Il valore dell’investimento nelle scuole dell’infanzia #conibambini

L’istruzione pre-primaria pone le basi per i futuri apprendimenti dei ragazzi. Un ruolo così importante nel contrasto della povertà educativa che merita un approfondimento quanto l’Italia sta investendo su questo settore.

|

Partner

Sono molte le ragioni per considerare strategico il ruolo delle scuole dell’infanzia nel contrasto alla povertà educativa. I primi anni di vita del bambino, precedenti all’accesso alla scuola dell’obbligo, costituiscono una finestra di opportunità unica per il suo apprendimento e lo sviluppo della sua personalità.

Garantire un accesso universale all’istruzione pre-primaria può contribuire a ridurre le disuguaglianze.

È normale pensare ai bambini tra 3 e 6 anni come appena all’inizio del loro percorso di vita. Ma, come è stato ribadito in un recente rapporto Unicef, a quell’età oltre l’85% del loro sviluppo cerebrale è già quasi completamente avvenuto. Una fase della crescita in cui quindi si decide il futuro di ragazze e ragazzi. Nelle indagini sul tema è emerso come aver frequentato la scuola dell’infanzia produca risultati positivi sugli apprendimenti successivi, anche scontando il background socio-economico-culturale degli studenti.

Perché puntare sull’istruzione prescolare

I documenti internazionali identificano almeno 3 ragioni per cui l’istruzione pre-primaria dovrebbe essere una priorità a livello globale. Il primo motivo, già accennato, è che pone basi più solide per tutto ciò che il bambino imparerà in futuro. I bambini che hanno frequentato la scuola dell’infanzia tendono ad arrivare alle elementari con un vocabolario più ampio, maggiore attitudine alle relazioni sociali e abilità matematiche più sviluppate. Differenze che si trascineranno per il resto della vita, soprattutto per chi nasce in un contesto socialmente o culturalmente più fragile.

FONTE: elaborazione openpolis - Con i bambini su dati Unicef
(ultimo aggiornamento: lunedì 8 Aprile 2019)

La seconda ragione è che una buona istruzione pre-primaria migliora l'efficacia e l'efficienza dell'intero sistema scolastico. I bambini che la frequentano tendono a essere meno soggetti ai fenomeni connessi con la dispersione: ritardi, bocciature, abbandoni precoci. Quindi investire su questo livello significa facilitare il raggiungimento degli obiettivi nei gradi di istruzione successivi (ad esempio quello europeo sull'abbandono).

Il terzo motivo è che un accesso equo all'istruzione pre-primaria può avere effetti positivi anche sulla crescita economica. È un investimento nel capitale umano, perché aiuta a sviluppare alcune competenze che serviranno nel mercato del lavoro, dal pensiero critico alla capacità di relazionarsi con gli altri. Riduce lo svantaggio educativo dei bambini che vengono da famiglie povere, contrastando quella tendenza che rende ereditaria la povertà economica e educativa.

FONTE: elaborazione openpolis - Con i bambini su dati Ocse
(ultimo aggiornamento: mercoledì 21 Giugno 2017)

Infine, rende più concreta la possibilità per i genitori di partecipare al mondo del lavoro, con conseguenze positive per la parità di genere e il reddito della famiglia.

Motivi che fanno capire quanto sia decisivo l'investimento sull'istruzione nella fascia d'età tra 3 e 5 anni. Per assicurare che sia preso seriamente in considerazione dai governi, Unicef ha stabilito come obiettivo che almeno un anno di istruzione prescolare sia universale.

Per tradurre tutto questo in realtà, l’Unicef chiede ai governi di dedicare al settore dell'istruzione prescolare almeno il 10% dei loro bilanci scolastici nazionali.

Le spese nell'istruzione pre-primaria in Italia e in Ue

L'investimento dei paesi per l'istruzione pre-primaria può essere ricostruito attraverso diverse fonti. Ad esempio Eurostat, che però aggrega questo dato con quello relativo alla spesa per le primarie.

Ocse nei suoi rapporti periodici sull'educazione presenta due comparazioni internazionali molto interessanti sulle scuole per l'infanzia. La prima è la spesa annuale per bambino in istruzione pre-primaria. Questa elaborazione conteggia le spese sia da parte di istituzioni pubbliche (in Italia lo stato e gli enti locali) sia di privati.

FONTE: elaborazione openpolis - Con i bambini su dati Ocse
(ultimo aggiornamento: mercoledì 21 Giugno 2017)

L'altro punto di vista interessante è quanta parte del prodotto interno lordo rappresentino queste spese. In Svezia, l'1,4% del pil è destinato alle scuole dell'infanzia, seguita da un altro paese scandinavo, la Finlandia (0,9%). Tra i maggiori paesi dell'Unione europea spicca il dato francese (0,7% del pil destinato a istruzione pre-primaria).

FONTE: elaborazione openpolis - Con i bambini su dati Ocse
(ultimo aggiornamento: mercoledì 21 Giugno 2017)

Germania e Spagna si trovano in linea con la media Ocse (0,6%), mentre Italia e Regno Unito si collocano un decimo di punto al di sotto (0,5%).

Un terzo elemento essenziale per confrontare l'entità e la natura dell'investimento su questi servizi è la composizione della spesa per l'istruzione pre-primaria nei diversi paesi. Ovvero quanta parte sia finanziata dall'amministrazione pubblica e quanta invece da soggetti privati, in primo luogo le famiglie, ad esempio con le rette.

