Quando le pluricandidature limitano la parità di genere XVIII legislatura

Nel parlamento con la percentuale più alta di donne, le pluricandidature hanno pesantemente depotenziato il tentativo di inserire quote di genere nella legge elettorale. Ecco il perché.

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Tra i numerosi temi ricorrenti del dibattito politico italiano c’è sicuramente la parità di genere. Anche queste elezioni hanno dato il loro contributo, soprattutto alla luce del risultato della consultazione nazionale svoltasi il 4 marzo scorso. Come abbiamo avuto modo di raccontare nel nostro report Tre poli contrapposti, il parlamento che si sta per insediare sarà quello con la percentuale più alta di donne.

Tre poli contrapposti 2018

Le donne nel parlamento italiano

Già nella scorsa legislatura avevamo testimoniato un’impennata delle donne in entrambi i rami. Alla camera l’aumento era stato del 50%, passando dal 20,41% della XVI legislatura al 30,7% della XVII. Con l’arrivo della XVIII legislatura la percentuale è destinata a crescere ancora, sino al 34,62%. Per capire quanto sono cambiati i numeri, basta pensare che solamente 10 anni fa, nella XV legislatura (2006-2008), le donne erano la metà, il 17,2%.

Dal 2006 la percentuale di donne nel parlamento italiano è raddoppiata.

Pure a Palazzo Madama i numeri sono da record. Rispetto al 28,44% di senatrici della XVII legislatura, già percentuale più alta raggiunta fino ad all’ora, nella XVIII passeremo al 34,75%, segnando un aumento di 6 punti percentuali. Il trend negli ultimi anni ha portato a quasi raddoppiare la percentuale di donne, considerando che nel periodo 2006-2008 il dato era fermo al 13,43%.

Per consentire il confronto tra legislature il totale è sul totale dei deputati e senatori. Sono stati considerati quindi sia quelli cessati, sia quelli subentrati in corso.

FONTE: openpolis

Scomponendo tutto questo per le principali liste di elezione, emergono delle considerevoli differenze. Guida il Movimento 5 stelle, il solo a sfiorare quota 40%, e sopra la media del parlamento. A seguire due dei principali sconfitti di queste elezioni: Forza Italia (34,93%) e il Partito democratico (33,93%). Molto più distanti le altre liste: la Lega e Fratelli d'Italia sono quasi 10 punti percentuali dietro al Movimento 5 stelle, rispettivamente al 30,89% e al 30,23%. Chiude Liberi e uguali, le cui donne rappresentano il 27,77% degli eletti.

Per ognuna delle principale liste abbiamo calcolato la percentuale di donne sul totale degli eletti.

FONTE: openpolis

Cosa dice la legge elettorale rosatellum bis

L'attuale legge elettorale prevede alcuni elementi per favorire la parità di genere, che hanno funzionato in parte. La materia viene affrontata sia nella composizione delle liste per i collegi plurinominali, che nella scelta dei candidati in quelli uninominali.

In ogni collegio plurinominale ciascuna lista, all’atto della presentazione, è composta da un elenco di candidati presentati secondo un ordine numerico. [...] in ogni caso, il numero dei candidati non può essere inferiore a due né superiore a quattro. A pena di inammissibilità, nella successione interna delle liste nei collegi plurinominali, i candidati sono collocati secondo un ordine alternato di genere

Per quanto riguarda i seggi assegnati con il metodo proporzionale, nella scelta del listino bloccato, le segreterie dei partiti sono obbligate a collocare i nomi secondo un ordine alternato di genere. Essendo che il numero di candidati non può essere inferiore a due o superiore a quattro, questo forza il rapporto di genere a essere o 1:1 o 2:1. Il sistema direziona quindi la scelta dei nomi, tentando, con dei limiti che poi vedremo, di pareggiare la presenza di uomini e donne nel parlamento italiano. Non solo, viene anche specificato che nella scelta dei capolista nessuno dei due generi può superare quota 60%.

Nel complesso delle candidature presentate da ogni lista o coalizione di liste nei collegi uninominali a livello nazionale, nessuno dei due generi può essere rappresentato in misura superiore al 60 per cento, con arrotondamento all’unità più prossima

Il rapporto 60-40 deve anche essere mantenuto nella scelta dei candidati nei collegi uninominali. Al livello nazionale quindi ogni lista, o coalizione di liste, deve selezionare i candidati assicurandosi che nessuno dei due sessi sia rappresentato in misura superiore al 60%.

Il problema delle pluricandidature

Sulla carta quindi il tentativo del legislatore di assicurare una rappresentanza omogenea dei due sessi è chiara. Ciò ha portato molti giornali in queste settimane a considerare un "fallimento" il non aver raggiunto quota 40% di donne nel parlamento italiano. Purtroppo però, per come è strutturata la legge elettorale, le regole sulle quote di genere sono fortemente depotenziate dalle pluricandidature. Un candidato nei collegi plurinominali può presentarsi in 5 diversi collegi al livello nazionale. In aggiunta a questi può anche correre in un collegio uninominale.

Con le pluricandidature di 6 seggi vinti dalla stessa candidata, 5 potrebbero andare a uomini.

Cosa implica tutto questo? Per spiegarlo facciamo un esempio concreto. Come noto Maria Elena Boschi era la candidata del centrosinistra nel collegio uninominale di Bolzano. Allo stesso tempo però è stata candidata, come permesso dalla legge, in 5 diversi collegi plurinominali: Lazio 1-03, Lombardia 4-02, Sicilia 1-02, Sicilia 2-01 e Sicilia 2 -03. In tutti questi collegi Maria Elena Boschi era capolista, implicando che il secondo in lista fosse un uomo, sempre come richiesto dalla legge. In 4 dei 5 collegi plurinominali in questione il Partito democratico ha ottenuto un solo seggio, assegnato quindi a Maria Elena Boschi. Essendo però vincitrice del collegio uninominale di Bolzano, questi 4 seggi sono andati ai secondi in lista, ovviamente tutti uomini. In pratica, candidando la stessa persona in 5 collegi plurinominali, a cui si può anche aggiungere la candidatura in un collegio uninominale, le quote di genere vengono di fatto aggirate. Solo nel collegio Lazio 1-03, avendo il Pd ottenuto 2 seggi, è rientrata comunque una donna, in quanto l'esclusione della sottosegretaria ha fatto eleggere il secondo (uomo) e terzo candidato (donna) in lista.

Non si tratta di un caso isolato, e gli esempi che si possono citare sono molti, tra cui: Giorgia Meloni (candidata ed eletta all'uninominale di Latina e allo stesso tempo come capolista in 5 diversi collegi plurinominali) e Marianna Madia (candidata ed eletta all'uninominale Roma 2 e candidata come capolista in 2 diversi collegi plurinominali, nonché come seconda in altri 3). Proprio quest'ultima ci permette di analizzare un'altra fattispecie interessante.

Con le pluricandidature è possibile aggirare l'alternanza di genere.

Seconda in lista nel collegio Lazio 1 - 02, dove il Pd ha ottenuto 2 seggi, ha lasciato il posto a Michele Anzaldi, terzo in lista. Per via della sua elezione in un collegio uninominale, la contemporanea candidatura da seconda in lista in un collegio in cui il Pd ha ottenuto 2 seggi ha permesso a 2 uomini di essere eletti. .

È chiaro quindi che tutte le discussioni sulle quote rosa, la parità di genere e simili rischiano di diventare sterili se poi nel concreto ci sono modi per ovviare ai paletti legislativi. 

 

Foto credit: Flickr Palazzo Chigi - Licenza

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