Veneto, chi sta gestendo l’emergenza Covid-19 Coronavirus

Il Veneto è stata una delle regioni più colpite dall’emergenza covid-19. Il presidente Zaia ha rivendicato da subito il ruolo delle regioni istituendo task force e unità di crisi. La catena di comando sembra però riflettere solo in parte le effettive responsabilità nella gestione dell’emergenza.

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Nell’affrontare l’emergenza covid-19 le regioni stanno avendo un ruolo molto importante, più volte rivendicato dal governatore Zaia. Analizziamo come è stata organizzata la macchina dell’emergenza in una regione tra le più colpite dal coronavirus.

L’unità di crisi, la task force e il comitato tecnico scientifico fanno tutti capo al governatore Zaia che, insieme agli assessori alla sanità e alla protezione civile, è anche membro dell’unità di crisi. Una struttura piramidale apparentemente semplice, da cui non emerge però in maniera chiara il ruolo di attori generalmente considerati cruciali, come il microbiologo Andrea Crisanti.

Il Veneto, come la Lombardia, è governato dalla Lega, alla guida di una coalizione di centrodestra. Tuttavia le due regioni hanno seguito approcci diversi nella gestione della crisi. Ma oltre alle scelte fatte nel momento dell’emergenza le due regioni mostrano differenze strutturali nel modello sanitario.

L’attribuzione delle competenze alle regioni nella fase uno

Dall’inizio dell’emergenza Coronavirus il nostro paese è stato messo alla prova da molti punti di vista. Anche il nostro sistema politico e costituzionale ha vissuto e sta vivendo una prova senza precedenti.

La gestione del potere e i centri di responsabilità sono cambiati con l’evolvere della situazione e continuano a cambiare adesso mano a mano che entriamo nella fase 2. Così come cambia il ruolo dei vari attori coinvolti. Sul piano nazionale la catena di comando si è sviluppata orizzontalmente coinvolgendo la protezione civile, l’istituto superiore di sanità e vari organi politici attraverso l’istituzione di task force e unità di crisi.

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Sia la protezione civile che la sanità sono materie di competenza concorrente tra stato e regioni e questo talvolta può generare confusione.

 

I centri di comando però sono stati distribuiti anche verticalmente riconoscendo un ampio ruolo alle regioni. Questo tuttavia è avvenuto nel contesto di un regionalismo differenziato in cui troppo spesso non sono chiari i limiti tra le competenze regionali e quelle nazionali. Tema che si pone in particolare nelle materie di competenza concorrente tra stato e regioni, come la sanità e la protezione civile. Un problema strutturale che però emerge con ancora più forza in un momento di crisi come quello che stiamo attraversando.

L’attribuzione di un ruolo importante alle regioni non è stata una scelta obbligata. Nei primi giorni dell’emergenza infatti i partiti di centrodestra, ma anche forze di maggioranza come Italia viva, avevano caldeggiato l’ipotesi di nominare un super commissario con poteri straordinari per coordinare l’emergenza su tutto il territorio nazionale. Certo le regioni avevano un ruolo importante già in partenza, essendo loro la gestione della sanità. Ma la scelta, a livello nazionale, è stata quella di non comprimerlo.

Non c’è la minima efficacia nell’avocare a livello centrale le competenze delle Regioni. Sottrarre competenze alle Regioni sarebbe un errore. Sarebbe disfunzionale, non lo si può fare a emergenza in corso

Una decisione che da un lato ha reso meno chiara la catena di comando, creando incertezza sulle competenze attribuite ai vari soggetti, ma che dall’altro ha sicuramente garantito alle regioni un ampio margine di manovra. In questo modo si è voluto dar spazio a organi, come quelli regionali, più adatti a governare l’emergenza alla luce delle specificità territoriali.

Il governatore veneto Zaia è stato una delle figure politiche che ha maggiormente insistito sul ruolo autonomo delle regioni, rimproverando agli organi centrali una certa indecisione su questo punto.

Vista da Roma, l’autonomia è una sottrazione di potere. Vista da noi, è un’assunzione di responsabilità. Ma io credo che irresponsabile sia chi non vuole l’autonomia. Da qui, discendono certi pasticci.

