L’impatto di lungo periodo della pandemia sull’insegnamento a scuola #conibambini

L’emergenza Covid ha inciso su metodi didattici e modalità di insegnamento, con effetti non necessariamente di breve termine. Rendendo ancora una volta evidente quanto sia importante investire sugli insegnanti e sulla loro formazione.

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La quotidianità della vita scolastica è uno degli aspetti che hanno risentito maggiormente dell’emergenza Covid. Nei mesi più difficili della pandemia, l‘impossibilità di fare scuola in presenza ha inciso enormemente sulle consuetudini delle classi e anche su metodi e strumenti di insegnamento.

La didattica a distanza, da un lato risolutiva perché ha consentito di non interrompere del tutto il percorso scolastico, ha però anche rappresentato una sfida enorme per il nostro sistema educativo.

Un vero e proprio cambio di paradigma che ha stravolto metodi e strumenti di insegnamento, obbligando in brevissimo tempo a un adattamento da parte di alunni e insegnanti.

Questi ultimi hanno dovuto adeguare i propri sistemi didattici nella situazione mutata, in un contesto che senza preavviso aveva stravolto la modalità con cui si sta in classe e il rapporto tra docente e alunno.

Con l’emergenza Covid dichiarata terminata dalle autorità sanitarie internazionali e nazionali nel maggio di quest’anno, è utile valutare l’impatto della pandemia sulle possibilità di insegnamento da parte dei docenti e sugli apprendimenti di ragazze e ragazzi.

Come noto, le competenze degli studenti sono calate durante l’emergenza, complici una serie di fattori. Primo tra tutti proprio le disuguaglianze tra gli alunni: è esplosa la disparità chi aveva alle spalle una famiglia in grado di supportare il lavoro della scuola e chi no. Anche la disponibilità di un luogo tranquillo dove studiare e di dispositivi digitali ha fatto la differenza.

12% gli studenti di condizione familiare medio-bassa che hanno concluso le superiori con competenze inadeguate nel 2022 (5,6% tra i coetanei avvantaggiati).

Anche per questo, come abbiamo avuto modo di raccontare, gli apprendimenti sono calati soprattutto tra gli studenti svantaggiati. Nelle prove Invalsi del 2023, sebbene vi sia stato un miglioramento nel risultato medio rispetto ai dati in piena fase pandemica, è emerso come restino problematici i divari sociali e territoriali.

Nel ripercorrere le diverse strategie adottate dai paesi europei per far fronte a questa situazione, proviamo a capire se questa tendenza è destinata a durare anche dopo la pandemia. E soprattutto cosa si può fare per contrastarla, a partire dalla valorizzazione del ruolo degli insegnanti.

Come sono sono cambiati didattica e insegnamento nella pandemia

La pandemia è stata uno spartiacque nelle modalità di insegnamento. Molti sistemi europei hanno riadattato, in vari modi, l’organizzazione della didattica per supplire ai limiti delle lezioni seguite da remoto o in modalità mista. E soprattutto per fare fronte al calo degli apprendimenti, soprattutto tra gli studenti svantaggiati.

In risposta all’emergenza Covid sono state 3 le principali strategie adottate dai sistemi educativi europei in supporto all’apprendimento. Quella più frequente, che ha riguardato anche il nostro paese, è stata organizzare misure aggiuntive di supporto all’apprendimento per gli studenti svantaggiati o con difficoltà negli apprendimenti in seguito alle chiusure.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Eurydice
(pubblicati: giovedì 15 Settembre 2022)

Ad esempio iniziative di tutoraggio in piccoli gruppi o piani individuali di integrazione delle competenze, come quelli previsti in Italia dal decreto ministeriale 11/2020. Questa strategia è prevalsa in paesi come Francia, Italia, Austria, Irlanda, Paesi Bassi, Belgio (nella parte vallona) e Lussemburgo. Anche altri paesi, tra cui Polonia e Spagna, hanno seguito questa strada, all’interno di un mix più ampio di politiche pubbliche.

12 su 27 i paesi Ue che tra le strategie di contrasto alla perdita di apprendimenti post-Covid hanno previsto misure aggiuntive (come gruppi di tutoraggio dedicati).

In altri stati, come Danimarca e Finlandia, sono state erogate alle scuole risorse aggiuntive (in termini di personale o di finanziamento). In modo da attivare progetti e attività di contrasto ai bassi risultati conseguiti dagli studenti.

Altri hanno previsto un adattamento dei contenuti dell’insegnamento, come Ungheria e Bulgaria, o ancora un insieme delle politiche citate. Alcuni paesi, tra cui la Germania, non hanno adottato strumenti ad hoc.

Le analisi di Eurydice, la rete europea dedicata allo studio dei sistemi educativi del continente, hanno evidenziato un ruolo positivo della didattica a distanza nella digitalizzazione dei sistemi scolastici, soprattutto in alcuni territori.

Tuttavia, nonostante le misure adottate, la pandemia ha comunque messo in evidenza le forti differenze esistenti tra i sistemi educativi europei e interne ad essi. Un aspetto che avevamo avuto modo di raccontare nel rapporto “Disuguaglianze digitali“.

Nel complesso, il rapido passaggio all’apprendimento a distanza o misto ha rivelato grandi differenze nei livelli di digitalizzazione tra i paesi, nonché tra scuole, insegnanti e studenti.

Investire sulla formazione degli insegnanti significa valorizzarne la funzione.

