione implicita nel 9,8% dei casi, una frequenza quasi doppia rispetto ai coetanei più avvantaggiati (5,3%).

In terza media, prima che gli effetti dell’abbandono scolastico vero e proprio si facciano sentire (eliminando dalla statistica gli studenti più svantaggiati), il contrasto risulta ancora più stridente: 13,4% di alunni in dispersione implicita tra i meno avvantaggiati, 6% tra i coetanei con famiglie più benestanti.

Restano divari territoriali su entrambi gli aspetti. In alcune in regioni la quota di ragazze e ragazzi in dispersione implicita supera ampiamente il 10% alla fine delle superiori: tra queste Campania (17,6%), Sardegna (15,9%), Sicilia (12,1%) e Calabria (11,6%). Si tratta delle regioni che, pur nel miglioramento degli ultimi anni sull’abbandono scolastico, restano anche tra le più colpite dalla parte “esplicita” del fenomeno.

Nelle periferie l’abbandono scolastico precoce è ancora molto presente.

Inoltre, nonostante per la prima volta sia scesa sotto la soglia del 10% la quota di giovani che hanno lasciato la scuola prima del diploma o di una qualifica, la situazione appare più critica nelle città. Rispetto alla media nazionale del 9,8%, l’incidenza massima si raggiunge infatti nelle aree urbane densamente popolate dove sfiora l’11%. Mentre scende all’8,8% nei comuni a densità intermedia, quindi già al di sotto dell’obiettivo europeo del 9% entro il 2030. Risale al 10% in aree meno densamente popolate come quelle interne: un altro tipo di periferie – diverso da quelle urbane di cui ci occupiamo in questo rapporto – ma altrettanto rilevante per un paese come il nostro.

Gli aspetti economici ed educativi del disagio sono strettamente connessi con quelli sociali. La possibilità cioè per gli adolescenti di avere accesso a tempo libero di qualità, con tutto ciò che questo comporta: luoghi di aggregazione, aree verdi, opportunità sportive e culturali, dentro e fuori la scuola. Per l’osservatorio sulla povertà educativa curato insieme a Con i bambini abbiamo avuto modo di raccontare come questi aspetti si colleghino direttamente al benessere sociale e psicologico dei più giovani, al rischio di inattività ed esclusione sociale.

Negli ultimi vent’anni, la quota di adolescenti che vede i propri amici tutti i giorni si è pressoché dimezzata, passando da oltre il 70% a poco più del 30%. Una tendenza i cui fattori alla base sono molteplici, da affrontare senza allarmismi, basti pensare al concomitante ruolo delle tecnologie e alle nuove possibilità di comunicazione. Allo stesso tempo, garantire a ragazze e ragazzi luoghi di incontro, dai centri di aggregazione all’apertura pomeridiana delle scuole, deve essere un obiettivo delle politiche pubbliche, nazionali come locali.

In questo senso, appare centrale l’apertura delle scuole. La possibilità di svolgere attività educative, didattiche, formative anche al di fuori dell’orario scolastico può offrire un contributo decisivo nel contrasto dei fenomeni di dispersione e per la riduzione dei divari educativi appena citati. Ma una scuola aperta di pomeriggio, o d’estate, non è “solo” questo. È un presidio sociale sul territorio, un luogo sicuro dove poter trascorrere il tempo libero, essenziale specie laddove questo tipo di spazi mancano. Come, purtroppo, è spesso il caso di alcune periferie urbane delle nostre città.

Una prospettiva utile per le politiche pubbliche in senso ampio

Questa prospettiva sul disagio, che tiene insieme aspetti socio-economici, educativi e di accesso ai servizi, è assolutamente da considerare anche nella definizione delle politiche pubbliche in senso più ampio. Negli ultimi mesi, il tema del disagio giovanile e dei comportamenti a rischio o violenti tra gli adolescenti è diventato parte del dibattito pubblico. I primi studi esplorativi, come evidenziato nel lavoro di Transcrime, centro di ricerca interuniversitario, in collaborazione con il dipartimento per la giustizia minorile e di comunità del ministero della giustizia, mostrano alcuni segnali di peggioramento proprio tra i più giovani, tra prima e dopo il Covid.

Il tasso di presunti autori di delitti violenti denunciati o arrestati dalle forze dell’ordine ogni 100mila abitanti è rimasto sostanzialmente stabile nella popolazione complessiva, se si confrontano i dati precedenti la pandemia (133,14 nel periodo 2007-19) con quelli successivi all’emergenza (133,43 tra 2021 e 2022). Tra i minori e gli adolescenti, al contrario, il quadro mostra un situazione molto più critica. Nella fascia tra 14 e 17 anni si è passati da una media di 196,61 presunti autori ogni 100mila giovani nel periodo 2007-19 a 301,87 dopo la pandemia. Nella fascia fino a 13 anni, l’incremento è stato ancora maggiore, trattandosi di numeri in partenza molto più contenuti: da 2,38 a 6,25 ogni 100mila minori, per un aumento del 163%.

