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Abbiamo approfondito il concetto di fabbisogno standard e il modo in cui può influenzare i processi di redistribuzione del fondo perequativo tra i comuni. Un insieme di risorse che, come abbiamo visto nel primo capitolo, ogni comune alimenta in base alla differenza tra fabbisogno e capacità fiscale.

Il fondo perequativo costituisce una parte del più ampio fondo di solidarietà comunale.

Anche il fondo di solidarietà comunale è finanziato dai comuni e ne beneficiano i comuni stessi, secondo un sistema di versamento o ricezione delle risorse. È alimentato, oltre che dal fondo perequativo, da quote che i comuni versano o ricevono in base a calcoli legati alle loro spese e risorse storiche.

La logica che regola il Fsc dovrebbe essere quella della solidarietà: comuni più ricchi trasferiscono nel fondo parte delle loro risorse, che vengono destinate alle amministrazioni in difficoltà.

Il fondo ha il compito di ridurre complessivamente il divario tra i comuni italiani nella dotazione di risorse. Sia per permettere a tutti gli enti di svolgere le loro funzioni fondamentali, che come visto in precedenza è lo scopo della parte perequativa del fondo. Sia in generale per diminuire le disparità, affinché i comuni possano svolgere anche funzioni che non sono considerate fondamentali.

La mancanza di trasparenza del fondo di solidarietà comunale

Non c’è chiarezza sulla redistribuzione del Fsc.

Abbiamo cercato di ricostruire i criteri di ripartizione del fondo, scontrandoci tuttavia con una grave mancanza di trasparenza sul tema. È stato infatti necessario un lungo e complesso lavoro di documentazione e di elaborazione dei dati, che comunque non è bastato per ricostruire il quadro completo di tale meccanismo.

vengo a come siamo arrivati al fondo di solidarietà comunale. Avevo i capelli neri prima di pervenire a questo modello matematico che ci permette di effettuare tali calcoli. È un file Excel di almeno ventiquattro o ventotto colonne, non riusciamo neanche a stamparlo.

Su un tema di interesse pubblico è necessaria maggiore trasparenza.

Eppure il federalismo fiscale e l’autonomia differenziata sono argomenti di interesse pubblico, che nel corso degli anni sono stati spesso al centro del dibattito politico e mediatico. È importante, sia per le amministrazioni locali che per i cittadini, sapere con quali criteri viene stabilita la distribuzione delle risorse ai territori. Meccanismi che, invece, non sono affatto chiari.

E se da una parte è indispensabile che sia un modello matematico a mettere in atto questo processo, dall’altra è necessario che segua delle scelte politiche. È la politica che deve prendersi carico della direzione da seguire per cambiare le disparità interne al paese. Allo stato attuale, tuttavia, la confusione sul tema riguarda anche chi, all’interno del parlamento, si occupa proprio di federalismo fiscale.

se il federalismo aveva l’obiettivo di rendere trasparenti e chiari i meccanismi di distribuzione delle risorse, oggettivamente credo che questa missione non sia stata compiuta. Si fa decisamente fatica, anche per il circolo esoterico degli addetti ai lavori, a ricostruire i passaggi.

La carenza di risorse e la necessità di un intervento dello stato

Dopo un lungo lavoro di analisi abbiamo ricostruito, almeno in parte, gli effetti della ripartizione del fondo tra gli enti locali.

Nel primo capitolo abbiamo già approfondito le criticità riguardanti il metodo di redistribuzione della parte perequativa del Fsc: insufficiente a soddisfare i fabbisogni standard dei comuni. Dal momento che il Fsc comprende maggiori risorse rispetto alla sola parte perequativa, ci siamo chiesti se la quota complessiva che i comuni ricavano dal fondo, sia invece sufficiente per finanziare i fabbisogni standard.

Fsc e capacità fiscale sono l’insieme di risorse dei comuni per i servizi.

Abbiamo dunque isolato il dato relativo alla quota che un comune dà o riceve dal Fsc e sommato tale quota alla capacità fiscale. A quel punto, abbiamo sottratto il fabbisogno standard dall’insieme di risorse:

  • se il risultato è un valore positivo, significa che il comune riesce a soddisfare il proprio fabbisogno con le risorse che riceve dal Fsc e dalla capacità fiscale;
  • se il risultato è negativo, l’ente non ha sufficienti risorse per soddisfare il proprio fabbisogno.

