Il ruolo della scuola nel contrasto alle discriminazioni #conibambini

Disparità economiche, sociali e culturali minano l’integrazione dei minori stranieri. Il ruolo dell’istruzione è centrale sia negli apprendimenti che nel contrasto alle discriminazioni, ma sono molti i fronti di ritardo nell’inclusione scolastica.

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La lotta contro le discriminazioni è la base del percorso d’inclusione di bambini e ragazzi di origine straniera. Un processo che, in molti casi, è già pienamente compiuto per tanti minori con background migratorio. Con questa definizione infatti ci si riferisce a un universo molto ampio e composito, in cui si possono ricomprendere bambini e ragazzi che vivono situazioni fortemente diverse tra loro.

Dai minori stranieri non accompagnati, in condizione di particolare vulnerabilità per l’arrivo in un paese senza una figura genitoriale di riferimento, al milione di residenti con meno di 18 anni che non hanno la cittadinanza italiana. Senza dimenticare i circa 300mila minori italiani figli di immigrati.

Complessivamente, parliamo di più di 1,3 milioni di persone secondo le stime dell’istituto di statistica. Minori con background migratorio che in oltre 3 casi su 4 sono nati in Italia. In questo computo includiamo i bambini e ragazzi con cittadinanza non italiana, nati in Italia da cittadini stranieri (quasi 800mila bambini e ragazzi) e i minori italiani nati in Italia da genitori stranieri (circa 228mila, in base alle stime). Inoltre, circa un quarto dei minori con background migratorio sono nati all’estero, ed è straniero in circa 245mila casi, naturalizzato in 62mila.

Divari economici, sociali, educativi contribuiscono alle discriminazioni.

Situazioni quindi molto diverse, per cui una lettura binaria (italiano-straniero) risulta fuorviante. Allo stesso tempo, purtroppo, sono numerosi i fattori di discriminazione attraversati quotidianamente da molti di questi bambini e ragazzi con background migratorio. Come una più frequente fragilità economica delle famiglie di origine, un maggior rischio di esclusione educativa e sociale, nonché di esposizione a fenomeni di discriminazione e bullismo.

In questo quadro, l’influenza delle istituzioni educative è cruciale. Intendendo con queste non solo la scuola, ma tutti i soggetti che svolgono un lavoro costante e quotidiano come comunità educante. Abbiamo già avuto modo di approfondire come ad esempio l’attività sportiva possa essere un motore di inclusione insostituibile.

Allo stesso tempo, il ruolo centrale nell’inclusione dei minori stranieri rimane quello della scuola, a partire dai primi livelli di istruzione. Senza considerare quello dell’istruzione pre-scolare, fin dai primi anni di vita. Perché lì si creano basi per integrazione culturale (basti pensare alla lingua, nei casi in cui in famiglia non si parla l’italiano) e sociale, attraverso la frequentazione sui banchi di scuola di compagne e compagni di cittadinanza diversa.

Per funzionare, questo motore di inclusione necessita di alcuni presupposti. Come la capacità delle istituzioni scolastiche di creare inclusione e la partecipazione di tutti i bambini e ragazzi al percorso educativo, a prescindere dalla cittadinanza.

Una serie di dati mostra che in troppi casi non è così o, perlomeno, che ciò avviene in misura meno frequente rispetto ai coetanei italiani.

Disuguaglianze e discriminazioni tra i minori stranieri

I minori stranieri vivono più di frequente una condizione di svantaggio, sul piano economico, sociale, culturale.

Partendo dagli aspetti materiali, l’ultimo rapporto Istat sulla povertà assoluta ha indicato come l’8,3% delle famiglie si trovi in tale condizioni, quota che sale quasi al 12% nei nuclei con almeno un minore. La cittadinanza è un fattore decisivo nell’incidenza di povertà assoluta tra le famiglie con figli. Quelle assolutamente povere sono il 7,8% se tutti i membri sono italiani, 30,7% se c’è almeno uno straniero, addirittura 36,1% se il nucleo è composto solo da stranieri.

1 su 3 le famiglie straniere con figli in povertà assoluta nel 2022.

La vulnerabilità economica è alla base dei divari nelle opportunità sociali, culturali, ludiche, educative che avranno a disposizione i bambini figli di immigrati. E contribuisce a rafforzare – come in un circolo vizioso – altri fattori di discriminazione, come quelli legati alla lingua e alla cultura.

Fin dai primi anni di vita, il ruolo potenzialmente inclusivo dell’istruzione è minato da tassi di scolarizzazione inferiori. Prima della scuola dell’obbligo (3-5 anni), risultano inseriti in percorsi educativi il 95,1% dei bambini italiani e meno dell’80% di quelli stranieri. Le conseguenze sono ben visibili nel percorso successivo, dove si riscontrano maggiori difficoltà negli apprendimenti e livelli più alti di ritardo scolastico. L’iscrizione a una classe inferiore rispetto alla propria età anagrafica riguarda un alunno con cittadinanza non italiana su 4, alle superiori addirittura quasi uno su 2.

