L’impatto delle disparità economiche sulla condizione dei minori #conibambini

L’Italia è uno dei paesi europei in cui le disuguaglianze di reddito sono più pronunciate. Un aspetto importante da considerare, anche alla luce di quanto la condizione economica familiare influenza le prospettive educative di bambini e bambine.

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Disuguaglianze eccessive nella condizione di partenza delle famiglie portano spesso alla riproduzione di divari educativi, sociali ed economici vissuti da bambine e bambini. È questa dinamica che alimenta la trappola della povertà educativa. In questo quadro, diventa utile misurare anche l’incidenza delle disuguaglianze economiche, un aspetto oggetto di una recente pubblicazione della banca d’Italia.

46% la ricchezza netta del paese posseduta dal 5% delle famiglie più ricche (2023).

Sono dati che fanno comprendere l’importanza di monitorare le dinamiche legate alle disuguaglianze economiche, aspetti che caratterizzano l’Italia in modo importante rispetto al resto del continente europeo. Abbiamo già approfondito di come l’Italia sia uno dei paesi Ue con minore mobilità sociale, ovvero risulta più difficile per chi nasce in una famiglia povera il miglioramento della propria condizione economica rispetto ai genitori. Ocse ha stimato che in Italia servono almeno 5 generazioni per arrivare al reddito medio se si nasce in un contesto di povertà, uno dei valori più alti tra i paesi Ocse.

Anche se non è l’unico fattore, dal momento che la povertà è un fenomeno multidimensionale che va ben oltre le questioni strettamente monetarie, il reddito rimane uno degli aspetti più importanti da monitorare. Uno degli indici maggiormente utilizzati per comprendere al meglio queste dinamiche è l’indice di Gini, che considera le disuguaglianze proprio sul lato reddituale.

Questo numero può avere valori compresi tra 0% e 100%. Più è basso, più ci si avvicina a una situazione di perfetta uguaglianza in cui tutte le persone hanno il medesimo reddito. Più è alto invece più i redditi sono concentrati in un piccolo gruppo di persone. Se l’indice è pari a 100% significa che un’unica persona possiede tutto il reddito del gruppo considerato. Vai a “Cos’è l’indice di Gini”

Nel 2022 l’Italia riporta un indice di Gini pari al 32,7%. Questo è il quarto valore all’interno dell’Unione europea nel suo complesso e supera la media comunitaria di circa 3 punti percentuali.

29,6% l’indice di Gini all’interno dei 27 paesi dell’Unione Europea (2022).

Per dare un riferimento, i paesi che si caratterizzano per un indice maggiore di quello italiano sono tutti nell’Europa orientale: Bulgaria (38,4%), Lituania (36,2%) e Lettonia (34,3%). A riportare invece i valori minori sono Belgio (24,9%), Repubblica Ceca (24,8%), Slovenia (23,1%) e Slovacchia (21,2%).

Per misurare le differenze che sussistono tra i redditi percepiti, si utilizza l’indice di Gini. Questo numero può avere valori compresi tra 0% e 100%. Più è basso, più ci si avvicina a una situazione di perfetta uguaglianza in cui tutte le persone hanno il medesimo reddito. Più è alto invece più i redditi sono concentrati in un piccolo gruppo di persone.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i bambini su dati Eurostat
(consultati: lunedì 22 Gennaio 2024)

L’impatto delle disuguaglianze sulla condizione dei minori

Le disparità economiche hanno un impatto diretto anche sulle famiglie con figli. La distribuzione dei redditi è un aspetto cruciale se si pensa al fatto che per le famiglie con minori a carico siano necessarie più risorse economiche per poter arrivare a fine mese senza difficoltà. Stando alle rilevazioni campionarie di Istat, nel 2022 il 25,9% delle famiglie dichiarano che hanno bisogno di oltre duemila euro al mese per non trovarsi in condizione di difficoltà economica. Quota che sale al 30,4% per i nuclei monogenitoriali e al 39,4% per le coppie con figli.

La presenza di figli è quindi una delle variabili che determina maggiormente il bisogno economico di una famiglia. Così come il loro numero. In coincidenza con gli ultimi dati Istat, che indicano come al crescere del numero di figli aumentino anche le risorse necessarie per poter mantenere la famiglia. Tra i nuclei con un unico figlio, il 35,9% indica come soglia minima indispensabile per arrivare a fine mese un reddito che va dai duemila euro in su. Con due figli, questa quota sale al 39,7%. Dai 3 figli in su, quasi la metà delle famiglie (43,6%) dichiara come necessari oltre duemila euro per arrivare a fine mese.

La difficoltà di arrivare a fine mese influisce anche su come una famiglia spende i propri soldi, favorendo le spese per i beni necessari per la sussistenza.