Tra i maggiori paesi dell'Unione europea è il Regno Unito quello dove l'istruzione pre-primaria risulta più finanziata dal settore privato. All'estremo opposto Francia e Italia: in entrambi i paesi la spesa pubblica supera il 90% di quella totale. Va comunque specificato che in quest'ultima vengono inclusi i sussidi pubblici ricevuti da strutture private.

FONTE: elaborazione openpolis - Con i bambini su dati Ocse
(ultimo aggiornamento: mercoledì 21 Giugno 2017)

Quanti alunni per insegnante?

Un altro aspetto da monitorare per valutare l'offerta di istruzione precedente alle elementari, è il numero di insegnanti rispetto agli alunni. Unicef raccomanda un rapporto di 20 bambini per ogni insegnante nella scuola pre-primaria.

1 a 20 il rapporto insegnante/alunni raccomandato da Unicef per le scuole d'infanzia.

A livello internazionale Unicef ha rilevato profondi squilibri tra i diversi stati. Nei paesi ad alto reddito, il rapporto è anche inferiore a quello minimo raccomandato. Se si contano gli iscritti effettivi, il rapporto è di 14 a 1. E anche contando tutti i bambini della fascia d'età interessata (nell'ipotesi di iscrizioni pari al 100% dell'utenza potenziale), il rapporto sale a 19 a 1. Comunque in linea con il rapporto indicato da Unicef.

FONTE: elaborazione openpolis - Con i bambini su dati Unicef
(ultimo aggiornamento: mercoledì 17 Aprile 2019)

Colpisce il contrasto con i paesi a basso reddito. Qui il rapporto dei soli iscritti per insegnante è di 34 a 1, e sale addirittura a 216 a 1 nello scenario in cui tutti i bambini di quei paesi frequentassero la scuola dell'infanzia.

L'inquadramento internazionale ci aiuta a introdurre il contesto italiano e le differenze tra i territori del nostro paese. Nell'analisi dei dati a livello locale, un aspetto importante da tenere presente è che le scuole dell'infanzia pubbliche non sono necessariamente statali. Circa una su 10 è gestita direttamente dagli enti locali, in particolare i comuni. Una distinzione fondamentale, perché significa che i dataset rilasciati dal Ministero dell'istruzione possono tracciare solo una parte dell'offerta.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Istat capitale umano
(ultimo aggiornamento: mercoledì 1 Gennaio 2014)

Preso atto di questi limiti, è comunque interessante individuare altre differenze nell'offerta delle scuole dell'infanzia statali. Ad esempio l'età del corpo docente: in media circa il 5% degli insegnanti ha meno di 34 anni, un dato che varia molto tra i diversi territori. Nelle province di Ancona e Cuneo gli insegnanti più giovani superano il 10%, mentre in realtà ad Agrigento, Caserta, Olbia-Tempio e Caltanissetta non arrivano all'1%.

FONTE: elaborazione openpolis - Con i bambini su dati Miur
(ultimo aggiornamento: lunedì 1 Gennaio 2018)

Divari che, come abbiamo avuto modo di raccontare in passato, riflettono anche il calo dei bambini nel mezzogiorno, molto più profondo rispetto al resto del paese.

La sfida: ridurre i divari fin dai primi anni

La scuola dell'infanzia quindi "presidia" una delle fasi più importanti durante la crescita del minore. Il passaggio precedente alla scuola dell'obbligo fa la differenza sugli apprendimenti, e quindi può ridurre (o, in sua assenza, acuire) i gap sociali e educativi di partenza.

Investire su scuola e comunità educante può ridurre i divari dei bambini svantaggiati.

Interviene in un'età dove il bambino entra in contatto con tante esperienze diverse rispetto a quelle conosciute all'interno del nucleo familiare. Non tutte le famiglie purtroppo hanno la possibilità di offrire ai loro figli le stesse opportunità ed esperienze formative. Ad esempio, basta osservare il dato sul primo utilizzo del pc, rilevato dalle indagini di Ocse. In tutti i paesi considerati la quota di ragazzi che hanno utilizzato un computer prima dei 6 anni è inferiore tra chi viene da una famiglia di condizione socio-economica-culturale più bassa. Disuguaglianze che diventano divari educativi, e colpiscono la parte più debole della società.

FONTE: elaborazione openpolis - Con i bambini su dati Ocse
(ultimo aggiornamento: giovedì 11 Maggio 2017)

Ciò carica di grande responsabilità il sistema educativo a questo livello, e la qualità della formazione che può offrire. Investire sulla scuola e sul'intera comunità educante, fin dall'inizio del percorso di crescita del minore, significa investire sul principale luogo dove quei divari possono essere ridotti.

Scarica, condividi e riutilizza i dati

I contenuti dell'Osservatorio povertà educativa #conibambini sono realizzati da openpolis con l'impresa sociale Con i Bambini nell'ambito del fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Mettiamo a disposizione in formato aperto i dati utilizzati nell'articolo. Li abbiamo raccolti e trattati così da poterli analizzare in relazione con altri dataset di fonte pubblica, con l'obiettivo di creare un'unica banca dati territoriale sui servizi. Possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione. La fonte dei dati è il Miur.

PROSSIMO POST