I servizi per l’infanzia a supporto dell’occupazione femminile #conibambini

Gli obiettivi di Barcellona, aggiornati dopo la pandemia, hanno anche come scopo quello di ridurre i divari occupazionali tra uomini e donne. I servizi prima infanzia, accanto all’impatto in termini educativi, possono migliorare anche la partecipazione femminile al mondo del lavoro.

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A seguito della maternità, in Italia una donna su cinque fuoriesce dal mercato del lavoro. Anche per questo il tasso di occupazione delle donne con un figlio è nettamente più basso rispetto alla media Ue: 62,6% a fronte del 76,2% europeo nel 2022. Divari che permangono all’aumentare del numero dei figli. Questi sono dati che ci ricordano quanto restino ampie le disparità di genere nel nostro paese su questo fronte.

Una volta diventati genitori, le donne sono quindi meno presenti all’interno del mercato del lavoro rispetto agli uomini. Una condizione che spesso viene influenzata dalla difficoltà delle famiglie nell’accedere ai servizi educativi specifici per la prima infanzia, sia per la carenza sul territorio che per il costo da sostenere che spesso risulta elevato.

Anche per queste dinamiche, a livello europeo erano stati concordati nel 2002 degli obiettivi che poi sono stati aggiornati dopo l’emergenza sanitaria. Sono target mirati a migliorare la condizione educativa dei minori ma hanno un ruolo anche nel potenziamento dell’occupazione femminile, data l’incidenza che il lavoro di cura ha sulle madri.

I divari dell’occupazione femminile in Italia

La discrepanza registrata nel nostro paese rispetto al resto degli stati dell’Unione è anche determinata da divari interni sull’occupazione femminile. A livello nazionale, nel 2021 le donne occupate della fascia demografica compresa tra i 25 e i 49 anni sono il 62,9%. Si tratta però di una dinamica che varia molto all’interno del paese: se nei territori settentrionali del paese il valore si assesta al 73,4% e in quelli del centro al 66,4%, nel sud è pari al 47,1%, meno di 1 donna su 2.

Attraverso i dati raccolti nell’ambito del censimento permanente, possiamo ricostruire le distanze sul territorio nazionale. A livello regionale, la percentuale di occupate maggiore si registra in Trentino-Alto Adige (78,2%), seguita da Valle d’Aosta (75,5%) e Lombardia (73,9%). Al di sotto del 50% invece in Puglia (49,8%), Calabria (46,5%), Campania (43,3%) e Sicilia (42,1%).

Il dato riportato sulla mappa è l’incidenza di donne occupate nella fascia d’età fertile (tra i 25 e i 49 anni).

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Istat
(consultati: martedì 27 Febbraio 2024)

La tendenza rilevata a livello nazionale si può ritrovare anche nelle amministrazioni: nei comuni del centro-nord del paese, la quota di donne occupate nella fascia 25-49 risulta generalmente maggiore rispetto a quella del sud. Tra i capoluoghi, sono in tutto 44 quelli che registrano un’incidenza maggiore del 70% e si trovano tutti nell’area centro-settentrionale. Quello che riporta la quota maggiore è Belluno (81,1%), seguito da Bolzano (77,1%), Trento (76,6%) e Cuneo (76,5%). Sono invece 17 quelli in cui la percentuale si assesta al di sotto del 50%, tutti nel mezzogiorno. I valori minori si registrano a Palermo (43,1%), Catania (41,4%) e Napoli (41%).

L’importanza della rete educativa per la prima infanzia

Per riavvicinare il tasso di occupazione femminile alla media europea, e ridurre i divari all’interno del paese, è essenziale l’estensione dei servizi per la prima infanzia e la loro accessibilità in termini economici. Un legame individuato anche a livello continentale, e su cui da anni investono anche le politiche Ue.

Increasing participation in formal early childhood education and care (ECEC) could significantly improve the labour market activity of mothers in low-income households. Yet, accessible, affordable, and high-quality ECEC remains limited in a number of Member States.