Fenomeni che conducono, dal punto di vista educativo, a una maggiore probabilità per gli studenti stranieri rispetto ai coetanei italiani di disperdersi e abbandonare precocemente gli studi.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Mim, Istat, Invalsi ed Eurostat
(consultati: lunedì 22 Gennaio 2024)

Sul fronte delle relazioni con i coetanei, i divari possono tradursi in una maggiore difficoltà di inserimento nelle reti sociali. L’indagine di Istat sulle identità e percorsi di integrazione delle seconde generazioni in Italia del 2020 aveva indicato come l’incidenza dei ragazzi che non vedono amici nel tempo libero fosse quasi doppia rispetto agli italiani.

7,9% studenti stranieri che non frequentano amici nel tempo libero (4,2% tra i coetanei italiani).

Ed è più frequente purtroppo che siano i ragazzi stranieri a subire atti discriminatori e di bullismo. Quasi la metà degli studenti delle scuole secondarie aveva dichiarato di aver subito almeno un episodio offensivo, non rispettoso o violento da parte di altri ragazzi nel mese precedente la rilevazioni. Anche in questo caso, molto più dei coetanei italiani.

49,5% studenti stranieri che hanno subito bullismo nel mese precedente la rilevazione (42,4% tra gli italiani).

La scuola al centro delle politiche di inclusione

Si tratta di fenomeni in apparenza sconnessi, ma che in realtà vanno a comporre il quadro delle disuguaglianze e dei divari che affliggono i bambini e i ragazzi stranieri.

(…) la ricerca ha provato una relazione significativa tra segregazione socio-economica e problemi comportamentali (Hugh 2010), atti di bullismo e discriminazioni (Cardinali et al. 2015), voti bassi (OECD 2007) e aumento del rischio di non proseguire gli studi (…)

Se queste tendenze sono collegate, la scuola è il denominatore comune per affrontarle. Questa, in rapporto con la comunità educante, deve essere il fulcro delle politiche di contrasto alle discriminazioni, per due motivi. In primis, è in quella sede che l’incontro di culture diverse può realizzarsi in un contesto educativo di confronto e rispetto reciproco. In secondo luogo, perché è dall’apprendimento e dall’inclusione scolastica che passa anche l’integrazione sociale e culturale del minore e potenzialmente della sua famiglia di origine.

Presupposto di queste politiche di inclusione è una mappatura delle esigenze sul territorio, che parte dal capire dove vivono i bambini e ragazzi con cittadinanza non italiana nel nostro paese.

Dove vivono i bambini e i ragazzi stranieri

In Italia vive oltre un milione di minori con cittadinanza non italiana, pari al 11,4% dei residenti con meno di 18 anni nel 2022. Questa percentuale varia molto sul territorio nazionale: è soprattutto nel centro-nord, e in particolare nelle città, che abitano i bambini e ragazzi stranieri residenti nel nostro paese.

Rappresentano oltre il 15% dei minori in Emilia-Romagna (17,4%), Lombardia (16,8%) e Toscana (15,1%); ma meno del 5% in Molise (4,9%), Sicilia (4,7%), Campania e Puglia (4,3%), Sardegna (3,5%). Tra le province il confronto è ancora più stridente, essendo oltre il 20% dei minori nei territori di Prato, Piacenza, Parma, Lodi e Milano. Meno del 3% invece in quelli di Taranto, Enna, Nuoro, Oristano e Sud Sardegna.

Come anticipato, i minori stranieri vivono soprattutto nelle città maggiori, in particolare del centro-nord. Tra i capoluoghi spiccano Prato (33,9% dei bambini e ragazzi residenti nel comune) e Piacenza (28,8%). Seguono i comuni di Brescia, Imperia, Parma Milano e Cremona.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati demo.Istat
(ultimo aggiornamento: sabato 1 Gennaio 2022)

Le due città italiane con meno minori stranieri residenti sono Potenza e Andria (entrambe al 1,7%). Tra i capoluoghi del mezzogiorno, quello con più minori stranieri è Ragusa (11,8%). Si tratta dell’unico capoluogo meridionale al di sopra della media nazionale. Il secondo (L’Aquila) si attesta infatti al 10,8%.

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I contenuti dell’Osservatorio povertà educativa #conibambini sono realizzati da openpolis con l’impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Mettiamo a disposizione in formato aperto i dati utilizzati nell’articolo. Li abbiamo raccolti e trattati così da poterli analizzare in relazione con altri dataset di fonte pubblica, con l’obiettivo di creare un’unica banca dati territoriale sui servizi. Possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione. I dati relativi ai residenti per età e cittadinanza sono stati elaborati a partire da fonti Istat.

Foto: National Cancer Institute (unsplash)Licenza

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