L’accesso ai dati amministrativi sui centri di accoglienza è un diritto Migranti

Di fronte alle ripetute richieste di accesso agli atti sui centri di accoglienza per migranti in Italia il ministero dell’interno ha sempre opposto un rifiuto. Una sentenza del Tar conferma però le nostre ragioni chiedendo al Viminale di fornirci dati che hanno un chiaro interesse pubblico.

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L’accesso ai dati amministrativi sui centri di accoglienza presenti in Italia è stato fino a oggi sostanzialmente precluso agli organi di stampa, agli istituti di ricerca e alla società civile. A seguito di un nostro ricorso, un’importante sentenza del Tar del Lazio ha confermato il diritto di accedere ai dati sui centri di accoglienza per migranti, detenuti dal ministero dell’interno.

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Il persistente rifiuto del Viminale di accogliere le nostre richieste ci aveva costretto in questi anni a ricorrere a vari sistemi alternativi per raccogliere dati sul sistema di accoglienza italiano. Con questa sentenza il Tribunale amministrativo del Lazio ha confermato la correttezza delle nostre richieste. Viene stabilito quindi un precedente importante per tutti coloro che sono interessati ai dati in questo settore ma anche, più in generale, per l’applicazione del cosiddetto Foia.

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L’importanza del Foia

Il nome dei gestori dei centri di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati, l’indirizzo e il tipo di struttura, la capienza, le presenze, la procedura di affidamento del contratto, le spese sostenute. Queste sono alcune delle informazioni che il Tar ha chiesto al ministero dell’interno di fornirci. Informazioni senza le quali è impossibile valutare in maniera approfondita punti di forza e debolezza del sistema di accoglienza. Un presupposto necessario per migliorare qualsiasi politica pubblica oltre che per sviluppare un dibattito serio, basato su dati concreti.

Attualmente l’unica fonte pubblica dove reperire alcune di queste informazioni è la Relazione annuale del ministero dell’interno al parlamento sul funzionamento del sistema di accoglienza. Si tratta però di un documento in pdf, difficilmente lavorabile, in cui i dati presenti sono comunque in forma aggregata, nel migliore dei casi a livello provinciale. Uno strumento di sintesi utile a livello informativo ma assolutamente insufficiente a sviluppare analisi approfondite e indipendenti sull’argomento.

Leggi la Relazione sul funzionamento del sistema di accoglienza

per gli anni 2017 e 2018

L’importanza del Foia sta nel permettere a chiunque di ottenere dalla PA dati di interesse collettivo.

Per questo abbiamo deciso prima di fare domanda di accesso agli atti al ministero dell’interno e poi di presentare ricorso al Tar in risposta ai ripetuti rigetti delle nostre richieste. L’importanza del diritto di accesso civico generalizzato (Foia) è infatti proprio quella di permettere a chiunque di ottenere dati di interesse collettivo detenuti dalle pubbliche amministrazioni.

Openpolis si batte da sempre perché sia garantita la trasparenza della politica e dell’amministrazione. Per questo è stata tra i promotori di Foia 4 Italy, una campagna che chiedeva l’introduzione del Foia anche in Italia. E da quando il Foia è diventato legge, grazie all’approvazione del “decreto trasparenza”, abbiamo fatto ricorso a questo strumento in diverse occasioni.

Le richieste di accesso agli atti rivolte alle prefetture

Il diritto di accesso però non è al momento uno strumento né rapido né tantomeno automatico. Da alcuni anni seguiamo assieme ad Action Aid un progetto di analisi del sistema di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati in Italia. Fin dal principio è emerso in maniera evidente come i dati su questo fenomeno siano sostanzialmente preclusi alla società civile.

Per superare questi limiti abbiamo seguito varie strade tra cui quella di rivolgere una richiesta di accesso generalizzato agli atti a tutte le prefetture d’Italia. Si è trattato di un tentativo che ha prodotto risultati alterni. Alcune prefetture si sono dimostrate pronte a collaborare, in maniera più o meno completa, altre si sono opposte alle nostre richieste. Altre ancora non hanno mai risposto. Un lavoro particolarmente complesso visto che anche le informazioni che siamo riusciti ad ottenere dalle prefetture sono risultate del tutto disomogenee e fornite in formati diversi. Recentemente un team di ricerca dell’Università Bicocca ha portato avanti questo stesso approccio, registrando risultati notevoli ma confrontandosi comunque con molte difficoltà.