Incrementare la presenza delle donne nel mondo del lavoro era infatti l’obiettivo degli obiettivi di Barcellona sugli asili nido e sulle scuole dell’infanzia: si tratta di soglie stabilite dall’Unione europea per definire il livello minimo di presenza di questi servizi sul territorio.

Gli stati membri devono impegnarsi a offrire tali servizi: ad almeno il 33% di bambini sotto i 3 anni (target che riguarda la presenza di asili nido e di servizi per la prima infanzia); ad almeno il 90% dei bambini di età compresa fra i 3 anni e l’età dell’obbligo scolastico (target che in Italia riguarda le scuole per l’infanzia). Vai a “Che cosa prevedono gli obiettivi di Barcellona sugli asili nido”

Tali soglie sono poi state riviste tra il 2021 e il 2022. Rispetto agli asili nido, segmento essenziale perché riguarda i primi mesi di vita del bambino, è stato indicato un incremento tendenziale dal 33% al 45%. Commisurato alla situazione di partenza ciascun paese: quelli che sono al di sotto del 20% dovrebbero incrementare il proprio indicatore di almeno il 90% mentre quelli che si trovano tra il 20% e il 33% dovrebbero riportare un miglioramento di almeno il 45% o raggiungere un tasso pari al 45%. L’Italia si trova all’interno di questo ultimo gruppo, avendo riportato nel 2021 una percentuale pari al 28%.

Nonostante la crescita registrata nell’ultimo decennio, dai 22,5 posti ogni 100 bambini del 2013 agli attuali 28, l’Italia non ha ancora raggiunto la soglia del 33% indicata nel 2002. Va considerato che la crescita in corso dell’offerta potenziale risente anche del calo delle nascite: a parità di posti infatti, se diminuiscono i bambini, anche l’offerta in termini relativi cresce.

Stando all’ultimo rapporto sull’evento nascita in Italia, l’età media delle madri al parto risulta superiore ai 30 anni (33,1 per le donne italiane, 31,1 per le straniere). È perciò rilevante il fatto che i territori con più occupazione femminile tra i 25 e i 49 anni siano anche quelli con più servizi per l’infanzia sviluppati. Queste sono dinamiche che in qualche modo si autoalimentano.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Istat
(consultati: martedì 27 Febbraio 2024)

È evidente che i territori con meno servizi per l’infanzia riportano una minore occupazione femminile e viceversa. La relazione va letta in un doppio senso: nelle aree del paese in cui le donne lavorano di meno, cambia la percezione dell’importanza di questi servizi; dall’altra parte, essendo minori i posti disponibili negli asili nido, si riduce la possibilità di lavorare per le madri. SI crea quindi un circolo vizioso che disincentiva l’occupazione femminile in generale.

Sono in tutto 48 le province italiane in cui oltre il 70% delle donne con un’età compresa tra i 25 e i 49 anni risultano occupate. Di queste, 38 registrano una quota di posti negli asili nido superiore alla media nazionale (pari al 28%). Dodici riportano una copertura di asili superiore al 40%, si tratta di Trento, Biella, Bologna, Aosta, Firenze, Reggio nell’Emilia, Forlì-Cesena, Siena, Trieste, Ferrara, Ravenna, Perugia. Si tratta esclusivamente di territori del centro-nord del paese. Risulta infatti evidente il divario con il mezzogiorno, la macroarea in cui sono presenti sia meno posti che minori tassi di occupazione.

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I contenuti dell’Osservatorio povertà educativa #conibambini sono realizzati da openpolis con l’impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Mettiamo a disposizione in formato aperto i dati utilizzati nell’articolo. Li abbiamo raccolti e trattati così da poterli analizzare in relazione con altri dataset di fonte pubblica, con l’obiettivo di creare un’unica banca dati territoriale sui servizi. Possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione. I dati relativi ad asili nido e servizi prima infanzia sono di fonte Istat.

Foto: Karolina Grabowska Pexels – licenza

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