Il contributo degli stranieri alla forza lavoro italiana Migranti

I cittadini stranieri rivestono un ruolo fondamentale nella forza lavoro del paese. Tuttavia svolgono spesso lavori poco qualificati, anche rispetto ai rispettivi titoli di studio, e sono più esposti allo sfruttamento.

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Nel 2021 i cittadini di nazionalità straniera costituivano circa l’8,5% della popolazione italiana, ma oltre il 10% della forza lavoro del paese, pur con una flessione corrispondente al periodo della pandemia.

Nonostante il loro importante contributo, che secondo le stime della fondazione Leone Moressa nel 2020 ha rappresentato il 9% del Pil nazionale, si trovano ancora mediamente in condizioni lavorative peggiori rispetto agli italiani. Svolgendo lavori meno qualificanti, con salari medi inferiori, e trovandosi più spesso coinvolti in situazioni lavorative di sfruttamento.

Quanti stranieri lavorano in Italia

Gli stranieri residenti nel nostro paese sono mediamente più giovani degli italiani e questa è una delle ragioni per cui tra loro risulta maggiore la partecipazione alla forza lavoro.

Occupati e disoccupati compongono la forza lavoro, cioè la popolazione economicamente attiva. Al di fuori della forza lavoro, gli inattivi: coloro che non sono classificabili né come occupati né come disoccupati. Vai a "Che cosa si intende per occupati, disoccupati e inattivi"

Secondo le rilevazioni dell’organizzazione internazionale del lavoro (Oil), in Italia il 64,7% dei cittadini stranieri di età superiore ai 15 anni svolge o è alla ricerca di un impiego, contro il 46,6% degli italiani.

Nel complesso, costituiscono il 10,5% della forza lavoro del nostro paese. Una quota che secondo il ministero del lavoro scende a circa il 7% se consideriamo solo gli extra-comunitari.

I dati sono riferiti alle persone in età lavorativa, ovvero di età maggiore ai 15 anni, occupate o non – tra queste ultime, sono contate le persone disoccupate e alla ricerca di un lavoro. Sono esclusi quindi gli inattivi.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Oil
(ultimo aggiornamento: mercoledì 28 Settembre 2022)

Il numero di stranieri che fanno parte della forza lavoro in Italia è andato gradualmente aumentando dal 2010, quando ammontava a circa 2,2 milioni di persone, fino al 2019 (2,9 milioni). Negli ultimi anni si è verificata una leggera contrazione: da 2,9 a 2,7 milioni nel passaggio dal 2019 al 2020, fino a 2,6 nel 2021, con un calo di circa 271mila persone.

A causare questo fenomeno è stata la pandemia, che ha portato a una sostanziale ricaduta nell'inattività da parte di lavoratori di tutte le nazionalità ma soprattutto degli stranieri. Questo si è rispecchiato nel tasso di occupazione, che è conseguentemente calato, ma che comunque rimane elevato rispetto alla media nazionale, pari al 50,6%.

57% dei cittadini stranieri residenti in Italia risulta occupato, secondo i dati Istat (2021).

Nel 2019 questo dato si attestava al 60,1%. Nel 2020 la quota è scesa al 55,9%, e nel 2021 è leggermente risalita. Gli stranieri sono stati infatti colpiti in maniera sproporzionale dagli effetti della pandemia: nonostante costituiscano circa il 10% della forza lavoro del paese, il 35% delle persone che hanno perso il proprio impiego durante la crisi pandemica era di nazionalità non italiana.

Settori e tipologie di impiego degli stranieri in Italia

Cittadini stranieri e autoctoni in Italia non svolgono sempre gli stessi lavori. Sia a livello di settore di impiego che di tipologia di mansione ricoperta.

I dati sono riferiti ai macro settori di impiego e riguardano la quota di persone, per nazionalità, che lavorano nei diversi ambiti (lavoratori per settore sul totale dei lavoratori della stessa nazionalità).

FONTE: elaborazione openpolis su dati Oil
(ultimo aggiornamento: mercoledì 28 Settembre 2022)

Sia gli italiani che gli stranieri risultano maggiormente impiegati nel settore dei servizi, in particolare le donne. Gli uomini sono largamente impiegati anche nel settore industriale (35,2% degli italiani e 43,3% degli stranieri).

Tra gli uomini stranieri risulta particolarmente elevata l'incidenza di lavoratori agricoli (8,9%). Una quota che, stando ai dati del ministero del lavoro, sale al 12,6% se consideriamo solo gli extra-comunitari. Secondo i dati presentati nel dossier Idos sull'immigrazione del 2021, si arriva a oltre il 40% per alcune specifiche nazionalità, come quella indiana.

In agricoltura sono frequenti i rapporti lavorativi di sfruttamento, soprattutto ai danni di cittadini extra-comunitari.

Come abbiamo raccontato in altri approfondimenti, l'agricoltura è uno dei settori che presentano la maggiore incidenza di rapporti lavorativi di breve durata (per via della sua caratteristica stagionalità) e di lavoro non regolare, e dove conseguentemente si verificano più fenomeni di illeciti e sfruttamento ai danni dei lavoratori. Come nel caso del caporalato, che colpisce in particolare i lavoratori extra-comunitari presenti in Italia irregolarmente.

Inoltre, gli stranieri sono più frequentemente impiegati in ambiti poco qualificati, come il lavoro manuale non specializzato. Mentre pochissimi, rispetto agli autoctoni, si trovano in posizioni più elevate da un punto di vista professionale, e quindi anche salariale.

36,4% degli stranieri in Italia svolge un lavoro manuale non qualificato (2021).

I dati sono riferiti agli occupati di età maggiore ai 15 anni.

FONTE: elaborazione openpolis su dati ministero del lavoro
(ultimo aggiornamento: giovedì 29 Settembre 2022)

Mentre il 39% degli italiani svolge un lavoro altamente qualificato, intellettuale o tecnico, questa cifra scende all’11,9% per i cittadini comunitari e al 5,7% per quelli extra-comunitari. Tra questi ultimi l’incidenza maggiore la ha invece il lavoro manuale non specializzato (36,4%, con una differenza di circa 28 punti percentuali rispetto agli italiani).

Gli stranieri svolgono spesso lavori meno qualificati rispetto alle loro conoscenze o abilità.

Tuttavia, come evidenzia il dossier Idos, c'è una bassa corrispondenza tra la qualifica e il titolo di studio. Come abbiamo raccontato in un precedente approfondimento, tra i cittadini stranieri l'incidenza della "sovraqualificazione" - ovvero la condizione in cui una persona svolge un lavoro che richiede una preparazione intellettuale o tecnica inferiore a quella posseduta - è marcatamente più elevata rispetto agli italiani.

Stando all'ultimo aggiornamento Eurostat infatti nel 2020 il 18% degli italiani svolgeva un lavoro che richiedeva qualifiche più basse rispetto a quelle possedute, mentre il dato saliva al 47,8% nel caso degli stranieri comunitari e al 66,5% tra quelli non comunitari.

Una differenza di 48,5 punti percentuali, ben al di sopra della media europea di 20 punti percentuali - dove il fenomeno della sovraqualificazione riguarda il 20,8% dei cittadini autoctoni e il 41,4% di quelli extra-comunitari.

 

 

Foto: Sam Moghadam Khamseh - licenza

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