Per ottenere un quadro il più completo possibile siamo quindi ricorsi anche a ulteriori strumenti. Come l’analisi dei contratti pubblici, grazie a una convenzione con Anac, e lo studio delle Relazioni annuali del ministero dell’interno al parlamento sul funzionamento del sistema di accoglienza. Un lavoro che, tra molte difficoltà, ci ha comunque permesso di produrre analisi e report che hanno portato contributi originali al dibattito pubblico come Centri d’Italia 2018 e Centri d’Italia 2019: La sicurezza dell’esclusione.

Nonostante ripetuti tentativi il Viminale si è sempre opposto alle nostre richieste di accesso agli atti.

Dalle relazioni del ministero al parlamento è emerso inoltre come il Viminale abbia sviluppato un Sistema informatico di gestione dell’accoglienza (Sga). Nonostante le numerose richieste però il Viminale si è sempre rifiutato, con argomentazioni fantasiose, di consentirci l’accesso ai dati contenuti nell’Sga. Un rifiuto ancor più irragionevole se si considera che i dati che chiediamo sono tutti presenti nel sistema. Per fornirli, a noi come a chiunque altro, è perciò necessaria solo una semplice procedura di estrazione dei dati.

Un precedente importante

Di fronte all’ultimo rifiuto del ministero dell’interno di accogliere la nostra richiesta di riesame abbiamo quindi deciso di ricorrere al tribunale amministrativo. Con questa sentenza il Tar del Lazio ha confermato le nostre ragioni stabilendo un precedente importantissimo per tutti coloro che sono interessati ad analizzare il sistema di accoglienza Italiano. Più in generale questo pronunciamento è un ulteriore passo avanti per affermare il diritto di accesso agli atti della pubblica amministrazione.

Nonostante la legge appaia chiara nelle sue enunciazioni infatti, l’accesso civico generalizzato è uno strumento relativamente nuovo nel nostro ordinamento. La stessa giurisprudenza sta ancora definendo gli eventuali limiti che possono essere opposti a una richiesta. Allo stesso modo anche le pubbliche amministrazioni reagiscono in maniera diversa alle richieste di Foia. Ne sono un esempio le risposte molto diverse che abbiamo ricevuto dal ministero dell’interno e dalle varie prefetture rispetto a richieste che riguardano gli stessi dati.

Con l’impugnato diniego impugnato il Ministero ha rappresentato che:
– al riguardo, si rappresenta che attualmente il sistema informatico SGA è in fase di completamento e non è possibile estrarre i dati richiesti;
– le informazioni oggetto di domanda, possono essere desunte, con riferimento all’anno 2017, dalla Relazione concernente il funzionamento del sistema nazionale di accoglienza dei flussi migratori non programmati;
– che gli stessi dati riferiti all’anno 2018 sono al momento in fase di elaborazione da parte di questa Direzione ai fini della relazione annuale al Parlamento che sarà inviata alle Camere entro il 30 giugno prossimo.

Nel caso in questione le motivazioni proposte dal ministero per rifiutare la nostra richiesta non sono state considerate valide. Il tribunale ha infatti ribadito l’obbligo per la pubblica amministrazione di fornire i dati richiesti tramite Foia quando questi siano strumentali alla tutela di un interesse generale.

I limiti della sentenza – Un diritto di tutti

Restano, tuttavia, alcune ombre legate sia al profilo generale del diritto di accesso sia alle nostre richieste specifiche.

L’accesso agli atti amministrativi è un diritto che la legge garantisce a chiunque.

