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Un cambio di prospettiva sulle disabilità

Per decenni, la lettura prevalente ha confinato la disabilità in un ambito quasi esclusivamente clinico. Adottando questo punto di vista, l’attenzione da dedicare alla persona con handicap finisce – quasi per inerzia – “parcellizzata” tra i molteplici settori cui questa si rivolge per vedere garantiti i propri diritti.

Il minore con disabilità non va ridotto a utente di servizi: è una persona con diritti da garantire.

Con un simile approccio, la persona con disabilità può essere – di volta in volta – un paziente, un richiedente di prestazioni e servizi di welfare, un utente con necessità specifiche rispetto ad alcuni servizi (ad esempio il trasporto pubblico). Se la persona disabile è anche di minore età, il focus generalmente si concentra sul profilo di studente con handicap oppure su quello di utente dei servizi sociali.

Si tratta di una prospettiva fortemente limitante, che è stata superata dalla letteratura scientifica da almeno un ventennio. Nel 2001, l’Oms ha abbandonato un approccio meramente clinico individuando nella disabilità “il risultato di una complessa relazione tra la condizione di salute di un individuo e i fattori personali e i fattori ambientali che rappresentano le circostanze in cui vive” (Oms, Isfol).

Il report in formato pdf

Una definizione che allarga lo spettro di azione e con esso la necessità di intervento. In condizioni ambientali sfavorevoli, chiunque affronti un problema di salute può vivere una disabilità. Ed essa, in quanto esito sia di condizioni di salute che ambientali, può produrre discriminazioni e svantaggi che è compito della collettività rimuovere.

13,3% delle persone tra 14 e 44 anni con limitazioni gravi si dichiara per niente soddisfatto del proprio tempo libero. Tra i coetanei senza limitazioni la quota è pari al 4,1%.

Tale approccio è stato recepito da documenti e linee guida internazionali (cfr. con documentazione Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità). A partire ovviamente dalla convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, approvata dall’assemblea delle Nazioni unite nel 2006, principale punto di riferimento delle politiche pubbliche in materia.

Per persone con disabilità si intendono coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettive o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri.

Inclusione significa rimuovere barriere sia fisiche che culturali in tutti gli ambiti della vita quotidiana.

Il vero cambio di paradigma della convenzione Onu è stato porre come sfida principale la realizzazione del diritto alla partecipazione alla vita sociale, in condizioni di parità con gli altri. La partecipazione della persona con disabilità diventa un elemento imprescindibile del suo equilibrio fisico e psichico.

Tale cambio di prospettiva comporta perciò una serie di conseguenze. In primo luogo, la necessità di dedicare attenzione alla persona nella sua interezza. Non più da vedere esclusivamente in quanto utente di un servizio (dal welfare alla scuola), ma come persona che ha diritto di veder rimossi gli ostacoli alla partecipazione alla vita pubblica, sociale e culturale.

Nel caso dei minori, ciò significa lavorare non solo per l’integrazione scolastica, presupposto ovviamente imprescindibile, ma anche per l’inclusione in tutti gli ambiti della vita quotidiana. A partire dalla possibilità di accedere ai contesti informali di apprendimento, dallo sport organizzato alle attività culturali, oltre che ad attività ludiche, ricreative e sociali in compagnia dei coetanei.

I dati sulla pratica sportiva sono relativi alla fascia 3-44 anni, tutti gli altri invece fanno riferimento a quella tra 14 e 44 anni.

FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Istat (disabilità in cifre)
(ultimo aggiornamento: lunedì 15 Novembre 2021)

Consapevolezza e sensibilità sono le chiavi dell'inclusione, a partire dalla scuola.

