Coronavirus, il parlamento è il grande assente La gestione dell'emergenza

Da quando è stato dichiarato lo stato di emergenza, sono stati prodotti quasi 350 atti normativi. Molti di questi però sono stati presi da strutture amministrative, senza un diretto coinvolgimento delle camere. Un problema di cui il governo si è fatto carico solo negli ultimi mesi.

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In Italia, com’è noto, dalla fine di gennaio vige lo stato di emergenza legato alla diffusione anche nel nostro paese del Covid-19. La necessità di far fronte all’avanzata della pandemia, ha imposto la creazione di una catena di comando snella ed in grado di agire derogando ai normali paletti che vincolano l’azione amministrativa, in modo da dare risposte efficaci nel più breve tempo possibile.

In questa situazione eccezionale, protagonista assoluto è stato il governo che ha avocato a sé la maggior parte delle decisioni. Infatti, la stessa protezione civile e la struttura che fa capo al commissario Arcuri, enti che abbiamo imparato a conoscere in questi mesi, sono due organi che rispondono direttamente a Palazzo Chigi. In questo contesto, però, c’è stato un grande assente: il parlamento. La necessità di agire rapidamente, infatti, ha escluso le camere dal processo decisionale.

Con l’allentamento delle misure di sicurezza, il premier Conte aveva promesso un maggiore centralità di camera e senato. Nonostante la promessa del premier però, il ruolo delle camere è rimasto marginale. A fronte di un aumento delle informative presentate, infatti, il numero di atti su cui deputati e senatori hanno avuto la possibilità di intervenire è rimasto una percentuale minima.

91,9% gli atti adottati per affrontare l’emergenza coronavirus che non hanno visto un coinvolgimento diretto del parlamento.

Stato di emergenza, com’è cambiato il quadro normativo

Come abbiamo detto, dallo scorso 31 gennaio, una delibera del consiglio dei ministri ha istituito lo stato di emergenza per far fronte all’avanzata del coronavirus nel nostro paese. Questa scelta, necessaria per approntare le adeguate contromisure in tempi rapidi, ha determinato la necessità di istituire un quadro normativo ad hoc, all’interno del quale i soggetti chiamati a gestire la crisi hanno potuto agire con ampio margine di manovra.

Ma cosa è cambiato in concreto? In primo luogo, va menzionato il potere di ordinanza. Tale prerogativa, che viene attribuita dal consiglio dei ministri, permette al soggetto individuato di emanare atti in deroga alle normative vigenti (ma sempre nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico).

I soggetti attuatori godono di una contabilità speciale e obblighi di trasparenza allentati per lo svolgimento delle loro funzioni.

Questo potere, dalla fine di gennaio, è stato attribuito al dipartimento della protezione civile. Tra i primi atti adottati da questo ente vi è l’ordinanza 630 con cui è stato redatto l’elenco delle leggi che possono essere derogate dal capo del dipartimento della protezione civile e da altri eventuali soggetti attuatori. Chi detiene il potere di ordinanza si può infatti avvalere di ulteriori soggetti, sia pubblici che privati, che agiscono sulla base di specifiche direttive.

Su questa base poi, si sono innestate molte altre norme. Tra queste, un ulteriore documento della protezione civile che ha definito nel dettaglio la catena di comando, distribuendo i compiti dal livello nazionale a quello locale.

Inoltre, dobbiamo ricordare che l’Unione europea ha deciso di attivare la clausola di salvaguardia. Così facendo, è stata data agli stati membri la possibilità di non rispettare il patto di stabilità e di indebitarsi per far fronte all’emergenza. A seguito di questa decisione, il governo italiano ha proposto tre diversi scostamenti di bilancio: il primo da 25 miliardi annunciato l’11 marzo; il secondo di 55 miliardi con l’approvazione del Documento di economia e finanza per il 2021; infine uno di ulteriori 25 miliardi con il decreto agosto.