Sotto il profilo generale un problema riguarda il soggetto che ha titolo a chiedere l’accesso ai dati. Secondo la sentenza infatti la nostra richiesta è da ritenersi legittima in considerazione del riconosciuto ruolo pubblico della Fondazione openpolis. Un’affermazione che lascia intendere come, se la stessa domanda fosse stata posta da un soggetto meno accreditato, sarebbe stato legittimo negare il diritto di accesso. Tuttavia lo spirito e la lettera della legge indicano chiaramente come quello di accedere ai documenti della pubblica amministrazione sia un diritto garantito a chiunque.

Allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall’articolo 5-bis.

La legge in effetti non pone in alcun modo limitazioni o distinzioni circa la tipologia del soggetto. Non importa o non dovrebbe importare che questo sia più o meno riconosciuto. Né dovrebbe importare che si tratti di una realtà associativa o un privato cittadino, che rappresenti interessi diffusi o soltanto sé stesso. Sembra in effetti che il Tar abbia adottato una sentenza giusta motivandola con le ragioni sbagliate. Un’interpretazione restrittiva del diritto di sapere che, se pur in nostro favore, appare arbitraria e quindi in definitiva ingiusta.

I limiti della sentenza – L’interesse generale

Oltre a questo limite generale la sentenza pone anche alcuni paletti alla nostra richiesta, escludendo dai dati che il ministero ci deve fornire i codici fiscali o le partite Iva dei gestori di centri di accoglienza. Secondo i giudici amministrativi rispetto a questi dati “non si ravvisa la strumentalità rispetto all’interesse generale” e non si può “escludere una strumentalità rispetto ad interessi, anche concorrenti, di tipo privato.”

A nostro parere tuttavia si tratta chiaramente di un dato di interesse generale, come si evince anche da alcuni contributi che abbiamo già pubblicato sul tema dell’accoglienza.

Conoscere chi sono i gestori dei centri di accoglienza significa sapere a chi sono assegnate risorse pubbliche per la gestione di un servizio pubblico.

Si tratta infatti d’individuare in maniera univoca soggetti ai quali la pubblica amministrazione affida la gestione di un servizio pubblico, attraverso l’erogazione di ingenti risorse pubbliche. Alcuni miliardi di euro assegnati ogni anno e gestiti da soggetti che la pubblica opinione ha tutto il diritto di conoscere. Solo così infatti è possibile valutare modelli diversi di accoglienza, verificare la presenza di eventuali soggetti monopolistici e analizzare in definitiva come vengono spesi fondi pubblici.

D’altronde è la legge stessa ad attribuire ai gestori degli obblighi di trasparenza, anche se raramente ottemperati, rispetto alla rendicontazione dei fondi pubblici impegnati nei servizi di accoglienza (Art. 2 comma 2-quater del Decreto Sicurezza). Informazioni del tutto inutili nel caso non fosse legittimo conoscere in maniera certa, tramite le p.Iva o i codici fiscali, chi effettivamente gestisce questi servizi.

Si tratta peraltro di dati che, in forma parzialmente aggregata, si trovano anche nella Relazione del ministero dell’interno al parlamento sulla gestione del sistema di accoglienza oltre che, in maniera non puntuale, sui siti delle prefetture e nella banca dati di Anac sui contratti pubblici.

I passi ancora necessari

Se da un lato è doveroso sottolineare l’importanza della sentenza nei suoi aspetti sostanziali, dall’altro non possiamo che evidenziare l’assoluta necessità di ulteriori passi avanti, anche in sede giurisprudenziale. Passi imprescindibili affinché nella pratica sia garantito in maniera compiuta il diritto generalizzato di accesso agli atti amministrativi in tema di accoglienza, così come per ogni altra materia.

Peraltro anche il successo attuale ottenuto grazie a questa sentenza, necessita di essere ottemperato. Non è affatto scontato infatti che il ministero dell’interno ci fornisca i dati richiesti nei tempi previsti. È invece possibile che le stesse richieste del tribunale siano ignorate dal Viminale. Così come può essere che il ministero decida di dilazionare i tempi di fornitura dei dati o anche di impugnare la sentenza di fronte al consiglio di stato.

In ogni caso openpolis continuerà a battersi affinché in questo come in altri casi sia garantito a tutti il diritto alla conoscenza attraverso l’accesso civico generalizzato.

 

Foto Credit: ilquotidianodellapa.itLicenza

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