Divari che si possono misurare su diversi fronti. Dall’inclusività del sistema scolastico, con la capacità di non lasciare indietro gli studenti con difficoltà, alla digitalizzazione delle scuole. Senza contare la valorizzazione del ruolo degli insegnanti in questi processi di cambiamento, che non può prescindere dall’investimento sulla formazione. Un aspetto dirimente nel momento in cui la scuola si trova ad adottare nuove tecnologie e metodi didattici.

L’investimento sulla professione di docente

L’emergenza Covid ha reso evidente quanto sia strategico investire sulla professionalità degli insegnanti. Il loro ruolo è essenziale per la formazione di ragazze e ragazzi, tanto nelle fasi ordinarie, quanto in quelle straordinarie. In cui può essere necessario riadattare metodi didattici e strumenti di insegnamento.

Gli insegnanti in Europa, quindi, hanno dovuto cambiare rapidamente il loro modo normale di lavorare e padroneggiare le tecnologie TIC che hanno permesso loro di insegnare a distanza.

Ciò comporta una valorizzazione del corpo docente, sotto diversi punti di vista.

Allo scoppio della pandemia, il corpo docente italiano risultava tra quelli mediamente più anziani, meno pagati e con un accesso alla formazione inferiore alla media europea, in base ad alcuni indicatori esistenti sull’argomento.

Le analisi Ocse segnalano che le retribuzioni degli insegnanti italiani tendono a essere più basse rispetto alla media dei laureati. In misura molto superiore rispetto ad altri paesi europei considerati nelle rilevazioni.

Un altro pilastro è quello della formazione, in particolare nell’avvio alla professione docente e nel proseguimento della carriera.

È ampiamente riconosciuto che la qualità degli insegnanti incide sui risultati degli studenti (…) provvedere a una formazione iniziale e a una fase di avvio di elevata qualità è un fattore fondamentale per garantire che gli insegnanti posseggano le competenze significative necessarie per essere efficaci in classe

In media, nell’Unione europea circa il 70% degli insegnanti dichiara di aver ricevuto una formazione complessiva, comprendente tutti gli aspetti fondamentali: contenuti disciplinari, pedagogia e pratica in classe.

Tre paesi, tra cui il nostro, abbassano questa media, attestandosi sotto al 60%: Italia (57,1%), Francia (56,5%) e Spagna (41,5%). Ad aggravare il quadro per il nostro paese è il dato sugli insegnanti più giovani. Mentre in Francia e Spagna tra i docenti con meno di 35 anni la quota sale rispettivamente al 62,4% e al 55%, per l’Italia addirittura scende al 50,4%.

50,4% gli insegnanti under-35 che in Italia hanno svolto una formazione completa (media Ue: 75%).

I giovani insegnanti, in base a quanto emerso nell’indagine Talis 2018, risultavano quindi aver ricevuto una formazione inferiore rispetto agli altri paesi Ue. Senza contare che il corpo docente italiano è mediamente più anziano rispetto agli altri paesi Ocse, sia nelle scuole primarie che in quelle secondarie. Un aspetto che certamente va tenuto presente nella possibilità di adattamento dei metodi di insegnamento.

L’età degli insegnanti in Italia

Nell’anno scolastico 2021/22, in Italia in media il 10% del corpo docente aveva meno di 35 anni. Una percentuale che scende ulteriormente, al di sotto del 3%, se si considerano i solo insegnanti a tempo indeterminato.

2,99% gli insegnanti a tempo indeterminato con meno di 35 anni.

Tale quota varia profondamente sul territorio nazionale. In province come Cuneo, Sondrio, Brescia, Mantova, Prato e Lecco supera il 5%. In particolare nel cuneese, dove l’incidenza di giovani insegnanti raggiunge il 6,84%. Superano la media nazionale (2,99%) anche altre 47 province, tutte nella parte centro-settentrionale del paese.

Il dato è relativo ai docenti a tempo indeterminato in tutte le scuole statali italiane, da quelle d’infanzia alle superiori. Include gli insegnanti di sostegno.

Dati non disponibili per Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Mim
(pubblicati: mercoledì 31 Agosto 2022)

Tutte le 38 province del mezzogiorno si collocano invece al di sotto della media nazionale. In particolare i territori con meno giovani insegnanti sul totale del corpo docente appartengono alla Sicilia: Siracusa (0,97%), Catania (1,14%), Messina (1,20%), Agrigento (1,30%), Caltanissetta (1,35%) e Trapani (1,36%). Alla stessa quota di Trapani anche Frosinone, nel Lazio.

La centralità dell’insegnamento

La trasmissione del sapere, attraverso l’insegnamento nelle scuole, è una funzione di importanza capitale per lo sviluppo di una società. Da questa funzione, svolta quotidianamente dai docenti, dipende tanto la preparazione delle prossime generazioni quanto la crescita umana e sociale dei più giovani.

Per questa ragione la valorizzazione del corpo docente costituisce una premessa e un indicatore di quanto una società voglia investire sull’istruzione di ragazze e ragazzi.

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I contenuti dell’Osservatorio povertà educativa #conibambini sono realizzati da openpolis con l’impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Mettiamo a disposizione in formato aperto i dati utilizzati nell’articolo. Li abbiamo raccolti e trattati così da poterli analizzare in relazione con altri dataset di fonte pubblica, con l’obiettivo di creare un’unica banca dati territoriale sui servizi. Possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione. I dati relativi agli insegnanti sono di fonte Mim.

Foto: Comune di Reggio Emilia (Flickr)Licenza

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