Questo approccio "globale" alla disabiltà esige che l'eliminazione delle barriere non si limiti solo agli ostacoli fisici e architettonici. Le politiche di integrazione devono avere come target anche e soprattutto le barriere culturali, spesso stratificate da lungo tempo: stereotipi radicati, approcci desueti, disattenzione al tema, fino a vere e proprie forme di discriminazione, intenzionali e non. Alcune ricerche hanno indicato come tra la popolazione la percezione della disabilità sia in molti casi distorta o almeno compromessa da un livello di conoscenze carente (Istat, Censis). Una mancata comprensione che, anche tra i più giovani, può tradursi in difficoltà di comportamento verso la diversità, ostacolando il percorso di integrazione (Capecchi, Landucci, 2020).

31,9% delle persone tra 14 e 44 anni con limitazioni gravi si dichiara poco o per niente soddisfatto delle proprie relazioni di amicizia. Tra i coetanei senza limitazioni la quota è pari al 9,9%.

Perciò è essenziale promuovere una mentalità nuova, che coinvolga sia i singoli che il decisore ai diversi livelli. Difatti, nella definizione delle politiche di inclusione, a cambiare deve essere anche l'approccio di intervento. Abbandonando il paradigma esclusivamente clinico e concentrandosi sui diritti della persona con disabilità. Tenendo come principi guida l'accessibilità, la fruibilità e il design universale (cfr. con rapporto alternativo del forum italiano sulla disabilità al comitato Onu).

Ciò significa adottare, nella progettazione degli spazi quanto degli oggetti e dei servizi, quella filosofia che ne promuove l'usabilità immediata per tutti, senza distinzioni. Si tratta di un rovesciamento del vecchio paradigma, che considerava "normalità" la progettazione per le persone senza disabilità e il successivo riadattamento in una versione fruibile anche da coloro che hanno un handicap.

Il diritto all'inclusione in tutti gli ambiti della vita

Sulla scorta della nuova prospettiva rispetto alle disabilità, numerose analisi e indagini si sono cimentate nel misurare l'effettiva inclusione delle persone con handicap. Purtroppo, come rilevato dal Forum italiano sulla disabilità (Fid) a dieci anni dall'approvazione della convenzione Onu, la strada per una piena integrazione appare ancora molto lunga.

La disabilità continua ad essere un tema piuttosto trascurato dalle agende politiche; inoltre continua a predominare un approccio medico a cui sfuggono i principi di accessibilità, fruibilità e Universal Design.

La presenza di barriere deve essere monitorata in tutti gli ambiti della vita.

A indicarlo chiaramente sono sia i dati raccolti a livello nazionale, pubblicati da Istat attraverso il portale "disabilità in cifre", che quelli elaborati a livello europeo da Eurostat.

Un'indagine condotta negli anni scorsi dall'istituto statistico Ue ha provato a misurare, per ciascun paese, la presenza di barriere nei 10 ambiti della vita rilevanti secondo le nuove classificazioni Icf (classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute). Sono state isolate alcune delle dimensioni che meglio consentono di identificare l'effettiva integrazione nella società. Tra queste, ad esempio, quelle relative alla mobilità, all'uso dei trasporti, all'accessibilità degli edifici. Ma anche nei percorsi di educazione e formazione, nell'occupazione, nell'ambito economico, così come nell'uso delle tecnologie, nei contatti sociali e nelle attività ricreative. Per ciascuna di queste aree sono stati rilevati gli svantaggi o le restrizioni alla partecipazione sociale che le persone affrontano nella loro vita quotidiana.

Nel confronto con gli altri stati Ue, ad esempio, il nostro paese mostra risultati variabili rispetto alla presenza di barriere in ambiti come mobilità, trasporti e accessibilità degli edifici. Se su quest'ultimo aspetto la quota di giovani disabili (15-44 anni) che segnala la presenza di barriere è inferiore alla media Ue (19,3% contro 25,6%), il trasporto viene individuato come ambito problematico dal 27,86% delle persone con disabilità (media Ue 21,84%).

FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Eurostat
(ultimo aggiornamento: lunedì 18 Maggio 2015)

In dimensioni ancora più legate alla vita sociale, come istruzione, occupazione e tempo libero, la quota di persone con disabilità che indica la presenza di barriere è altrettanto variabile, ma risulta tendenzialmente superiore se considerata a livello europeo. L'esistenza di barriere nell'istruzione riguarda il 28% dei disabili europei tra 15 e 44 anni, quota che sale al 46% in ambito di lavoro e occupazione e quasi al 56% nelle attività ricreative legate al tempo libero.

FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Eurostat
(ultimo aggiornamento: lunedì 18 Maggio 2015)

Da questo punto di vista, anche se i dati in queste dimensioni per il nostro paese appaiono più contenuti rispetto alla media Ue, vanno considerati anche rispetto alla gravità della disabilità. Difatti più è grave la disabilità, minore tende ad essere la partecipazione alla vita sociale, come confermato dalla letteratura internazionale.

In most years, the data showed a significant negative association between disability severity and social participation (...) For example, in 2016 people who reported 'no' disability (...) were more likely to socialise and to have higher levels of participation than people disabled 'a lot'

Tale dinamica risulta pienamente convalidata dalle rilevazioni Istat più recenti. Nel 2019 la partecipazione ad attività culturali, sportive e sociali, così come la soddisfazione in vari ambiti della vita, tende a decrescere in presenza di limitazioni gravi nelle attività abitualmente svolte.

FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Istat (disabilità in cifre)
(ultimo aggiornamento: lunedì 15 Novembre 2021)

Analogamente, anche il livello di istruzione tende a diminuire in presenza di una disabilità, a testimonianza che il percorso verso una completa inclusione è ancora lungo. Si tratta di tendenze che devono essere analizzate senza alcun tipo di determinismo.

FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Istat (disabilità in cifre)
(ultimo aggiornamento: lunedì 15 Novembre 2021)

Al contrario, numerose indagini hanno segnalato come l'esito del percorso di istruzione sia direttamente correlato con la soddisfazione per la propria vita sociale. Come in un circolo virtuoso, una maggiore partecipazione alla vita culturale e sociale da parte della persona con disabilità aumenta in modo significativo anche l'appagamento per la qualità della vita.

Sui giudizi sulla qualità della vita influisce fortemente l’occupazione e il livello di istruzione: hanno un grado di soddisfazione alto il 38,2% degli occupati e il 30,5% tra i laureati. Tra le persone con disabilità che partecipano alla vita culturale si riscontra un significativo aumento del livello di soddisfazione: la quota di persone molto soddisfatte sale al 37% (...) Anche la pratica sportiva mostra effetti significativi sulla qualità della vita delle persone con disabilità (...)

Tali elementi quindi indicano l'importanza di rimuovere le barriere esistenti - in tutti gli ambiti della vita quotidiana - che ancora ostacolano la piena inclusione delle persone con disabilità. Garantire la piena accessibilità delle opportunità educative, formali e informali, è cruciale per la crescita sana dei bambini disabili e per il loro futuro equilibrio fisico e psichico. Allo stesso tempo, il fatto che queste opportunità non siano effettivamente disponibili in modo equo, in particolare per le disabilità gravi, suggerisce che il percorso verso l'inclusione non sia affatto compiuto.

It is likely that the relationship observed reflects real inequality in social participation among disabled people, suggesting persisting significant barriers to inclusion for disabled people, which can negatively impact on people's wellbeing and broader health systems

E, nonostante l'affermazione del nuovo paradigma, a mancare sono spesso gli stessi strumenti metodologici per monitorare i progressi verso l'integrazione delle persone con disabilità.

Dati e strumenti metodologici da aggiornare

Declinato rispetto alle esigenze di bambini e ragazzi, dal nuovo paradigma sulla disabilità discendono almeno due esigenze metodologiche che, come vedremo, i dati a disposizione sono oggi in grado di soddisfare solo marginalmente.

Va restituita centralità alla condizione del minore nella sua vita quotidiana, che non si esaurisce solo nella scuola.

