Durante le elezioni politiche dello scorso settembre, le candidate erano 2.104 su un totale di 4.746 persone che si sono presentate. Di queste, una parte è stata effettivamente eletta, con delle differenze riscontrabili nella composizione dei vari gruppi parlamentari che si sono formati.

Le candidate componevano il 44,3% del totale. Un valore che rispetta le quote definite dalla legge elettorale chiamata rosatellum, che prevede che nessun genere risulti rappresentato oltre il 60%.

Andando però a vedere il numero di elette, il valore risulta inferiore. Le donne sono in tutto 200 sul totale di 600 seggi elettivi del parlamento. Sei sono riservati a senatori e senatrici a vita che hanno un incarico permanente.

33% la quota di donne nel parlamento italiano nella XIX legislatura (2022).

Considerando il dato delle due aule distinte, alla camera ci sono 129 donne sul totale di 400 posti disponibili e al senato sono 71 su 206. Dei numeri che, confrontati con quelli delle legislature precedenti, mostrano un calo nitido.

Il dato mostra la percentuale di donne elette al parlamento suddivise tra camera e senato nelle legislature che vanno dalla I (1948) alla XIX (2022). La quota è stata calcolata considerando per ciascuna serie il totale di eletti nella rispettiva aula. Sono considerati i dati a inizio legislatura quindi non sono comprese le cessazioni e i subentri. In tutte le legislature sono inclusi anche senatori e senatrici a vita.

FONTE: openpolis
(consultati: giovedì 20 Ottobre 2022)

Dalla XIII legislatura (tra il 1996 e il 2001) fino alla XVIII (dal 2018 al 2022) si è registrato un andamento in crescita, passando nella camera dall’11,13% al 35,71% e nel senato dall’8% al 34,69%. Nella legislatura appena inaugurata, la XIX, vi è invece un calo in entrambe le camere. Tra le due, il valore più alto viene riportato al palazzo Madama, con un 34,47% che si discosta leggermente rispetto al risultato della legislatura precedente. A Montecitorio invece si registra un 32,25% di donne, un dato più basso di tre punti percentuali e mezzo rispetto alla XVIII legislatura.

In termini assoluti, Fratelli d’Italia è il gruppo in cui risultano più parlamentari insediate sia alla camera (37) che al senato (17). Influisce però anche la diversa grandezza di questi gruppi. Per poter confrontare gruppi molto diversi per numero di componenti, è necessario confrontare il numero di elette con il totale degli appartenenti al rispettivo gruppo.

Il dato rappresenta la percentuale di donne e uomini eletti in ciascun gruppo parlamentare per camera e senato alle elezioni politiche 2022. Per il calcolo delle percentuali, è stato considerato il numero totale di eletti nel singolo gruppo parlamentare alla camera o al senato.

FONTE: openpolis
(consultati: giovedì 20 Ottobre 2022)

Alla camera, nessun gruppo riporta una percentuale di donne elette superiore al 50%. Il gruppo con il valore più alto è quello del Movimento 5 stelle (44,23% sul totale degli eletti nel gruppo specifico) a cui segue quello di Azione – Italia viva (42,86%). Sono due i gruppi che si attestano sopra al 30%, si tratta di quello del Partito democratico (31,88%) e di Fratelli d’Italia (31,36%). In fondo troviamo Lega e Forza Italia alla stessa quota (27,27%) e il gruppo Misto (26,67%).

In quasi tutti i gruppi parlamentari gli uomini sono maggiormente rappresentati.

Per quel che riguarda il senato invece, in Azione  – Italia viva le donne superano in termini percentuali gli uomini eletti sul totale di chi fa parte di quel gruppo. Questo valore si assesta al 55,56%. All’interno del Movimento 5 stelle, invece, i posti al senato risultano divisi equamente tra uomini e donne. A questi gruppi seguono quello per le autonomie e il Misto a pari valore (42,86%), quello della Lega (37,93%), di Noi moderati (33,33%). In fondo, si trovano i gruppi del Partito democratico (31,58%), di Fratelli d’Italia (26,98%) e di Forza Italia (22,22%).

L’effetto delle pluricandidature sulla rappresentanza di genere

La parità di accesso alle cariche elettive è tutelata dall’articolo 51 della costituzione italiana. Per incentivare la presenza femminile sono però stati introdotti dei meccanismi all’interno della legge elettorale vigente che definiscono dei limiti alle scelte dei vertici di partiti e coalizioni. Per quel che riguarda i collegi plurinominali, sono due i vincoli definiti dalla legge. Innanzitutto, la rappresentanza deve essere garantita con l’alternanza di genere all’interno della lista, quindi due uomini o due donne non possono ricoprire due posizioni adiacenti. Inoltre, al momento della selezione dei capilista, nessun genere può essere rappresentato complessivamente per più del 60%. All’interno dei collegi uninominali troviamo lo stesso vincolo sulla quota presente in quelli plurinominali.

Le pluricandidature hanno un effetto sulle quote di genere.

Questi meccanismi possono però essere vanificati dalla possibilità di essere candidati in più collegi. Si possono infatti presentare fino a cinque candidature al plurinominale più una all’uninominale. Questo aspetto particolare era già stato notato per le politiche del 2018. La XVIII legislatura è infatti quella con la percentuale maggiore di donne al parlamento ma non si è raggiunta la quota del 40%. Questo è capitato nonostante ci fossero questi interventi legislativi per la pari rappresentanza di genere.

La rappresentanza di genere in parlamento chiaramente è l’esito delle candidature nelle scorse elezioni, aspetto che abbiamo già avuto modo di ricostruire. È possibile vedere nel concreto come queste dinamiche possono aver influito sullo squilibrio.

È il caso ad esempio di Giorgia Meloni, neo presidente del consiglio. La leader di Fratelli d’Italia era candidata in un collegio uninominale, quello abruzzese, e come capolista in 5 collegi plurinominali nelle liste del suo partito (uno in Lazio, uno in Lombardia, uno in Puglia e due in Sicilia). Essendo stata eletta nel collegio uninominale dell’Abruzzo, nelle altre 5 posizioni proporzionali utili in cui era stata candidata sono entrati i secondi in lista, tutti eletti in questi collegi. Di questi, quattro hanno presentato solo una candidatura mentre uno ne aveva presentate due.

La possibilità di poter aggirare nel concreto le limitazioni legislative rischia di rendere sterile il dibattito relativo alle quote di genere. Le pluricandidature quindi influiscono sull’effettiva parità, limitandone di fatto la sua attuazione.

Foto: camera

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