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La mancata integrazione è un aspetto della povertà educativa

In Italia vivono oltre un milione di bambini e ragazzi di origine straniera. Come i coetanei, frequentano le stesse scuole, condividono le stesse speranze e preoccupazioni, parlano la stessa lingua, eppure agli occhi della legge non hanno ancora lo stesso status giuridico.

Oltre un minore su 10 infatti ha una cittadinanza diversa da quella italiana. Una definizione ampia, che comprende una pluralità di condizioni. Essendo il nostro un paese di recente immigrazione, include molte prime generazioni, bambini arrivati in Italia solo dopo la nascita. Comprende situazioni drammatiche come quelle dei minori stranieri non accompagnati, giunti in Italia senza i genitori e quindi privi di assistenza. Ma anche i giovani di seconda generazione, nati nel nostro paese da genitori stranieri.

Il report completo in pdf

Bambine e bambini, ragazze e ragazzi che quindi vivono tante situazioni diverse. Ognuno con i suoi bisogni individuali, che non devono essere forzati dietro un’etichetta. Si va dalla necessità di imparare la lingua per chi è appena arrivato, a quella di costruire relazioni sociali e amicizie nel nuovo paese. Fino ai tanti giovani, specialmente quelli nati in Italia, per cui magari questi aspetti non si pongono, ma per cui il rischio di povertà economica ed educativa resta comunque alto.

31,2% delle famiglie con minori composte solo da stranieri si trovano in povertà assoluta.

Trattandosi di situazioni differenti, differenti sono anche le sfide in termini di inclusione. Con due punti fermi. Il primo è che il successo dei percorsi di integrazione costituisce un vantaggio per tutti: non solo per i bambini e le famiglie straniere, ma per l’intera società. Una società più inclusiva significa infatti minori conflitti sociali e culturali e un miglioramento del clima di convivenza nel paese. Fallire la sfida dell’inclusione, al contrario, nel lungo periodo potrebbe avere gravi conseguenze sociali: minori opportunità per chi è rimasto fuori dai percorsi educativi, redditi più bassi, maggiori disuguaglianze, rischio segregazione e marginalità.

FONTE: elaborazione openpolis - Con i Bambini su dati Istat
(ultimo aggiornamento: mercoledì 1 Gennaio 2020)

E questa tendenza, in una società che richiede sempre maggiori competenze, è destinata a rafforzarsi nei prossimi anni.

Scuola e comunità educante possono creare inclusione.

Proprio per questa ragione, il secondo punto fermo è che il percorso di inclusione deve vedere un ruolo centrale per la scuola e per l'intera comunità educante. Queste sono le principali, e spesso uniche, infrastrutture sociali in grado di far incontrare mondi e culture diverse, di creare i presupposti per la comprensione reciproca e per un percorso di apprendimento che arricchisce tutta la società. Solo garantendo a tutti un'istruzione di qualità, a prescindere dall'origine o dalla condizione sociale - nello spirito della convenzione sui diritti dell'infanzia - si creano i presupposti per una società con minori disuguaglianze e rischio esclusione.

Gli Stati parti riconoscono il diritto del fanciullo all’educazione, e in particolare, al fine di garantire l’esercizio di tale diritto in misura sempre maggiore e in base all’uguaglianza delle possibilità

In questo senso, scuola e comunità educante costituiscono il primo, vero motore di integrazione e inclusione sociale. Ma devono essere messe in condizione di farlo, proprio perché questo significa affrontare allo stesso tempo tante sfide diverse. Spesso differenti a seconda del territorio, come emerso in un recente report Ismu-Miur rispetto all'inserimento dei ragazzi con background migratorio.

La scuola è impegnata quindi ad affrontare sfide educative legate all’accoglienza, all’inserimento degli alunni neoarrivati, in maniera differente a seconda dei diversi territori.

Per questa ragione è necessario approfondire i dati a livello locale, con il metodo che è proprio dell'osservatorio povertà educativa fin dalla sua fondazione.

Nel corso del report abbiamo affrontato in particolare due aspetti. In primo luogo, l'andamento della presenza di minori con cittadinanza non italiana in Italia, con le differenze tra regioni, province e anche comuni. Dopo anni di crescita, la presenza di minori con cittadinanza non italiana si è stabilizzata, anche come conseguenza di una riduzione del tasso di natalità tra le famiglie straniere. Ciò detto, l'aumento di bambini e ragazzi stranieri negli ultimi anni ha costituito l'unico segnale positivo in una demografia sostanzialmente piatta.

Il secondo aspetto affrontato riguarda i principali ostacoli all'integrazione da superare, soprattutto nel percorso scolastico. Ritardi, bassi livelli di apprendimento e abbandoni precoci sono molto più diffusi tra i ragazzi senza cittadinanza italiana. Inoltre, l'istruzione superiore appare ancora molto segmentata rispetto alla cittadinanza: la quota di liceali tra gli studenti stranieri è la metà di quella degli italiani.

24,4% degli alunni delle superiori con cittadinanza extra-Ue frequenta il liceo. Tra gli italiani la quota sale al 48,8%.

Investire sull'inclusione per ridurre i divari

Mettere a fuoco queste tendenze non significa affatto considerarle inevitabili. Piuttosto vuol dire porre i presupposti per un loro superamento. Partendo dal fatto che alla base di un'uscita precoce dai percorsi di istruzione, come della marginalità sociale, ci sono tanto ragioni culturali quanto anche sociali ed economiche. Un aspetto ormai messo in luce da anni nella letteratura in materia.

In realtà, pare che il contesto socioeconomico/familiare e il fatto di ricevere un adeguato sostegno all’apprendimento svolgano un ruolo più significativo rispetto al contesto «migrante» o «non migrante» per quanto riguarda i risultati scolastici (Commissione europea, 2013b). In questo senso, essere di origine «straniera» non mette inevitabilmente gli studenti a rischio di abbandono precoce

L'interruzione anticipata dei percorsi di istruzione ha spesso la radice in una condizione sociale ed economica già precaria. Una tendenza che riguarda tutti, italiani e stranieri: chi nasce in una famiglia povera tenderà ad "ereditare" quello stato, se non ha disposizione gli strumenti per migliorare la propria condizione. Il rischio di finire nella marginalità ovviamente si aggrava quando una condizione sociale precaria si salda con le difficoltà di integrazione.

È per questo motivo che l'investimento deve essere sull'intera comunità educante, sui presidi educativi, sociali e culturali, e sulla loro capacità di creare inclusione, per tutte e tutti. A prescindere dall'origine, dalla cittadinanza, dalla condizione sociale della propria famiglia. Realizzare questo significa creare integrazione a ogni livello, con effetti positivi per tutti. Lo scopo di questo report è quindi aumentare il dibattito pubblico sul tema, per mettere le scuole e la comunità educante - che già svolgono un lavoro enorme - nelle condizioni di creare inclusione. Non farlo sarebbe errore pagato dalle prossime generazioni.

Foto credit: Jerry Wang (Unsplash) - Licenza

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