Che cosa prevedono gli obiettivi di Barcellona sugli asili nido

Gli obiettivi Ue di Barcellona riguardano la diffusione di nidi, servizi e scuole per l’infanzia, da offrire ad almeno il 33% dei bimbi sotto i 3 anni e al 90% di quelli tra 3 e 5 anni. Dopo il Covid sono stati innalzati al 45% e al 96%.

Definizione

Nel 2002 il consiglio europeo riunito a Barcellona ha stabilito 2 obiettivi, in termini di diffusione di servizi per l’infanzia, tra cui gli asili nido. Gli stati membri devono impegnarsi a offrire tali servizi:

  1. ad almeno il 33% di bambini sotto i 3 anni (target che riguarda la presenza di asili nido e di servizi per la prima infanzia);
  2. ad almeno il 90% dei bambini di età compresa fra i 3 anni e l’età dell’obbligo scolastico (target che in Italia riguarda le scuole per l’infanzia).

Dopo l’emergenza Covid, entrambi gli obiettivi sono stati aggiornati. In primo luogo, con una risoluzione del consiglio dell’Ue del febbraio 2021, l’obiettivo del 90% nella fascia 3-5 anni è stato innalzato al 96%, nell’ambito dei target sull’istruzione da raggiungere entro il 2030.

 

Gli obiettivi Ue sull'educazione e cura della prima infanzia

Fascia d'etàObiettivo 2010Obiettivo 2030
Sotto i 3 anni33%45%*
Tra 3 anni e l'obbligo scolastico90%96%
*Il nuovo obiettivo del 45% è commisurato alla situazione di partenza di ciascun paese, tenendo conto che molti non hanno ancora raggiunto l'obiettivo del 33% fissato nel 2002. In particolare:
- gli stati al di sotto del 20% dovrebbero migliorare il proprio indicatore di almeno il 90%;
- gli stati tra 20 e 33% dovrebbero migliorare il proprio indicatore di almeno il 45%, o almeno fino al raggiungimento di un tasso di partecipazione del 45%.

 

Il target del 96% è stato confermato nelle raccomandazioni specifiche in materia di educazione e cura della prima infanzia, formulate nel consiglio dell’Ue alla fine del 2022. In questa sede anche l’obiettivo del 33% per la fascia sotto i 3 anni è stato innalzato al 45%, sempre entro il 2030.

Sul fronte degli asili nido e dei servizi per la prima infanzia, il legislatore italiano ha integrato l’obiettivo del 33% anche nella normativa nazionale. Il decreto 65 del 2017 all’articolo 4 infatti recita:

Lo Stato promuove (…) il progressivo consolidamento, ampliamento, nonché l’accessibilità dei servizi educativi per l’infanzia, anche attraverso un loro riequilibrio territoriale, con l’obiettivo tendenziale di raggiungere almeno il 33 per cento di copertura della popolazione sotto i tre anni di età a livello nazionale

L’obiettivo del 33% è quindi parametrato in chiave nazionale, ma lo stesso legislatore ha fissato come metodo il perseguimento di un riequilibrio territoriale nell’offerta di servizi per la prima infanzia, per ridurre i territori carenti o privi di offerta.

Dati

Entrambi gli obiettivi erano fissati in origine al 2010. Per quanto riguarda quello del 90% nella fascia 3-5 anni, l’Italia si colloca stabilmente al di sopra. È al 91% nel 2021, dato che la pone al di sopra dell’obiettivo originario ma al di sotto della media europea e della nuova soglia del 96%, stabilita a febbraio 2021.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Eurostat
(pubblicati: giovedì 25 Maggio 2023)

Il ragionamento è invece più articolato rispetto all’obiettivo di offrire un posto in asili nido o in strutture per la prima infanzia almeno al 33% dei bambini sotto i 3 anni. Pur in crescita nel corso dell’ultimo decennio, il dato italiano risulta ancora distante dalla soglia obiettivo, a maggior ragione dopo l’innalzamento al 45%.

Il dato presentato somma l’offerta di posti sia negli asili nido sia nei servizi integrativi per la prima infanzia.

I dati di copertura relativi al 2019 sono stati aggiornati in base ai risultati del censimento permanente della popolazione e alla ricostruzione della serie di popolazione residente.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Istat
(ultimo aggiornamento: giovedì 15 Giugno 2023)

Ma è se si guarda a questi dati con maggiore profondità territoriale che emergono le maggiori criticità. Si vede come la media nazionale nasconda forti disparità nella copertura potenziale dei nidi tra le diverse zone d’Italia. In particolare tra centro-nord e mezzogiorno, ma non solo.

Disuguaglianze nell’offerta di servizi sono rilevabili già a livello regionale. Anche se nessuna regione oggi raggiunge la nuova soglia del 45%, sono 6 quelle che superano la quota del 33% fissata in sede Ue. Si tratta di Umbria (43,7 posti ogni 100 bambini 0-2 anni), Emilia-Romagna e Val d’Aosta con una quota superiore al 40%. Sopra la soglia originaria fissata a Barcellona anche Toscana, Friuli-Venezia Giulia e Lazio. Le regioni del mezzogiorno (con l’eccezione della Sardegna che ha quasi raggiunto il 33%) si collocano ancora tutte al di sotto della media nazionale.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Istat
(ultimo aggiornamento: giovedì 15 Giugno 2023)

Le maggiori regioni meridionali si trovano tutte in fondo alla classifica. Oltre alla Campania (11,7%), ci collocano al di sotto del 15% anche Sicilia (13%) e Calabria (14,6%). La Puglia presenta dati più elevati (19,7%) ma è comunque quart’ultima nella classifica regionale.

