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Umberto MARRONI in data 02 luglio 2008
Dichiarazione di Michele FINA
Alla data della dichiarazione: Assessore Provincia L'Aquila (Partito: PD)
Dichiarazione all'Assemblea
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(21 luglio 2008) - fonte: Sito Partito Democratico - inserita il 09 novembre 2008 da 3072
Cari democratici, cari amici, ho introdotto tante riunioni nella mia esperienza politica ma questa è la mia più difficile relazione. Voglio dire al mio partito che bisogna andare oltre la rabbia e lo sconforto. Voglio convincervi che bisogna reagire, che ha ancora senso continuare a battersi per affermare le nostre ragioni. Ma non è facile. Bisogna credere profondamente in quello che si dice per trasmettere speranza e bisogno di riscatto. Bisogna essere convinti che alla fine davvero ci sia un nuovo approdo per richiamare le energie profonde dell'equipaggio nei duri momenti di tempesta. Ma la domanda che in tutta sincerità mi sono fatto nei giorni della scorsa settimana è: ne vale la pena? In questi giorni in cui si celebra il sedicesimo anniversario della strage che tolse la vita a Paolo Borsellino e alla sua scorta io ricordo l'inizio del mio impegno politico. In quegli anni difficili io ho maturato la convinzione che si potessero curare alcuni mali profondi del nostro Paese. Anche grazie al sacrificio di alcuni coraggiosi servitori dello Stato si poteva dar corpo all'indignazione trasformandola in impegno. L'Italia implose e divenne proprio in quegli anni terreno fertile per il berlusconismo, quell'impasto di antipolitica qualunquista ed autoritarismo che vincerà ancora nel 2008. Ho riascoltato proprio in questi giorni le parole di Paolo Borsellino in occasione di un incontro con gli studenti poco prima della sua uccisione. Nel descrivere la nascita della mafia Borsellino sottolineava uno dei tratti principali della questione meridionale. Le leggi e le norme, diceva, vengono rispettate non in quanto altrimenti si rischia di essere puniti ma perché queste vengono ritenute giuste dunque meritevoli di essere rispettate. Lo Stato quindi è forte quando è autorevole e percepito come giusto dai cittadini. Altrimenti lo Stato viene meno ed ognuno cerca il modo di aggirare furbescamente le leggi. Nel peggiore dei casi si struttura un altro “stato” non legittimo di natura criminale. La forza dello Stato è dunque nella credibilità e nell'autorevolezza delle Istituzioni e dei suoi rappresentanti in rapporto con i cittadini. Tanto più questo rapporto di fiducia è indebolito tanto più la comunità è frammentata, debole nella coscienza civica fino all'inciviltà, esposta, soprattutto in politica, ad imbonitori qualunquisti e, all'estremo, in pericolo di gravi falle nella sua rete di legalità. Ho ricordato le parole di Borsellino perché credo che l'Abruzzo sia ad un punto di svolta storico. Dobbiamo saperlo vedere e non pensare che si tratti solo di cronaca. Siamo qui per capire insieme quale realtà mutata troveremo fuori di qui e se e quale ruolo ci sarà dato di svolgere in questa nuova realtà. Badate, voglio però essere chiaro sui fatti di cronaca: la vicenda giudiziaria che si è aperta con gli arresti dello scorso lunedì mostra molti aspetti controversi. Non siamo un tribunale e non dobbiamo diventarlo. Abbiamo un'alta responsabilità ed ogni nostra parola è un macigno. Per questo è importante ribadire fiducia nel lavoro della magistratura. Ma non possiamo neanche tacere le perplessità sui pochi riscontri ad oggi forniti a sostegno dell'impianto accusatorio. Bisogna fare presto, prestissimo. Troppi sono i casi nella storia della nostra giustizia di errori appurati troppo tardi per salvare, agli occhi dell'opinione pubblica, la dignità di persone innocenti. Io non posso tacere la dolorosa incredulità che mi ha colpito quando ho ascoltato le imputazioni che riguardano il Presidente Del Turco; La sua storia e le caratteristiche della sua vita quotidiana sono incompatibili con i crimini che gli vengono attribuiti. Per questo spero che possa, al più presto, emergere la sua totale estraneità alla vicenda. Del Turco è stato ed è un autorevole dirigente di questo partito. Le sue posizioni e le sue battaglie politiche qui dentro sono state in senso esattamente contrario a ciò che gli viene imputato. Per questo lui può sospendersi ma noi non dobbiamo considerarlo tale finché non viene dimostrata la sua