Partner

Quando si parla di violenza di genere, è sempre presente il rischio che l’attenzione si concentri solo nel momento in cui, come purtroppo accade di frequente, del tema si occupa la cronaca nera. In particolare in occasione delle sue manifestazioni più estreme, in primis il femminicidio.

In questa tendenza si cela però un duplice pericolo. Da un lato, quello di trattare il fenomeno come episodico, legato a singoli casi criminali che – più o meno spesso – ottengono l’attenzione dei media e dell’opinione pubblica. Dall’altro lato, è altrettanto concreto il rischio di deviare il dibattito pubblico stesso, che finisce con l’alimentarsi solo di particolari provenienti dai singoli casi giudiziari.

La mancanza di un dibattito basato sui dati rischia di favorire una sottovalutazione del fenomeno.

Nonostante una letteratura scientifica molto approfondita, e il lavoro di raccolta dati svolto da alcuni anni dagli istituti di statistica, nel dibattito corrente difficilmente invece il tema viene affrontato in senso più ampio. Trattando ogni situazione come un caso di cronaca a sé stante, viene eluso qualsiasi tipo di riflessione sul tema come vera e propria piaga sociale, nelle sue implicazioni culturali e nelle sue conseguenze per l’intera società.

In assenza di un dibattito strutturato, basato anche sui dati, ne escono sminuite la stessa portata del fenomeno e le sue radici più profonde. Radici che affondano in una mentalità maschilista tutt’altro che sconfitta o in via di estinzione.

Il report in formato pdf

A dimostrarlo, non ci sono solo le preoccupanti notizie provenienti dall’estero, come l’uscita dalla convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne della Turchia, il 20 marzo scorso, e la possibilità concreta che anche la Polonia segua la stessa strada, dopo che l’Ungheria lo scorso anno non ne ha ratificato il testo. Decisioni politiche non sempre motivate ufficialmente, ma dietro cui si affacciano argomentazioni che era ragionevole considerare ormai escluse da qualsiasi tipo dibattito.

(…) secondo i conservatori la Carta danneggia l’unità familiare, incoraggia il divorzio e i suoi riferimenti all’uguaglianza venivano strumentalizzati dalla comunità Lgbt.

Ma lo dimostrano anche i dati più recenti sul grave aumento di violenze domestiche durante la pandemia, registrato in molti paesi tra cui il nostro. Lo scoppio dell’emergenza Covid ha significato notevoli cambiamenti nella vita quotidiana delle persone, in particolare per le misure restrittive ai fini di contenimento del contagio, come il lockdown. Le politiche di contenimento hanno consentito di ridurre il numero di contagi giornalieri, limitando l’impatto sanitario del Covid. Allo stesso tempo, sono state poste da subito, nel dibattito pubblico, una serie di questioni. Una delle implicazioni più rilevanti è quella relativa alla violenza domestica. La raccomandazione di stare a casa per molte donne ha infatti significato rimanere a stretto contatto per quasi tre mesi con il proprio partner violento.

L‘Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (Eige) ha sottolineato nel suo ultimo report come durante il lockdown sia incrementato il rischio di violenze intime, ossia quelle da parte dei partner. Una questione che ha da subito riguardato numerosi paesi europei, compresa l’Italia.

Il tutto in un contesto di insicurezza economica, ansia per il possibile contagio e per le limitazioni sociali prolungate. A tal proposito Eige mostra come questi sentimenti dovuti a una situazione emergenziale hanno per esempio contribuito all’aumento del consumo di alcol.

+22% le chiamate al numero antiviolenza nel marzo 2020 rispetto allo stesso mese dell’anno precedente.

Durante la pandemia si è registrato un aumento delle segnalazioni di violenze.

Le conseguenze immediate sulle vittime, donne e figli inclusi, si sono tradotte in paura e percezione di vulnerabilità. Inoltre, la necessità di stare a casa ha aumentato la difficoltà di trovare adeguate motivazioni per lasciare l’abitazione. Sia per denunciare l’episodio violento, sia per separarsi dal compagno, in quanto sarebbe ulteriormente più complicato trovare un’altra abitazione. Di conseguenza, il sentimento di non poter cambiare la situazione presente in molte donne porta a un possibile isolamento sociale e dunque una difficoltà maggiore nel chiedere aiuto.

Infatti, i primi dati rilasciati da Istat mostrano come le chiamate al numero antiviolenza siano impennate durante i mesi di lockdown in Italia, pari al 73% in più rispetto al 2019. Violenze che riguardano migliaia di donne ogni giorno e che, oltre al contesto creatosi con il lockdown, accadono anche nei luoghi di lavoro, per strada, a scuola. Considerando il numero di denunce, che sono rappresentative di una parte solo minoritaria delle violenze fisiche, si osserva comunque una netta tendenza all’aumento. Basti pensare che nei mesi tra marzo e giugno del 2020 sono stati riferiti al 1522 (il numero verde anti violenza e stalking) 1.673 episodi di violenza in più rispetto al 2019.

FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Istat
(ultimo aggiornamento: martedì 30 Giugno 2020)

Se poi si osserva il numero degli esiti estremi di queste violenze, gli omicidi, nel corso di tutto il 2020 ce ne sono stati 112 con una donna come vittima. E al 9 maggio 2021 sono già 38 omicidi volontari con vittime donne. Di queste, 34 sono state uccise in ambito familiare e in 25 casi l’autore dell’omicidio è il partner o l’ex partner.

Un fenomeno che va combattuto anche sul piano culturale ed educativo.

Tutti questi dati ci ricordano come il problema non sia affatto sporadico (non lo era neanche prima della pandemia, del resto), e non vada quindi trattato come tale. La violenza di genere e la sua manifestazione più grave, il femminicidio, devono essere considerati come una questione culturale che fonda le radici in una concezione patriarcale della società. Una mentalità purtroppo molto più radicata di quanto si pensi comunemente e che, anche quando non irrompe nella cronaca giudiziaria, emerge nelle manifestazioni di mascolinità tossica e in una visione degradante del ruolo della donna.

Si tratta dell'idea, spesso interiorizzata, che la donna ricopra un ruolo ancillare, totalmente o parzialmente subalterno nella società. Tale concezione è alla base delle discriminazioni in ambito familiare, sociale e lavorativo. E, nei casi più gravi, alimenta nell'uomo la convinzione di poter disporre della propria partner, innescando il meccanismo che è alla base delle violenze di genere e dei casi di femminicidio.

Appare quindi evidente che, per essere efficace, il fenomeno vada contrastato nelle sue radici culturali ed educative. In primo luogo, con politiche attive volte a ridurre i tanti gap tra uomini e donne nei diversi ambiti, dal lavoro svolto, al salario, alla divisione equa della mansioni familiari. Ma anche attraverso un investimento educativo a partire dalle generazioni più giovani, che educhi alla parità di genere, al rispetto reciproco, al rifiuto di ogni forma di violenza.

Un investimento educativo che parta dai più piccoli, che spesso costituiscono l'altra faccia della violenza domestica. Tra le vittime ci sono anche i figli: che assistono, o anche subiscono direttamente, le violenze.

Una situazione che ha il suo estremo nei casi di femminicidio, con gli orfani di crimini domestici e di violenza di genere. Un esito così drammatico da essere stato tutelato da una legge apposita in cui viene dedicato un fondo di aiuti ai figli orfani di madre. Nel 2020 sono circa 2.000 le ragazze e i ragazzi, sia maggiorenni che minorenni, aventi diritto a un sussidio finanziario proprio a seguito dell'omicidio della madre per mano del partner o di un familiare.

Accanto a questo tipo di interventi, è essenziale intervenire soprattutto sulla prevenzione. L'investimento educativo di cui parliamo deve puntare a trasmettere a bambini e ragazzi tutti gli strumenti per essere parte attiva del contrasto alla violenza di genere. Dagli aspetti culturali già analizzati, come il ruolo paritario della donna e il rifiuto della violenza, alle modalità concrete per contrastare i casi di violenza, quando avvengono. Ad esempio l'importanza della denuncia e il ricorso ricorso all'aiuto offerto da associazioni e centri anti-violenza.

È urgente capire come rafforzare le misure esistenti e implementare nuove misure per proteggere e sostenere le donne vittime di violenza da partner e i loro figli durante e all'indomani del Covid-19, così come in altri potenziali situazioni di crisi.

Per approfondire maggiormente questi aspetti, il presente report si compone di due capitoli.

Nel primo capitolo abbiamo affrontato il tema del femminicidio, un dramma che colpisce ogni anno circa 100 donne. Partendo da una ricostruzione comparativa a livello Ue, abbiamo approfondito la situazione italiana, delineando anche l'evoluzione del fenomeno negli ultimi anni. Per concludere poi con un approfondimento sui figli orfani di madri a seguito di un femminicidio, fornendo una fotografia di quanto accaduto nel 2020 in Italia.

Nel secondo capitolo, invece, è stato descritto il fenomeno della violenza di genere in Italia in quanto strettamente legato al femminicidio. Infatti, nel capitolo vengono analizzati due indicatori utili a capire l'ampiezza del fenomeno: le chiamate al 1522, il numero antiviolenza, e l'evoluzione dei reati spia. Infine, tra le vittime della violenza di genere ci sono spesso anche i figli, che assistono o subiscono violenza. Una tematica di cui trattiamo nell'ultima parte del capitolo.

Scarica, condividi e riutilizza i dati

I contenuti dell'Osservatorio povertà educativa #conibambini sono realizzati da openpolis con l'impresa sociale Con i Bambini nell'ambito del fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Mettiamo a disposizione in formato aperto i dati utilizzati nell'articolo. Li abbiamo raccolti e trattati così da poterli analizzare in relazione con altri dataset di fonte pubblica, con l'obiettivo di creare un'unica banca dati territoriale sui servizi. Possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione. I dati relativi alla violenza di genere sono di fonte Istat e Eurostat.

PROSSIMA PARTE