Permangono inoltre differenze molto ampie da comune a comune. Storicamente infatti l’offerta di servizi prima infanzia a livello territoriale mostra due fratture. La prima, e più evidente, è quella tra comuni dell’Italia centrale e settentrionale e quelli del mezzogiorno. La seconda è quella tra i maggiori centri urbani, dove il servizio è più diffuso (anche se soggetto a una pressione maggiore, data la maggiore ampiezza dell’utenza potenziale) e i comuni delle aree interne, dove la domanda debole e dispersa ha storicamente limitato lo sviluppo di una rete di servizi.

Il dato misura l’offerta di asili nido e di servizi integrativi per la prima infanzia, nel settore pubblico e in quello privato.

A causa della natura associativa del fenomeno, come specificato nei metadati di Istat, la disaggregazione dei dati a livello comunale ha richiesto l’introduzione di una componente di stima. Va inoltre osservato che vi sono forme di associazione, meno strutturate, che non sono rappresentate dai dati a livello comunale.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Istat
(consultati: giovedì 15 Giugno 2023)

E le disparità nell’offerta di servizi prima infanzia si possono cogliere addirittura all’interno di uno stesso comune, tra quartiere e quartiere. Ad esempio a Roma, dove un’offerta media molto elevata si distribuisce in modo fortemente differenziato tra le 155 zone urbanistiche che compongono la città. Come abbiamo avuto modo di ricostruire nell’approfondimento Asili nido a Roma, tali divari si notano osservando i dati rilasciati dal comune per l’anno educativo 2015/16 (relativi solo all’offerta comunale e in convenzione). Emergono zone con copertura potenzialmente quasi totale, ad esempio l’Eur (95%, con 175 posti disponibili per 185 bambini residenti 0-2 anni). Allo stesso tempo, risulta carente l’offerta in territori come Ostia Nord (7%) e Borghesiana (9%).

Analisi

Dopo l’emergenza Covid, il tema dell’educazione – a partire dai primi anni di vita – si è rafforzato come una delle principali priorità del decisore a livello europeo. Lo testimoniano la risoluzione del febbraio 2021, che ha aggiornato diversi obiettivi, tra cui quello dell’istruzione tra i 3 anni e l’età dell’obbligo scolastico. Target innalzato dal 90 al 96% nell’ambito del quadro strategico per la cooperazione europea nel settore dell’istruzione e della formazione.

Successivamente, alla fine di novembre 2022, una raccomandazione del consiglio dell’Ue si è occupata nello specifico dell’educazione per la prima infanzia. È stato confermato l’obiettivo del 96% per la fascia 3-5 anni, e per quella sotto i 3 anni il target è stato innalzato dal 33% al 45% entro il 2030.

Si tratta di un obiettivo tendenziale e da graduare in base alla situazione di partenza di ciascuno stato. È la stessa raccomandazione a stabilirlo, prendendo atto delle ampie differenze di partenza:

Si raccomanda agli Stati membri (…) provvedendo a che entro il 2030 almeno il 45% dei bambini di età inferiore ai tre anni partecipi all’Ecec (…).
Fermo restando il primo comma, si raccomanda agli Stati membri che non hanno ancora raggiunto l’obiettivo fissato nel 2002 (…) di aumentare la partecipazione entro il 2030 almeno di una percentuale specifica (…):
i) almeno del 90% per gli Stati membri il cui tasso di partecipazione è inferiore al 20 %; o
ii) almeno del 45 %, o almeno fino al raggiungimento di un tasso di partecipazione del 45%, per gli Stati membri il cui tasso di partecipazione è compreso tra il 20% e il 33%

Come osservato dall’Alleanza per l’infanzia e dalla rete dei soggetti che si occupano del tema, la vera novità non è solo l’innalzamento degli obiettivi quantitativi, ma la scelta di dare priorità ad aspetti qualitativi. Rispetto al consiglio del 2002, dove la finalità era unicamente indirizzata ad aumentare la partecipazione femminile al mercato del lavoro, l’approccio della nuova raccomandazione è molto più articolato, rivolto allo sviluppo delle potenzialità di tutti i bambini e al contrasto delle disuguaglianze.

Scopo della presente raccomandazione è incoraggiare gli stati membri ad aumentare il ricorso a servizi Ecec accessibili, a costi sostenibili e di alta qualità (…) al fine di facilitare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e migliorare lo sviluppo sociale e cognitivo di tutti i bambini, in particolare di quelli che versano in situazioni di vulnerabilità o provengono da contesti svantaggiati.

Un aspetto da tenere presente sugli indicatori quantitativi è che sono formulati in chiave nazionale. Ciò è utile perché consente il confronto con gli altri paesi europei e soprattutto pone un obiettivo strategico per l’intero paese. Ma, se il punto di vista è ridurre gli squilibri territoriali nell’offerta di asili nido, i dati nazionali e purtroppo anche quelli regionali non bastano. Anzi, rischiano di comprimere eccessivamente l’analisi di un fenomeno che ha una distribuzione territoriale molto disomogenea e variegata. Per comprendere questi aspetti è necessario scendere a un livello più di dettaglio. In primo luogo quello comunale, se non addirittura subcomunale quando si parla di grandi aree urbane.

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