FONTE: elaborazione openpolis
(ultimo aggiornamento: martedì 29 Ottobre 2019)

Da questo calcolo, tutti i grandi comuni delle regioni a statuto ordinario ricevono una quota dal Fsc che, sommata alla propria capacità fiscale, è sufficiente per coprire il fabbisogno standard. Un dato positivo, ma che va a vantaggio di alcune città più che di altre. Bologna è al primo posto in classifica, con circa 91 euro pro capite in più, seguita da Roma (89 euro pro capite) e Torino (86 euro pro capite). Napoli invece chiude la classifica ampiamente distaccata da tutte le altre città, con soli 8,5 euro pro capite in più.

Questi risultati, che di per sé potrebbero sembrare positivi, sono da leggere considerando le criticità esposte in precedenza sul modo in cui viene calcolato il fabbisogno standard per i comuni.

I Lep sono necessari per definire i reali fabbisogni dei comuni.

Abbiamo elaborato una proiezione di come la redistribuzione dei finanziamenti funzionerebbe con un eventuale effetto dei livelli essenziali di prestazione. Per farlo, abbiamo ricalcolato i fabbisogni standard per ogni comune, considerando il fabbisogno medio di comuni simili per numero di abitanti e moltiplicandolo per la popolazione totale dell'ente considerato.

I risultati mostrano quale sarebbe il saldo effettivo tra capacità fiscale e Fsc rispetto ai fabbisogni, se il fabbisogno standard venisse calcolato in base a un potenziale effetto dei Lep.

Abbiamo sommato il dato relativo alla quota che un comune dà o riceve dal Fsc e la propria capacità fiscale. A quel punto, abbiamo sottratto dall’insieme di risorse il fabbisogno standard, calcolato in base al fabbisogno medio di comuni simili per popolazione. Il calcolo è stato effettuato sui comuni delle regioni a statuto ordinario con più di 250.000 abitanti.

FONTE: elaborazione openpolis
(ultimo aggiornamento: martedì 29 Ottobre 2019)

Tutti i comuni considerati perdono risorse con l'attuale sistema di redistribuzione, rispetto a quanto succederebbe se i fabbisogni standard venissero calcolati in base al fabbisogno medio di comuni con popolazione simile. In questo contesto, ci sono enti che pagano più di altri il prezzo di questa ripartizione. Tra le città più popolose, Verona, Napoli e Bari risultano le più svantaggiate, mentre Milano, Bologna e Firenze subiscono in modo minore.

Analizzando i dati per tutti i comuni con più di 60.000 abitanti, i comuni che perdono le cifre maggiori con l'attuale metodo di ripartizione risultano essere quelli del sud Italia.

I dati mostrano le risorse che mancherebbero o avanzerebbero ai comuni per coprire i propri fabbisogni standard, se questi venissero calcolati in base al fabbisogno medio di comuni simili per popolazione, considerato un potenziale effetto dei Lep.

FONTE: elaborazione openpolis
(ultimo aggiornamento: lunedì 4 Novembre 2019)

È evidente che se i fabbisogni venissero calcolati con maggiore attinenza rispetto al fabbisogno reale di servizi dei territori, le risorse attualmente a disposizione sarebbero insufficienti. Non stupisce quindi che il metodo di ridistribuzione delle risorse tra i comuni, a oggi non ha effetti sulla riduzione del divario tra il sud e il resto del paese.

È necessario un fondo di origine statale.

È necessario innanzitutto stabilire i livelli essenziali di prestazione con cui i comuni devono offrire determinati servizi ai propri cittadini. Inoltre, per colmare il vuoto di risorse nei territori svantaggiati, attingere a un fondo finanziato dagli stessi enti locali non è sufficiente. Dovrebbe essere lo stato, a questo punto, a mettere a disposizione un fondo nazionale esterno alle casse dei comuni, per colmare il vuoto necessario a coprire il fabbisogno in tutto il territorio. In questo modo verrebbe garantita alla totalità dei comuni la possibilità di svolgere le proprie funzioni fondamentali e fornire dei servizi essenziali ai cittadini, a un livello base di qualità.

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