+ 54% la crescita del tasso di presunti autori di delitto denunciati/arrestati dalle forze di polizia ogni 100.000 residenti tra 14 e 17 anni, tra prima e dopo la pandemia.

Sono dati da interpretare con estrema cautela, come specifica giustamente lo stesso centro di ricerca, dal momento che riguardano un periodo ancora troppo ristretto di tempo (appena un biennio). Non abbastanza per delineare una tendenza consolidata. Tuttavia sottendono un problema da non sottovalutare su cui è fondamentale proseguire nell’attività di monitoraggio, allo scopo di definire politiche pubbliche che vadano alle radici, anche sociali, economiche ed educative di questi fenomeni.

Questo rapporto – che pure nello specifico non si occupa direttamente di comportamenti a rischio o violenti, mancando dati disaggregati sul fenomeno – vuole contribuire evidenziando le potenziali criticità esistenti nelle aree urbane. Aspetti come la condizione di partenza delle famiglie, l’accesso all’istruzione, la capacità della scuola di trattenere ragazze e ragazzi ed essere presidio sul territorio vanno tenuti presenti nella definizione di strumenti e interventi pubblici. Si tratta infatti di fattori da mettere a fuoco nel contrasto di due fenomeni spesso collegati: povertà educativa e disagio giovanile, specie nelle periferie delle città.

La situazione nelle città italiane

Per comprendere a fondo la condizione dei giovani che vivono nelle periferie è quindi fondamentale analizzare i dati al livello più granulare possibile, fino a cogliere le specificità di ciascuna zona. Prima di entrare nel dettaglio delle singole realtà locali, tuttavia, è utile confrontare le grandi città per avere un quadro d’insieme delle disuguaglianze territoriali e delle loro caratteristiche.

L’analisi condotta sui 14 comuni capoluogo di città metropolitana conferma quanto le disuguaglianze territoriali pesino sulla condizione educativa dei più giovani. Le situazioni di maggiore fragilità sociale si concentrano nelle aree del mezzogiorno. A Catania (6,2%), Napoli (6%) e Palermo (5,8%) l’incidenza delle famiglie con figli in potenziale disagio economico risulta molto marcata. Si tratta di nuclei con figli a carico in cui la persona di riferimento ha meno di 65 anni e non è né occupata né pensionata, una condizione che verosimilmente si associa spesso con una potenziale vulnerabilità sociale. Tali valori sono oltre 4 volte superiori rispetto a quelli registrati in altre città del centro-nord, dove l’incidenza è più contenuta: Bologna si ferma all’1,2%, Venezia e Genova all’1,3%, Milano e Firenze all’1,4%.

Le condizioni socio-economiche della famiglia di origine incidono molto sul percorso scolastico dei giovani.

Il legame tra condizioni economiche e opportunità educative emerge anche osservando il fenomeno delle uscite precoci dal sistema di istruzione e formazione. A Catania oltre un quarto dei giovani tra i 18 e i 24 anni (26,5%) ha lasciato gli studi prima di conseguire un diploma o una qualifica, mentre a Palermo e Napoli le quote si attestano rispettivamente al 19,8% e al 17,6%. Valori che si riducono sensibilmente a Bologna (12%), Roma (9,5%) e Reggio Calabria (8,4%), in base ai dati ricostruiti da Istat attraverso il censimento permanente. Ancora più marcate risultano le differenze se si considerano le uscite precoci dal sistema educativo per i giovani con genitori privi di diploma. In questo caso, l’abbandono scolastico raggiunge il 36,5% a Catania, il 31,9% a Cagliari e il 29,1% a Palermo, contro il 17,4% di Torino, il 16,3% di Roma e il 14% di Reggio Calabria.

Gli abbandoni precoci della scuola, con al massimo la licenza media, rappresentano oltretutto solo la parte esplicita di un fenomeno molto più complesso, la cosiddetta dispersione implicita.

I dati Invalsi mostrano come, già al termine della scuola media, prima quindi della scelta dell’indirizzo successivo o dell’abbandono della scuola, in molte città una quota consistente di alunni evidenzi gravi carenze nelle materie di base. Nelle prove Invalsi 2022/23, a Palermo, quasi un quarto degli studenti (24,7%) si è attestato al livello più basso di competenze in italiano, più vicino a quanto previsto in uscita dalla scuola primaria che alla fine delle medie. Percentuali simili si registrano a Napoli (22,9%) e Catania (22,1%). In città come Bologna (12,8%), Roma (11%) e Cagliari (10,1%) la quota è invece nettamente inferiore. Se si aggiungono gli studenti con risultati deboli (livello 2), le criticità si accentuano ulteriormente: a Catania, Napoli e Palermo oltre la metà dei ragazzi conclude il primo ciclo di istruzione con competenze linguistiche non del tutto adeguate.

