Anche il governo Meloni legifera a colpi di decreto Governo e parlamento

Si conferma la tendenza a cercare di ridurre al minimo l’iter parlamentare attraverso il massiccio ricorso alla decretazione d’urgenza. Una prassi che con l’attuale governo ha raggiunto livelli record.

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Come abbiamo visto in un recente articolo, negli ultimi anni il numero di leggi ordinarie approvate si è drasticamente ridotto. Il rovescio della medaglia è stato un significativo aumento nel ricorso alla decretazione d’urgenza. Non solo per fronteggiare situazioni di emergenza ma anche per implementare il programma di governo. Una dinamica che ha caratterizzato tutti gli esecutivi che si sono succeduti alla guida del paese ma che si è consolidata in particolar modo con l’esplosione della pandemia.

Successivamente a questo evento catastrofico infatti gli esecutivi hanno ulteriormente concentrato su loro stessi anche l’attività legislativa attraverso una produzione sempre più massiccia di decreti legge (Dl). Il ricorso alla decretazione d’urgenza in quella fase era apparso comunque eccessivo, sebbene giustificato dalla situazione di emergenza. Tale dinamica tuttavia si è consolidata anche successivamente, tanto che la produzione di decreti legge è rimasta ingente anche cessata la fase più critica della pandemia. E ha trovato una conferma anche con l’esecutivo attualmente in carica. Il governo Meloni infatti fa registrare il dato più alto per quanto riguarda il numero medio di decreti legge pubblicati al mese tra i governi delle ultime quattro legislature.

25 i decreti legge emanati dal governo Meloni in 6 mesi.

Le situazioni emergenziali da gestire non sono mancate in questi primi mesi della nuova legislatura. Tuttavia occorre rilevare anche che in molti casi si è scelto di legiferare con decreto anche per provvedimenti di natura più “politica”. È il caso, solo per fare alcuni esempi, del decreto legge contenente le misure in tema di lavoro o di quello per il riavvio della progettazione per la costruzione del ponte sullo stretto di Messina. Interventi che non hanno una natura emergenziale in senso stretto e che quindi avrebbero potuto essere approvati attraverso il ricorso all’iter legislativo ordinario.

Tale scelta conferma la volontà dell’esecutivo di cercare di far approvare i provvedimenti, così come delineati nell’ambito del consiglio dei ministri (Cdm). Limitando il più possibile i momenti di confronto, sia dentro che fuori dal parlamento.

Il governo Meloni e i suoi predecessori

Come viene esplicitato dall’articolo 77 della costituzione, il governo dovrebbe fare ricorso ai decreti legge solo in casi straordinari di necessità e urgenza. Una definizione che lascia spazio a interpretazioni più o meno estensive e che ha portato gli esecutivi ad abusare dello strumento. Tanto che lo stesso presidente della repubblica e la corte costituzionale si sono visti costretti a intervenire più volte sull’argomento.

I decreti legge nascevano per risolvere situazioni straordinarie e urgenti, ma sempre più spesso vengono utilizzati per implementare l’agenda di governo e aggirare il dibattito parlamentare. Vai a “Che cosa sono i decreti legge”

Ciò però riduce notevolmente le prerogative del parlamento. Che, sempre più spesso, si ritrova nella condizione di semplice ratificatore di decisioni prese a palazzo Chigi. Nel corso dell’attuale legislatura infatti i Dl emanati sono stati ben 25 (di cui 2 decaduti, cioè non convertiti in legge dal parlamento entro i 60 giorni previsti) a fronte di appena 5 leggi ordinarie approvate.

In numeri assoluti, il governo Meloni ha emanato meno decreti di molti degli esecutivi precedenti. In soli 6 mesi però ha già superato il governo Gentiloni fermo a 20 e appaiato quello di Enrico Letta. Inoltre se utilizziamo come indicatore il dato relativo al numero medio di Dl pubblicati per mese, la situazione cambia. In questo caso possiamo osservare infatti che l’esecutivo Meloni si trova al primo posto con 4,17 Dl pubblicati di media ogni mese.

FONTE: elaborazione e dati openpolis
(ultimo aggiornamento: venerdì 12 Maggio 2023)

Un dato molto alto che supera ampiamente anche quelli fatti registrare dai governi Draghi (3,2) e Conte II (3,18). Esecutivi che però avevano dovuto fronteggiare le fasi più critiche della pandemia.

La distanza tra deliberazione ed entrata in vigore dei decreti legge

Se possiamo certamente dire che il numero di decreti emanati finora è stato molto alto, risulta più difficile riuscire a distinguere i Dl dedicati alle situazioni di emergenza rispetto a quelli maggiormente finalizzati all’attuazione del programma di governo. Anche perché, molto spesso, l’esecutivo attualmente in carica ha adottato dei provvedimenti “omnibus”. Atti cioè che contengono misure che vanno a intervenire in settori anche molto diversi tra loro. Anche questa peraltro è una pratica che, per quanto adottata di frequente, rimane assolutamente impropria. I decreti legge infatti dovrebbero avere un contenuto omogeneo. Spesso invece si è legata una situazione di emergenza/urgenza (o comunque interpretata come tale) alla necessità di adottare altri tipi di provvedimenti non strettamente correlati tra loro.