La prima esigenza è che il minore con disabilità non va considerato solo nel suo profilo di alunno con handicap. E questo non solo perché, come approfondiremo meglio nel prossimo capitolo, la disabilità costituisce uno dei numerosi bisogni educativi speciali cui la scuola è chiamata a corrispondere nel perseguire l'inclusione degli studenti.

Soprattutto perché è l'intera prospettiva sul tema che deve cambiare, inquadrando il minore nel complesso di attività, relazioni, interessi che lo riguardano. Quindi non solo in quanto studente o utente del welfare, ma come giovane che ha diritto al gioco, al tempo libero, a coltivare interessi e relazioni anche al di fuori delle mura scolastiche. È proprio nei contesti di apprendimento informale e meno istituzionalizzati che si costruisce l'inclusione effettiva. Inoltre la partecipazione sociale e culturale, come visto in precedenza, è correlata positivamente con la soddisfazione delle persone con disabilità.

19,2% delle persone con limitazioni gravi è molto soddisfatto per la propria vita. Tra quellle che partecipano ad attività culturali la quota sale al 37% (Istat).

Tuttavia, mentre conosciamo alcuni dati sulla condizione di studente, molto meno sappiamo sulla vita quotidiana di bambini e ragazzi con disabilità. Mancano informazioni strutturate - con granularità territoriale e per fasce di età maggiormente disaggregate - sulle attività pomeridiane, sul tempo libero, sul tipo di attività sportive, sociali e culturali svolte.

Il secondo deficit informativo è dato dalla difficoltà di monitorare - accanto alle barriere fisiche e senso-percettive - anche quelle sociali e culturali. Se sulle prime è stato fatto uno sforzo molto importante negli ultimi anni, testimoniato dai dataset rilasciati da Istat e dal ministero dell'istruzione, sulle seconde restano ancora poche informazioni strutturate e aggiornate.

La carenza di dati è un limite alla definizione delle politiche pubbliche.

In sintesi, per monitorare i progressi nella condizione di bambini e ragazzi con disabilità, sarebbe fondamentale disporre di dati sia relativi alla vita del minore in tutti i suoi ambiti, sia rispetto all'eliminazione delle barriere sociali e culturali presenti.

Si tratta di uno strumentario che oggi spesso manca a chi voglia cimentarsi in questo tipo di analisi, costituendo anche un limite per la definizione delle politiche pubbliche. Gran parte dei dati prodotti riguardano ancora oggi il minore come utente di un servizio. Informazioni essenziali, e che negli ultimi anni sono state progressivamente disaggregate, che però non si accompagnano ad altre in grado di "descriverne" la vita di tutti i giorni. E in particolare l'effettiva possibilità di accesso a opportunità educative non istituzionalizzate. Solo per fare alcuni esempi, il diritto al gioco con i coetanei, l'accessibilità dei parchi pubblici, la fruibilità di attività ed eventi culturali o sportivi.

22,8% delle persone tra 14 e 44 anni con limitazioni gravi ha partecipato ad attività culturali, come spettacoli o visita a musei. Tra i coetanei senza limitazioni la quota è pari al 34,9%.

E anche sulle barriere, sebbene oggi siamo in grado - con maggiore accuratezza del passato - di tracciare la presenza di quelle architettoniche, poco sappiamo su quelle sociali e culturali che ancora si frappongono a una piena inclusione.

Da questo punto di vista un passaggio fondamentale per le politiche in materia nel nostro paese sarà il completamento del registro sulla disabilità, come prospettato in una recente (marzo 2021) audizione del presidente di Istat all'osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità.

La costituzione del Registro fornisce una risposta a due esigenze informative: la stima della prevalenza della disabilità, da un lato, e la caratterizzazione dell’inclusione sociale delle persone con disabilità, dall’altro. Si tratta di problematiche che richiedono una strategia basata sull’integrazione di fonti di natura diversa: la stima della prevalenza della disabilità, infatti, non è ottenibile con l’uso esclusivo di indagini di natura statistica; la caratterizzazione dell’inclusione sociale delle persone con disabilità non è analizzabile con l’uso dei soli dati di natura amministrativa.