In effetti il Veneto, trattandosi di una delle prime regioni colpite da importanti focolai di coronavirus, ha iniziato a strutturare la macchina dell’emergenza già prima che la protezione civile istituzionalizzasse il ruolo dei presidenti di regione quali soggetti attuatori. Il 30 gennaio infatti veniva istituita la Task force regionale per la definizione di misure di prevenzione e controllo dell’epidemia di Coronavirus e a seguire, il 21 febbraio, l’unità di crisi regionale. Due giorni dopo la protezione civile ha poi effettivamente nominato Zaia soggetto attuatore della protezione civile per l’emergenza Covid-19, qualifica che permette ai presidenti di regione di agire in deroga alla normativa (Ordinanza del capo della protezione civile 630/2020).

Una struttura piramidale che fa capo al soggetto attuatore

Sia Zaia che i due assessori chiave sono componenti dell’unità di crisi

Un primo elemento che emerge analizzando le strutture istituite per affrontare l’emergenza è un coinvolgimento diretto, almeno dal punto di vista formale, delle figure politiche. Sia il governatore Zaia che gli assessori alla sanità, Manuela Lanzarin, e alla protezione civile, Gianpaolo Bottacin, sono infatti direttamente coinvolti all’interno dell’unità di crisi, diversamente da quanto accade ad esempio in Lombardia.

Dopo la nomina di Zaia a soggetto attuatore inoltre, le due organizzazioni già create (la task force e l’unità di crisi) sono state reinserite all’interno di un sistema strutturato in maniera piramidale, che fa capo proprio al soggetto attuatore.

Questo è affiancato da due organi di supporto: il gruppo di supporto legale del soggetto attuatore della regione Veneto, coordinato da Franco Botteon dell’avvocatura della regione, e il gruppo di supporto per le attività del soggetto attuatore. Quest’ultimo più che un organo è un elenco di dirigenti dell’amministrazione regionale di cui si avvale il soggetto attuatore. Tra questi Nicola Dell’Acqua, direttore dell’area tutela e sviluppo del territorio, svolge il ruolo di dirigente coordinatore, oltre ad essere membro anche dell’unità di crisi.

È inoltre stabilito che l’unità di crisi svolge funzione di “supporto dell’attività del Soggetto attuatore”. A sua volta l’unità di crisi “acquisisce i pareri tecnici della Task Force” mentre il comitato scientifico “fornisce il supporto scientifico al soggetto attuatore ai fini dell’adozione delle sue determinazioni”.

37 le persone che abbiamo censito nelle strutture create ad hoc dalla regione Veneto per la gestione dell’emergenza.

Nella mappa del potere che ha gestito l’emergenza coronavirus il ruolo centrale è attribuito al presidente Zaia in qualità di soggetto attuatore. A lui fanno capo due gruppi di supporto, uno generico per le attività del soggetto attuatore e uno legale. Zaia inoltre insieme ai due assessori chiave fa parte direttamente dell’unità di crisi. Il raccordo tra l’unità di crisi e la task force è svolto da Francesca Russo che, oltre ad essere componente dell’unità di crisi, presiede anche la task force, che ha istituito con proprio decreto. Due esperte del settore inoltre fanno parte sia della task force che del comitato tecnico scientifico (di cui è membro anche Andrea Crisanti) che ha il compito di fornire “supporto scientifico al soggetto attuatore ai fini dell’adozione delle sue determinazioni”.

FONTE: openpolis
(ultimo aggiornamento: lunedì 25 Maggio 2020)

L'unità di crisi covid-19 in Veneto

Come abbiamo visto, in Veneto, fanno parte dell'unità di crisi anche il presidente Zaia e i due assessori chiave Manuela Lanzarin e Gianpaolo Bottacin. Oltre a questi gli altri membri sono i due direttori delle aree che si occupano di protezione civile e sanità e un dirigente per ciascuna di queste due aree.

Oltre ai politici fanno parte dell'unità di crisi alcuni dirigenti regionali

Per l'area tutela e sviluppo del territorio si trovano il direttore Nicola Dell'Acqua e Luca Soppelsa a capo della direzione protezione civile.

Per l'area sanità e sociale sono presenti invece il direttore Domenico Mantoan, nominato recentemente presidente dell'Aifa dal ministro della salute Roberto Speranza, e la responsabile della direzione prevenzione Francesca Russo.