La pubblicazione di decreti legge omnibus rappresenta una forzatura che sarebbe meglio evitare.

È il caso, ad esempio, del decreto legge 162/2022, il cosiddetto “decreto rave”. Tale atto infatti, oltre a introdurre una stretta a contrasto dei raduni illegali, ha previsto nuove norme anche in tema di detenuti, oltre al reintegro del personale sanitario non vaccinato. Rientra in questa classificazione anche il decreto 169/2022 che oltre a prorogare la partecipazione dell’Italia alle iniziative della Nato ha disposto anche la proroga del commissariamento del sistema sanitario calabrese. Un esempio più recente riguarda invece il Dl 34/2023. In questo caso i filoni di intervento sono ben 3: interventi per il contrasto del caro bollette, misure per compensare la carenza di personale del sistema sanitario e misure in tema di adempimenti fiscali. Da citare anche il Dl 51/2023 con cui il governo, tra le altre cose, ha disposto il commissariamento di Inps e Inail.

Un altro elemento da tenere in considerazione riguarda il tempo che intercorre tra l’approvazione in consiglio dei ministri di un decreto e la sua effettiva entrata in vigore. Se per i provvedimenti più urgenti infatti la pubblicazione è avvenuta nell’arco di massimo 24/48 ore, in altri casi la distanza è stata molto più significativa. Possiamo osservare infatti che in 8 casi la pubblicazione in gazzetta ufficiale è avvenuta con più di una settimana di ritardo.

4,5 il numero medio di giorni che intercorre tra l’approvazione di un decreto legge e la sua effettiva entrata in vigore.

In questo lasso di tempo può accadere che le discussioni sul testo del decreto proseguano e che la versione definitiva sia diversa da quella che ha ricevuto l’approvazione. Sono questi i casi in cui è più probabile incontrare i provvedimenti più politici e meno legati a situazioni di emergenza.

FONTE: elaborazione e dati openpolis
(ultimo aggiornamento: venerdì 12 Maggio 2023)

Da questo punto di vista i casi particolarmente eclatanti sono 2. Si tratta del decreto legge 44/2023, dedicato al rafforzamento della capacità delle pubbliche amministrazioni, entrato in vigore con ben 16 giorni di ritardo rispetto alla deliberazione del consiglio dei ministri. Il secondo caso invece riguarda il già citato decreto per il ponte sullo stretto, pubblicato in Gu 15 giorni dopo il via libera del Cdm.

Risulta evidente che in questi casi la logica non è quella di andare a sanare situazioni particolarmente urgenti. I tempi lunghi infatti servono proprio a trovare un accordo tra le varie forze della maggioranza. Accordo che però viene siglato a livello di governo invece che in parlamento. In casi simili, anche il comitato per la legislazione ha evidenziato criticità in termini di certezza del diritto.

si ricorda che in precedenti analoghe circostanze […] il Comitato ha invitato a riflettere sulle conseguenze di un eccessivo intervallo di tempo tra deliberazione e pubblicazione in termini di certezza di diritto e di rispetto del requisito dell’immediata applicazione delle misure contenute nel decreto-legge.

Il decreto lavoro

Un ultimo atto che vale la pena richiamare e che non rientra nelle casistiche viste finora riguarda il decreto legge 48/2023, il cosiddetto decreto lavoro. In questo caso la misura prevede, tra le altre cose, una serie di interventi per tagliare il cosiddetto cuneo fiscale.

Non c’è dubbio che il tema del lavoro sia estremamente rilevante ed è doveroso che sia al centro del dibattito pubblico. A destare qualche dubbio più che altro è stata la modalità con cui il governo ha affrontato la questione. A partire dalla scelta di discutere il provvedimento proprio il primo maggio, giorno della festa dei lavoratori, suscitando le perplessità dei sindacati.

In molti casi il governo ricorre ai decreti legge per ridurre al minimo le discussioni e approvare i provvedimenti così come deliberati in Cdm.

Inoltre il provvedimento contiene interventi che rimarranno in vigore solamente fino alla fine dell’anno. Sarà quindi necessario trovare altri fondi (probabilmente all’interno della legge di bilancio) per rendere permanenti gli sgravi introdotti. Da questo punto di vista, sarebbe forse stato più opportuno avviare un percorso per una riforma complessiva del settore attraverso un disegno di legge ordinario e la relativa discussione in parlamento. Un passaggio forse più lungo e complesso ma che avrebbe consentito il coinvolgimento delle camere e delle parti sociali. In modo da tentare di arrivare ad una revisione organica delle normative in vigore.

Non sembra quindi che ci fosse alcuna urgenza, se non quella di rivendicare il risultato subito prima di una tornata elettorale

Foto: GovernoLicenza

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