Gli atti approvati durante lo stato di emergenza

Come abbiamo detto, durante lo stato di emergenza molti dei normali paletti che vincolano l’attività degli amministratori vengono meno. Inoltre, le decisioni strategiche vengono prese da un ridotto numero di attori. Tra questi, il commissario straordinario Domenico Arcuri, il segretario generale del ministero della salute Giuseppe Ruocco e l’amministratore delegato di Consip Cristiano Cannarsa.

Nominati soggetti attuatori dalla protezione civile, hanno avuto la possibilità di agire fuori dagli abituali paletti normativi e con un’apposita contabilità speciale per svolgere queste mansioni. Due elementi che messi insieme danno molto potere, non controllato.

Dopo i primi atti approvati a gennaio per istituire lo stato di emergenza (11 in totale), il governo e gli altri soggetti coinvolti hanno messo in campo un numero impressionante di documenti normativi: 345 in totale. Di questi, 96 sono stati adottati dal ministero della salute, 70 dalla protezione civile, 29 dalla presidenza del consiglio dei ministri e 28 dal ministero dell’interno.

Il 31 gennaio 2020 il governo Conte II ha dichiarato lo stato d’emergenza.

Una situazione straordinaria in cui numerose istituzioni sono coinvolte. In primis la protezione civile, soggetto attuatore incaricato dal governo, che a sua volta ha coinvolto nel processo molti altri attori.

FONTE: dati Ministero della salute e Gazzetta ufficiale ed elaborazione openpolis.
(ultimo aggiornamento: martedì 15 Giugno 2021)

345 atti presi dalle istituzioni per affrontare l’emergenza Coronavirus.

Come abbiamo detto, in questo contesto il parlamento ha avuto un ruolo marginale. Un dato confermato anche dal fatto che la gran parte dei provvedimenti adottati sono riconducibili ad atti amministrativi (come ordinanze, decreti, circolari, eccetera). Privi dunque di quel duplice controllo svolto dal presidente della repubblica e dalle camere che generalmente viene assicurato con l'approvazione di leggi e decreti legge. Gli atti "aventi forza di legge" infatti sono solo 28 (9 leggi, 1 legge delega e 18 decreti legge).

Dati ricostruiti dalla gazzetta ufficiale e dai siti di governo, ministero dell’interno, ministero della salute e protezione civile.
Per “altro” si intendono: avvisi, comunicati, direttive, documenti e protocolli.

FONTE: dati ed elaborazione openpolis
(ultimo aggiornamento: lunedì 14 Dicembre 2020)

Il quadro appena delineato, per altro, potrebbe prolungarsi ancora. Il rischio di una seconda ondata di contagi, infatti, ha spinto il governo a prorogare lo stato di emergenza almeno fino al 15 ottobre. Una scelta che, seppur condivisibile, riduce ulteriormente lo spazio per il dibattito sulle decisioni che vengono prese. Decisioni che, come abbiamo visto, muovono ingenti somme di denaro e che hanno un notevole impatto sulla vita dei cittadini.

258 giorni dalla dichiarazione dello stato di emergenza alla sua conclusione (salvo ulteriori proroghe).

Parlamento, un ruolo marginale

La necessità di agire rapidamente nella prima fase dell'emergenza ha quindi estromesso quasi del tutto il parlamento dal processo decisionale. Con l'avvio della "fase 2", d'altronde, l'esecutivo aveva riconosciuto la necessità di un maggiore coinvolgimento delle camere. La volontà era quella di rientrare nei normali canoni del dibattito, evitando un eccessivo ricorso ai Dpcm.

Sono consapevole della necessità di un doveroso coinvolgimento del parlamento, che esprime, al massimo grado la democraticità del nostro ordinamento. Per tale ragione (...) abbiamo anche introdotto una più puntuale regolamentazione dell’iter procedimentale nell’adozione dei Dpcm, prevedendo, tra l’altro, l’immediata trasmissione dei provvedimenti emanati ai presidenti delle camere, e il vincolo per il sottoscritto o per un ministro da lui delegato, di riferire ogni quindici giorni alle camere sulle misure adottate.