1 su 100 le famiglie italiane che dichiarano nel 2022 di non avere i soldi per i beni necessari per la scuola. (1,7 considerando solo il sud e 2,2 per le isole).

Va inoltre evidenziato che questi dati vanno presi con cautela perché potrebbero essere sottostimati, un fenomeno spesso sottolineato nella letteratura in materia. Può infatti essere difficile per una famiglia dichiarare di non poter provvedere per la vita dei propri figli, come viene evidenziato anche dall’Unicef.

[…] ma dietro ogni statistica sulla deprivazione c’è un genitore che deve rispondere se sia in grado o no di permettere a suo figlio di “partecipare a gite ed eventi scolastici”, o di “invitare a casa degli amici per giocare e mangiare insieme”, oppure di avere “un posto tranquillo con spazio e luce a sufficienza per fare i compiti”

In questo quadro, la disparità educativa è un elemento cruciale. Povertà educativa ed economica si influenzano a vicenda, diminuendo le possibilità di bambini e ragazzi di usufruire a pieno di tutte le opportunità di apprendimento.

L’istruzione ha quindi un ruolo cruciale per favorire migliori condizioni economiche e lavorative future e attivare meccanismi di mobilità sociale. Garantire un apprendimento di qualità a tutti non soltanto interrompe questa tendenza, ingiusta per i minori e per le loro famiglie, ma consente anche di ridurre gli effetti economici e sociali negativi che si creano all’interno di una comunità.

Dalle dichiarazioni Irpef si capisce dove si concentrano i redditi più bassi.

Per avere un quadro più chiaro di queste dinamiche, è essenziale poter mappare la situazione delle famiglie a livello locale, con alcuni indicatori come la concentrazione dei redditi più bassi. Questi hanno però alcune controindicazioni. I dati analizzati fanno riferimento alle dichiarazioni Irpef, comprendendo tutte quelle persone che dichiarano un reddito imponibile. A causa però di fenomeni di evasione fiscale, la condizione familiare reale potrebbe non essere quella dichiarata a fini fiscali quindi bisogna considerare il dato con cautela. Inoltre, è doveroso puntualizzare che il reddito è soltanto uno dei fattori economici che vanno presi in considerazione in relazione all’ambito della povertà educativa. Infatti, oltre al flusso di entrate, è importante considerare anche la ricchezza di una famiglia, ovvero ciò che possiede, come per esempio l’abitazione. Tenendo presenti questi aspetti, la concentrazione di contribuenti a basso reddito è comunque un indicatore che consente di monitorare alcune tendenze.

27,4% la quota di dichiaranti con reddito tra 0 e 10mila euro (2021).

Il primo elemento che emerge, come prevedibile, è la differenza tra nord e sud del paese. Nell’area del mezzogiorno, la quota di persone con reddito compreso tra 0 e 10mila euro si attesta al 36,5%, contro il 26,6% del centro, il 22,3% del nord-est e il 22,1% del nord-ovest.

È la Calabria la regione con la maggior quota di dichiaranti con redditi bassi (41,5%). Seguono altre tre regioni del sud: Sicilia (37,8%), Campania (36,7%) e Puglia (36,5%). Sono invece minori in Piemonte (22,2%), Lombardia (21,4%) e Emilia-Romagna (21,2%).

La mappa è stata elaborata dalle informazioni sulle dichiarazioni dei redditi effettuate nel 2021, relative all’anno d’imposta 2020. Comprende tutti i redditi provenienti dalle dichiarazioni Irpef.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati ministero dell’economia e delle finanze
(pubblicati: giovedì 20 Aprile 2023)

A livello provinciale, Crotone è la zona con le percentuali più alte (44,38%) seguita da Vibo Valentia (43,1%), Cosenza (42,6%) e Agrigento (42,1%). Sono invece caratterizzate dall’incidenza più bassa le aree di Monza e della Brianza (19,6%), di Lodi (19,2%) e di Bologna (19%). Per quel che riguarda invece i capoluoghi, i valori più alti sono riportati dai tre comuni della provincia di Barletta-Andria-Trani. In particolare, Andria (40,8%), Barletta (40,2%) e Trani (38,3%). Più bassi invece a Modena (19,4%), Belluno (18,9%) e Lodi (18,8%).

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I contenuti dell’Osservatorio povertà educativa #conibambini sono realizzati da openpolis con l’impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Mettiamo a disposizione in formato aperto i dati utilizzati nell’articolo. Li abbiamo raccolti e trattati così da poterli analizzare in relazione con altri dataset di fonte pubblica, con l’obiettivo di creare un’unica banca dati territoriale sui servizi. Possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione. Le fonti dei dati sulle competenze sono Invalsi e Istat (statistiche sperimentali).

Foto credit: David Pennington Unsplash – Licenza

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