Una raccolta di informazioni garantita dal pronunciamento dell'autorità per la protezione dei dati personali (dicembre 2020) e che permetterà indagini campionarie oggi molto complesse. Soprattutto per l'attuale difficoltà di costruire un campione che consenta di rappresentare questa collettività in modo accurato, da cui deriva la carenza di dati in merito.

L'integrazione scolastica come indicatore dell'inclusione attiva

Tale attività di indagine, verosimilmente, nei prossimi anni consentirà di esplorare dimensioni nuove e ulteriori della disabilità tra i minori.

Coscienti dei limiti attuali, esposti in precedenza, nel corso del report ci confronteremo con alcuni degli aspetti che sono oggi concretamente misurabili. Aspetti che attualmente, come già puntualizzato, si concentrano prevalentemente sull'inclusione scolastica dei minori.

Sebbene non esclusiva, si tratta di una questione ancora centrale nelle politiche di integrazione. E su cui gli sforzi sono tutt'altro che terminati. Anzi, la misurazione dei progressi sul fronte dell'inclusione scolastica resta a oggi la cartina al tornasole più affidabile dell'impegno per il superamento delle disparità.

Le persone con disabilità incontrano certamente maggiori difficoltà, spesso non agevolate dal loro background familiare, nel terminare il percorso di studi. La loro presenza nelle scuole è aumentata nel tempo, ma siamo ancora lontani da una piena partecipazione scolastica. Infatti, da un lato gli studenti con disabilità sperimentano una minore libertà nella scelta del proprio percorso formativo, dall’altro, incontrano ancora molteplici barriere: fisiche, che impediscono di spostarsi autonomamente all’interno della scuola; sociali/culturali, che rendono più difficile la partecipazione alle gite scolastiche organizzate senza tener conto delle singole specificità, o l’interazione con i propri coetanei.

Per queste ragioni, nel corso del report ci concentreremo su 3 aspetti: l'impatto dell'emergenza Covid sull'inclusione sociale e scolastica dei minori con disabilità, la presenza di barriere architettoniche nelle scuole e il collegamento di queste con trasporti dedicati agli alunni disabili. Nel prossimo capitolo, inquadreremo la disabilità nel contesto più ampio dei bisogni educativi speciali a cui la scuola deve rispondere. Nello specifico, affronteremo le difficoltà scaturite in fase Covid per i giovani con disabilità, a partire da quanto emerso durante la didattica a distanza.

Problemi che spesso si sono sommati a altre questioni di lungo periodo, a partire dalla necessità di rendere l'accesso a scuola agevole per tutti. Con le dovute cautele metodologiche, possiamo assumere il superamento delle barriere architettoniche come un indicatore indiretto dell'impegno nel contrasto alle discriminazioni. Anche nell'ottica di quell'accomodamento ragionevole indicato dall'articolo 5 della Convenzione Onu.

Al fine di promuovere l’uguaglianza ed eliminare le discriminazioni, gli Stati Parti adottano tutti i provvedimenti appropriati, per garantire che siano forniti accomodamenti ragionevoli.

Il principio guida è che la presenza di una disabilità non può essere un motivo legittimo per non garantire di un diritto. Specie quello all'istruzione, che la carta costituzionale e le leggi indicano come incondizionato.

Nel capitolo successivo perciò approfondiremo l'accessibilità dei locali scolastici per gli studenti con disabilità motoria o sensoriale. In particolare concentrandoci sulle differenze territoriali nell'abbattimento delle barriere architettoniche.

Nell'ultimo capitolo, svilupperemo il tema della raggiungibilità delle scuole per chi è portatore di una disabilità. Rilevando anche su questo versante i molti divari ancora esistenti, tra regioni, province e singoli comuni.

Foto credit: Flickr Fondazione Don Gnocchi - Licenza

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