Per quanto riguarda le competenze in italiano, i test Invalsi valutano la capacità degli studenti di leggere e interpretare un testo scritto, comprendendone il significato e alcuni aspetti fondamentali di funzionamento della lingua italiana. I livelli 1 e 2 sono considerati non sufficienti per ragazzi e ragazze che si apprestano ad iniziare il percorso nelle scuole superiori. 

  • Livello 1: risultato molto debole, corrispondente ai traguardi di apprendimento in uscita dalla V primaria;
  • Livello 2: risultato debole, non in linea con i traguardi di apprendimento posti al termine del primo ciclo d’istruzione.

FONTE: elaborazione Openpolis – Con i bambini su dati Invalsi
(pubblicati: mercoledì 6 Luglio 2022)

Si tratta di lacune che si trascinano lungo tutto il percorso successivo. In primo luogo negli studi: influenzando sia gli apprendimenti che sarà possibile raggiungere alle superiori, sia il rischio di lasciare precocemente la scuola. In secondo luogo impatteranno sull’intera vita adulta, cioè sulla possibilità di accedere al mondo del lavoro nelle migliori condizioni possibili.

Ne è testimonianza, tra gli adolescenti e i giovani adulti, la condizione dei Neet: giovani tra i 15 e i 29 anni che non studiano e non lavorano. Anche in questo caso, il divario territoriale è evidente: Catania (35,4%), Palermo (32,4%) e Napoli (29,7%) registrano i valori più elevati, a fronte di percentuali più contenute nelle città del centro-nord, come Venezia (19,7%), Firenze e Genova (17,7%) e Bologna (17,3%).

FONTE: elaborazione Openpolis – Con i bambini su dati Istat per la Commissione periferie
(ultimo aggiornamento: lunedì 16 Dicembre 2024)

I dati delineati, e le relative ricorrenze territoriali, sembrano indicare un percorso nitido. Un percorso che collega, nella più classica “trappola della povertà educativa” la condizione di partenza familiare, l’accesso all’istruzione, gli esiti nella vita adulta. Offrire opportunità che rompano questo circolo vizioso è la principale sfida per le politiche pubbliche nel contrasto della povertà educativa.

In questo senso, un indicatore interessante da analizzare è quello riguardante la quota di alunni che ha accesso al tempo pieno. Questo peraltro conferma come all’interno di una stessa città convivano realtà molto diverse, da analizzare con una lente ulteriore, municipio per municipio, quartiere per quartiere. Questo indicatore infatti in molti casi risulta polarizzato, con zone in cui tutti gli alunni o quasi frequentano anche di pomeriggio e altri in cui questa possibilità è del tutto assente. Una dinamica riscontrata, con diverse intensità, in città come Bologna, Firenze, Genova, Milano, Roma e Torino. Da notare che generalmente al sud la possibilità di frequentare la scuola anche al pomeriggio è solitamente più limitata.

All’interno della stessa città coesistono realtà molto diverse.

Gli indicatori analizzati finora fanno emergere delle ricorrenze piuttosto chiare, con alcune delle maggiori città del mezzogiorno, tra cui Catania, Palermo e Napoli che necessitano di interventi strutturali e mirati. Evidentemente, questa informazione è del tutto insufficiente però per programmare delle politiche pubbliche efficaci in materia. Tornando alla domanda iniziale: come vivono e di che opportunità dispongono gli adolescenti nelle periferie italiane?

Per rispondere a questa domanda è indispensabile un’analisi di dettaglio a livello subcomunale. Le differenze interne ai grandi centri urbani sono infatti notevoli. A titolo di esempio, se Catania presenta la maggiore incidenza di famiglie in potenziale disagio economico tra i capoluoghi metropolitani, il valore più alto in assoluto si registra nel quartiere palermitano di Brancaccio-Ciaculli (9,9%). In modo analogo, a Bologna – dove la quota complessiva di abbandoni precoci è tra le più basse – vi sono anche aree della città che superano la soglia 35%. Un altro caso da segnalare, a titolo esemplificativo, è quello del quartiere veneziano di Marghera. Qui infatti, pur in un contesto comunale meno critico di altri, si registrano valori significativi di famiglie in potenziale disagio, abbandono scolastico e inattività giovanile.

Nelle prossime sezioni del report entreremo più nel dettaglio delle periferie delle diverse città metropolitane. Solo conoscendo a fondo le caratteristiche di ciascun territorio infatti sarà possibile disegnare politiche efficaci e realmente mirate alla riduzione dei divari educativi e sociali.

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