La presenza di Dell'Acqua nell'unità di crisi in aggiunata al ruolo di dirigente coordinatore per l’espletamento delle funzioni del soggetto attuatore sicuramente rafforza la linea di collegamento tra l'unità di crisi e il soggetto attuatore. Il raccordo tra l'unità di crisi e la task force è invece svolto da Francesca Russo. Questa infatti, in quanto responsabile della direzione prevenzione, oltre ad essere componente dell'unità di crisi presiede anche la task force, che ha istituito con proprio decreto. Inoltre si tratta della dirigente responsabile del coordinamento del pianoEpidemia Covid 19 Interventi Urgenti di Sanità Pubblica”.

La task force e il comitato scientifico

La task force covid-19 del Veneto oltre ad essere presieduta da Francesca Russo vede la partecipazione di altri due dirigenti dell'area sanità della regione. A questi si aggiungono 8 dirigenti delle unità locali socio sanitarie (Ulss), un dirigente dell'azienda ospedaliera di Padova, uno dell'azienda ospedaliera di Verona e due dirigenti dell'azienda zero, un'azienda regionale che ha come scopo la razionalizzazione, l’integrazione e l’efficientamento dei servizi sanitari.

Tra i suoi componenti inoltre si trova il dottor Paolo Rosi, della Ulss 2, che nel 2014 è stato nominato referente sanitario regionale del Vento. Le misure operative della protezione civile hanno infatti stabilito che tutte le regioni devono prevedere all'interno dell'unità di crisi la partecipazione del referente sanitario regionale. Questo perché il referente svolge il ruolo di raccordo con la centrale remota operazioni soccorso (Cross) della protezione civile nazionale.

In Veneto in realtà non è stata prevista la partecipazione del referente sanitario regionale all'interno dell'unità di crisi, mentre è stato inserito tra i componenti della task force. Anche in questo caso in realtà l'atto istitutivo della task force non esplicita il ruolo del dottor Rosi quale referente sanitario. Per conoscere chi svolgesse questa funzione abbiamo infatti contattato l'amministrazione regionale che ci ha risposto inviandoci l'atto con cui il governatore Zaia comunicava al capo della protezione civile la nomina di Paolo Rosi.

Leggi l'atto di

Gli atti di nomina della task force e dell'unità di crisi in ogni caso sono precedenti alle misure operative stabilite dalla protezione civile. Si può quindi immaginare che il referente sanitario prenda parte alle riunioni dell'unità di crisi veneta anche se formalmente non è uno dei componenti.

Mentre l’istituzione di un’unità di crisi in ciascuna regione è stata richiesta dalla protezione civile nazionale, task force e comitati scientifici sono costituiti su iniziativa della regione per contribuire alla gestione dell’emergenza.

Si tratta di organi consultivi. La task force infatti fornisce pareri tecnici all’unità di crisi, mentre il comitato scientifico “fornisce il supporto scientifico al soggetto attuatore ai fini dell’adozione delle sue determinazioni”.

FONTE: Eelaborazione openpolis su atti della regione Veneto (task force e comitato scientifico).
(ultimo aggiornamento: lunedì 25 Maggio 2020)

Due esperte del settore inoltre fanno parte sia della task force che del comitato tecnico scientifico: Anna Maria Cattelan ed Evelina Tacconelli dirigenti dei reparti di malattie infettive delle aziende ospedaliere, rispettivamente di Padova e Verona.

Il comitato scientifico, istituito con delibera di giunta a inizio marzo, è composto come la task force da esperti del settore. Rispetto al primo la composizione è però un po' diversa. Non sono infatti presenti dirigenti regionali e la maggior parte dei membri vengono dalle aziende ospedaliere.

Tra i suoi componenti si segnala in particolare la presenza di Francesco Zambon, dell'organizzazione mondiale della sanità, di Stefano Merler componente anche della Task force dati per l'emergenza Covid-19 istituita dal ministro dell'innovazione Paola Pisano, e di Paolo Navalesi che fa parte anche della Task force Covid-19 della regione Calabria.

Alcuni pezzi mancanti

A Crisanti non è stato assegnato un ruolo di spicco all'interno delle organizzazioni create per gestire l'emergenza.

Dall'analisi presentata fino a questo momento manca all'appello Andrea Crisanti, microbiologo di fama internazionale di cui si è molto parlato come uno degli architetti del modello Veneto. Crisanti in effetti è un membro del comitato scientifico. Tuttavia dagli atti di nomina che abbiamo avuto modo di analizzare non risulta che svolga un ruolo in alcun modo sovraordinato rispetto ai suoi colleghi.