colpevolezza. Chi è aduso al disumano sciacallaggio ha sbagliato partito. Siamo qui oggi dunque non per dividerci tra colpevolisti ed innocentisti. Troppe volte in questo disgraziato Paese si sono cercati i colpevoli per non fare la fatica di guardare in faccia le cause. Prima di pensare alle elezioni dobbiamo pensare all'Abruzzo. Vi prego, smettiamola di essere solo un comitato elettorale permanente. Smettiamola di pensare solo a vincere, come se fossimo giocatori di uno sport che non diverte più nessuno. Il partito che in questi giorni ha grandemente guadagnato consensi è quello dell'astensione. Quello che chiamiamo giustizialismo è solo un inefficace tentativo di nobilitare il qualunquismo dilagante. Ripartiamo dalla trasparenza del potere. In questi giorni l'imprenditore Vincenzo Angelini è stato incredibilmente dipinto come vittima. Ho sentito definirlo “il buon Angelini” invece che il corruttore; il “grande elemosiniere” invece che il parassita di una politica da lui stesso e per lunghi anni inquinata ai danni della salute degli abruzzesi e del bilancio della Regione. Vittima allora è la politica? No essa è a sua volta, a vari livelli, colpevole. Dobbiamo capire meglio le responsabilità individuali di alcuni esponenti della precedente Giunta regionale di cui, stranamente, si parla poco. Certo è che nel mondo politico ci sono corresponsabili diretti, altri hanno subito il sistema ed altri lo hanno debolmente combattuto (sia chiaro, parlo di ognuno di noi; faccio autocritica che è quello che ognuno di noi dovrebbe fare senza occupare indebitamente il banco degli accusatori). Con insufficiente coraggio abbiamo affrontato il problema alla radice. Questa nostra Giunta ha cominciato a fare in questo senso passi importanti ma non è stato chiara fin dall'inizio la volontà di totale discontinuità. Bisogna allora ripartire da qui: dire parole chiare sulla necessità di una riforma profonda della sanità abruzzese. Nella misura in cui è possibile cominciare anche a trasformare le parole in atti con l'attuale Giunta guidata da Enrico Paolini. Più in generale dobbiamo avere a cuore un rapporto trasparente tra Istituzioni, politica ed interesse privato; rapporto necessario e utile quando serve a condividere obbiettivi di pubblica utilità. Ma l'autonomia dei poteri deve essere preservata a garanzia di tutti. Meno amicizie e più rispetto reciproco. Anche così si promuove il merito e l'economia della conoscenza e non quella “delle conoscenze”. Potere politico che deve essere autonomo, quindi, non arrogante e tronfio, prossimo ai bisogni dei cittadini, forte con i forti e gentile con i deboli, capace di avere un progetto e di saper trasmettere una missione. Avere un ruolo di responsabilità deve essere per ognuno di noi non il tappeto volante per camminare un metro più in alto degli altri ma l'impegno ad un supplemento in più di umiltà per camminare tra gli altri, senza essere riveriti o temuti. Veltroni ci invita a “farci popolo”. È vero: spesso siamo incapaci di farci popolo anche quando governiamo bene [...], giustificandoci poi, come illuministi autoreferenziali, con la nota formula: “non siamo stati capiti”. Ascoltare e condividere. Oggi non dobbiamo rincorrere, come a volte facciamo, le diversità delle nostre opinioni sui giornali. Oggi più importante di quello che dico io è quello che direte voi negli interventi; più importante di quello che diremo noi sarà quello che ascolteremo nei prossimi giorni fuori di qui. Le responsabilità politiche sono sempre collettive. Per questo tutti insieme dobbiamo ripartire da un progetto per la nostra Regione. Indicare un orizzonte e una rotta che parli alla realtà che vivono i cittadini. Una realtà vera che dobbiamo tornare a conoscere a fondo e non a presumere. Riformare la nostra Regione, si! Resta questo l'ambizioso obbiettivo che dobbiamo porci. Ma oggi abbiamo una credibilità del tutto insufficiente. Allora dobbiamo cominciare con il riformare noi stessi! Noi proponiamo come alternativa all'antipolitica qualunquista della destra una democrazia efficiente. Democrazia è una parola impegnativa che presuppone la rinuncia a derivi personalistiche e leaderistiche. Il partito democratico non può essere il caffè d'incontro dei “principi” con le loro piccole o grandi corti. Abbiamo detto una testa è un voto. No, una testa è una testa, che pensa e può voler partecipare, discutere, capire, poi anche sostenere e promuovere; non