Gli effetti del metano sul clima Ambiente

Il metano è, dopo la co2, il principale responsabile del riscaldamento globale. Nonostante sia relativamente facile ridurne le emissioni, il miglioramento è lento e di entità ridotta.

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In un recente approfondimento abbiamo parlato di emissioni di gas serra, uno dei principali temi di discussione della Cop27. All’interno di questa categoria, oltre alla ben nota anidride carbonica, rientra un altro agente altrettanto nocivo: il metano (ch4).

Secondo la international energy agency (Iea), il metano sarebbe infatti responsabile per il 30% dell’aumento delle temperature a livello globale, dalla rivoluzione industriale a oggi.

Il metano, tra i principali responsabili del riscaldamento globale

Il metano è il secondo inquinante dopo la co2 per contributo al cambiamento climatico di matrice antropica. A livello molecolare risulta anzi ben più potente. Come afferma l’istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), ha un tempo di permanenza nell’atmosfera di gran lunga inferiore rispetto all’anidride carbonica (10/15 anni contro migliaia). Ma se presente per 20 anni ha un impatto 84 volte più significativo. Contribuisce inoltre enormemente alla formazione del buco nell’ozono.

Per tutte queste ragioni, il suo abbassamento è un punto cruciale all’interno del green deal europeo. Nel 2020 inoltre è stata lanciata la strategia Ue per la riduzione delle emissioni di metano, che afferma che con le politiche attualmente in vigore le emissioni diminuiranno del 29% entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990. Afferma anche che questo non basterà, e che la riduzione dovrebbe raggiungere almeno il 35% rispetto ai livelli del 2005. Con le tecnologie esistenti oggi, riporta il programma ambientale Onu (Unep), la riduzione delle emissioni di ch4 è una delle strategie ambientali più efficaci, a minor costo.

Pur essendo una sostanza presente in natura, oltre la metà del metano in atmosfera è generato dalle attività umane. Il 41% ha origini naturali (in particolare dalle zone umide e dagli incendi di incolto), mentre il 59% ha origine antropica. Proviene in particolare dal settore agricolo.

53% delle emissioni di metano di origine antropica in Ue deriva dall’agricoltura (2020).

Diminuiscono le emissioni, ma il calo è contenuto

Come riporta Ispra, le emissioni di metano di matrice antropica (escluse quindi quelle di origine naturale) costituiscono circa il 9,5% delle emissioni totali di gas serra.

Mentre però, come abbiamo raccontato a proposito dei gas serra, le emissioni totali sono diminuite in Italia del 26,5% tra 1990 e 2020, la riduzione nel caso del metano è stata decisamente più contenuta: -13,4%. Diversa invece la situazione europea, dove in media il calo si attesta sul 36% (32% per i gas serra nel loro complesso).

I dati si riferiscono alle tonnellate di metano in rapporto alla popolazione, in tonnellate ogni 10mila persone, in base alla popolazione registrata da Eurostat al primo gennaio di ogni anno.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Eurostat
(pubblicati: venerdì 10 Giugno 2022)

In Italia le emissioni in rapporto alla popolazione sono più contenute rispetto alla media europea: 2.869 tonnellate ogni 10mila persone contro 3.325. Tuttavia il loro calo nel corso dell’ultimo decennio è stato meno pronunciato.

Inoltre tra 2019 e 2020, a differenza di quanto è avvenuto mediamente in Europa, le emissioni sono lievemente aumentate, di circa 60 tonnellate ogni 10mila abitanti.

Sono considerati i vari settori responsabili di emissioni di metano, fatta eccezione per la gestione forestale a gli altri usi del suolo (Land Use, Land Use Change and Forestry, Lulucf).

FONTE: elaborazione openpolis su dati Eurostat
(pubblicati: venerdì 10 Giugno 2022)

Nel corso dell’ultimo decennio le emissioni di metano si sono leggermente ridotte in Italia (-6,8%). Il calo più importante ha riguardato il settore dei processi e prodotti industriali (-48,7%) e quello energetico (-24,5%), mentre le emissioni provenienti dalla gestione dei rifiuti sono calate appena del 5,4% e quelle dell’agricoltura sono rimaste sostanzialmente invariate.

Il settore più importante, da cui proviene circa il 45% delle emissioni, è quello agricolo. Si tratta principalmente di inquinamento causato dalle attività zootecniche e in particolare dalla fermentazione enterica (digestione) del bestiame, in primis dei ruminanti. Ma anche dalla gestione del letame e dalla coltivazione del riso.

Segue il settore della gestione dei rifiuti (39%), prevalentemente a causa delle emissioni incontrollate nelle discariche. Sembrerebbe più contenuto il settore energetico (16%), oltre ad essere quello che ha registrato il calo più importante. Tuttavia come evidenzia Iea, si tratta di un ambito fortemente sottostimato: secondo le analisi, al 70%. È infatti molto importante che ci sia una maggiore e migliore comunicazione riguardo alle emissioni, per garantire un monitoraggio più preciso.

Foto: Megumi Nachevlicenza

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