Una sua funzione specifica può essere tuttalpiù desunta leggendo il testo del piano “Epidemia Covid 19 Interventi Urgenti di Sanità Pubblica”. Questo piano in effetti definisce laboratorio di microbiologia dell'azienda ospedaliera di Padova, diretto dal dottor Crisanti, come il laboratorio regionale di riferimento.

Ancora meno chiaro, almeno a livello formale, resta il ruolo del dottor Roberto Rigoli che da diverse fonti stampa risulta essere stato “scelto dal governatore Zaia per coordinare le attività delle microbiologie del veneto”. Il dottor Rigoli tuttavia non risulta membro di alcuna delle organizzazioni che abbiamo censito, né abbiamo trovato sul sito della regione atti ufficiali che meglio definissero questo ruolo di coordinamento.

Con l'andare del tempo una serie di interviste sui media hanno reso sempre più lampante il contrasto tra Crisanti e alcuni pezzi dell'amministrazione regionale, in particolare la dottoressa Francesca Russo. Analizzando gli atti ufficiali non è ovviamente possibile capire in che misura sia stato importante il contributo di Crisanti, come di chiunque altro.

Crisanti è un faro per noi

Si può tuttavia ritenere che se il ruolo di Crisanti è stato in effetti determinante, come lo stesso Zaia ha affermato in più occasioni, definire meglio il suo ruolo nella catena di comando avrebbe probabilmente aiutato a distinguere le responsabilità nella gestione della crisi.

Diversi modelli di sanità regionale

Nell'analizzare come hanno reagito le diverse regioni di fronte all'emergenza coronavirus sono molti gli aspetti che possono essere presi in considerazione. Tra questi anche l'esistenza di modelli sanitari significativamente diversi tra le varie regioni del nostro paese. Secondo alcune interpretazioni il fatto che in Veneto siano presenti solo due aziende ospedaliere e che tutti gli altri ospedali siano ricompresi nelle unità locali socio sanitarie ha aiutato a mantenere il collegamento tra gli ospedali e la medicina territoriale.

Storicamente in Veneto tutti gli ospedali sono all’interno dell’Ulss, tranne i due ospedali universitari di Padova e Verona. Vi sono cioè solo due ospedali-azienda, e questo spiega alcune differenze con la sanità lombarda.

Si tratta quindi di aspetti strutturali, definiti ben prima che esplodesse la crisi sanitaria. Risale infatti al 1994 la legge regionale che ha riformato la sanità veneta alla luce del decreto legislativo 502/1992.

Con questa legge in effetti il Veneto aveva istituito solo due aziende ospedaliere (Padova e Verona) mantenendo ben 22 unità locali socio sanitarie (Ulss) (poi ridotte a 21 due anni dopo). Nel 2016, una riforma del settore firmata dalla giunta Zaia, ha poi ridotto le Ulss a 9, senza però aumentare il numero di aziende ospedaliere.

In Lombardia al contrario il sistema sanitario ha seguito un modello molto diverso. Fino alla legge regionale del 2015 infatti in Lombardia sono esistite 15 aziende sanitarie locali e ben 29 aziende ospedaliere.

Leggi l'analisi

La riforma del 2015 ha in parte cambiato questa struttura. Oggi le aziende sanitarie sono state sostituite da 8 agenzie di tutela della salute (Ats). Alle 29 aziende ospedaliere sono invece subentrate 27 aziende socio sanitarie territoriali (Asst). Queste ultime sono un modello in qualche modo ibrido di azienda ospedaliera che si articola in due settori: il polo ospedaliero, che afferisce al direttore sanitario dell'azienda, e la rete territoriale che fa capo al direttore socio-sanitrario.

La legge regionale del Veneto che ha strutturato il modello sanitario regionale risale al 1994. Con una legge del 2016 Zaia è intervenuto su questo sistema riducendo il numero di unità locali socio sanitarie ma non ha aumentato il numero di aziende ospedaliere.

Nel 2015 una legge della regione Lombardia ha trasformato le Asl in agenzie di tutela della salute (Ats) e le aziende ospedaliere in aziende socio sanitarie territoriali (Asst).

FONTE: openpolis
(ultimo aggiornamento: lunedì 25 Maggio 2020)

 

 

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