solo votare. Questa riflessione suggerisce anche una rivisitazione della nostra visione delle amministrazioni e dei Governi: dobbiamo restituire un ruolo centrale ai Consigli; dobbiamo tornare a considerare un valore la collegialità. È questo un compito nostro non dei nostri avversari. In Italia non c'è ancora una destra europea. Tanto è strano questo nostro Paese che i giustizialisti si trovano a sinistra e i garantisti a destra. La destra raccoglie consenso sul rifiuto, in tante forme, dello Stato. Restituire dignità alla politica e quindi forza allo Stato significa prosciugare il brodo di coltura di questa “non destra”. Dipende da noi soli? No. Il Pd deve ricostruire ponti verso alleanti che, come abbiamo detto in campagna elettorale, condividano uno stesso progetto. Alleanti a cui garantiamo amicizia, lealtà e rispetto di comuni regole. Senza condizioni reciproche però; le condizioni siamo in grado di porle da soli a noi stessi. Abbiamo tutti sottovalutato il valore del nostro Codice Etico: il partito deve essere in grado di controllare i gruppi dirigenti e garantire per loro oppure la fiducia cieca smette di essere fiduciosa e diventa solo cecità. Credo fermamente che il controllo si sviluppi innanzitutto con la discussione leale e franca. Voglio dirlo con chiarezza: tra noi c'è troppa ipocrisia! Troppe sono state e sono le riunioni in cui la regola è non parlare, non chieder conto, non esprimere una critica. Il Sindaco non è abbastanza disponibile al confronto? Non si può dire. L'Assessore dovrebbe affrontare meglio quel problema? Non si può dire. Questo mutua uno dei difetti della nostra società [...]. Ma il nostro obbiettivo è dimostrare, anche con l'esempio, che i mali del nostro Paese possono essere vinti. Ho letto di alcuni richiami alla “diversità” di berlingueriana memoria: credo sia inappropriato e fuorviante. Il principio a cui dobbiamo ispirarci non è quello dell'essere diversi o migliori dei nostri avversari ma, più semplicemente, onesti, corretti e rispettosi delle Istituzioni, dunque autorevoli abbastanza per dettare regole e chiedere che queste vengano riconosciute come giuste. Il Pd nasce per questo. Nasciamo nel fuoco di improvvise e difficili elezioni politiche e prossime elezioni regionali. Ma proprio per questo voglio rivolgervi un appello accorato: rifugiarsi in aggregati minoritari interni o mettere in conto la fuga dal Pd è, oggi più che mai, un errore fatale. Dobbiamo smetterla di dedicare le nostre energie nella reciproca delegittimazione (mai critica diretta, spesso chiacchiera laterale). Dobbiamo trovare il gusto di sostenerci a vicenda, di essere una comunità solidale ed unita, umanamente e politicamente. Ovviamente stare insieme non per il gusto di tenerci per mano ma perché abbiamo un comune progetto da realizzare. Oggi questo progetto, anche in vista della prossima difficile competizione elettorale regionale, deve misurarsi davvero con la discontinuità ed il rinnovamento. Anche qui una parola chiara: con la parola rinnovamento, come con il cacio, abbiamo condito tutti i nostri piatti. Adesso però basta con il gattopardismo del tutto cambi perché nulla cambi. Discontinuità e rinnovamento davvero: della visione politica, dei comportamenti e dei metodi, dei linguaggi e dei volti. Il primo banco di prova sono le prossime elezioni regionali. Penso alla scelta di un candidato Presidente che interpreti appieno la politica del fare in modo trasparente ed onesto. Un candidato autorevole e forte. Un candidato unitario della intera coalizione di centro-sinistra. Un candidato scelto da tutti noi e non da caminetti di pochi intimi. Un candidato scelto per l'Abruzzo o non per risolvere qualche problema romano. Un candidato che dia corpo alla necessaria costruzione di una classe dirigenti rinnovata e capace di protagonismo anche nazionale. Con lo stesso criterio dovremo costruire le nostre liste e le liste per le elezioni provinciali e comunali della prossima primavera. Allora torna ad avere senso essere qui. Come qualcuno mi ha detto rincuorandomi in questi giorni: “adesso, proprio adesso, voglio impegnarmi di più”. Adesso deve venir fuori la nostra grinta. Adesso deve emergere chi è qui per dare e non solo per ricevere. Adesso dobbiamo, possiamo fare un partito più solido, più coraggioso, più vero. Così e solo così torneremo a convincere e a vincere.
Fonte: Sito Partito Democratico | vai alla pagina » Segnala errori / abusi