Da questo punto di vista, il governo ha mantenuto gli impegni. In particolare con il ministro della salute Roberto Speranza, che ha riferito alle camere 7 volte, di cui l'ultima il 2 settembre.

Da marzo, il governo ha iniziato a riferire al parlamento con regolarità in media ogni due settimane.

Ma sono stati molti gli esponenti del governo che hanno riferito in aula. Lo stesso presidente del consiglio si è recato in parlamento per riferire sulle misure prese per fronteggiare la pandemia, sulle iniziative a sostegno delle attività economiche, sugli esiti dei vertici europei, sulle ulteriori misure da intraprendere visto il perdurare dell'emergenza. Così come altri suoi ministri, tra cui la ministra per l'istruzione Lucia Azzolina e quella per l'agricoltura Teresa Bellanova.

A questo si deve aggiungere la rinuncia da parte del governo all'utilizzo della questione di fiducia abbinata ai decreti legge presentati in parlamento per la conversione. Lo scorso 2 settembre ne è stata apposta una nuova sul cosiddetto dl semplificazioni, ma la precedente risaliva al decreto rilancio del 19 maggio. In questo modo, deputati e senatori hanno avuto la possibilità di intervenire per modificare i testi presentati.

L’esecutivo può decidere di mettere la fiducia su un disegno di legge, legando il proprio destino a quello del testo. In questo modo la maggioranza viene chiamata a ricompattarsi ed il dibattito parlamentare viene neutralizzato. Vai a "Che cosa sono i voti di fiducia"

Per altro, lo stesso parlamento ha cercato di recuperare alcune delle sue prerogative attraverso l'approvazione di due emendamenti al decreto lockdown, presentati da Ceccanti (Pd) e De Filippo (Iv). Tali emendamenti richiedevano al governo di presentare preventivamente alle camere i provvedimenti legati all'emergenza, al fine di tenere conto di eventuali suggerimenti.

In conclusione quindi, se da un lato è vero che il governo ha mantenuto l'impegno di un maggiore coinvolgimento delle camere, dall'altro bisogna dire che la partecipazione di queste al processo decisionale rimane molto limitata. Anche perché l'agenda del parlamento è fortemente condizionata dalla necessità di convertire i decreti legge presentati dal governo prima della loro scadenza (60 giorni).

Troppe le decisioni che sfuggono ad ogni tipo di controllo

La situazione delineata fin qui, dovrebbe far scattare dei campanelli d'allarme. Dato lo stato di difficoltà in cui versavano i conti pubblici italiani già prima della pandemia, infatti, non è concesso sbagliare. Per questo sarebbe importante la massima trasparenza e il più ampio coinvolgimento possibile nelle decisioni, in modo da ponderare al meglio le scelte ed evitare gli sprechi.

Ampia discrezionalità e scarsi controlli rappresentano un binomio preoccupante viste le enormi risorse mobilitate.

Come abbiamo visto, negli ultimi mesi governo e parlamento hanno ripreso a dialogare con una certa frequenza ma, nonostante questo, sono ancora troppe le decisioni che sfuggono ad ogni tipo di controllo. Gli atti su cui Palazzo Madama e Montecitorio hanno potuto esprimersi rimangono infatti una piccola minoranza rispetto a quelli adottati sin qui.

Una tendenza che rischia di confermarsi nei prossimi mesi, dato il perdurare dello stato di emergenza. La necessità di agire in tempi rapidi però non può bastare per giustificare una scarsa trasparenza e condivisione su decisioni che muovono risorse per centinaia di milioni di euro e che hanno serie implicazioni su alcune libertà fondamentali dei cittadini.

Foto credit: Facebook Giuseppe Conte - Licenza

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