L’abitabilità di una casa è una questione complessa e pluridimensionale. Da una parte, come abbiamo raccontato nel primo approfondimento su questo tema, ha innanzitutto a che vedere con gli spazi.

Un altro indicatore importante è la disponibilità di alcuni beni energetici considerati fondamentali per il nostro benessere e per la nostra salute – in primis il riscaldamento.

Cos’è la povertà energetica

Quando un nucleo familiare non riesce a permettersi beni energetici fondamentali come quelli necessari a riscaldare la propria abitazione – si parla di povertà energetica.

Per “povertà energetica” s’intende la condizione delle famiglie che non sono in grado di accedere ai servizi energetici essenziali. Considerato che nel 2018 quasi 34 milioni di europei non hanno potuto permettersi di riscaldare adeguatamente le loro abitazioni, la povertà energetica rappresenta per l’Ue una grande sfida.

Si tratta di un fenomeno che solo in Italia, secondo l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea) in base alle rilevazioni dell’osservatorio italiano per la povertà energetica (Oipe), colpisce circa 2,3 milioni di famiglie.

8,8% le famiglie italiane in condizioni di povertà energetica, secondo le stime Enea (2021).

Come sottolinea la raccomandazione Ue, un elevato tasso di povertà energetica può avere una serie di conseguenze più o meno dirette, in quanto causa un calo del benessere e un peggioramento dei bilanci familiari ma anche, nel lungo termine, un aumento della spesa sanitaria.

L’energia è un bene meritorio.

L’Oipe definisce infatti l’energia un bene meritorio, ovvero un bene meritevole di tutela pubblica perché fondamentale per soddisfare bisogni essenziali della collettività, a prescindere quindi delle possibilità finanziarie del consumatore.

La povertà energetica è un fenomeno complesso, originato da diversi fattori. In primo luogo, chiaramente, c’è il reddito della persona e tutte le dimensioni ad esso connesse quali la disoccupazione, l’inattività o la bassa frequenza lavorativa. D’altra parte però anche il prezzo dei beni energetici ha un’influenza significativa.

La deprivazione materiale nelle abitazioni degli europei

Ci sono diversi indicatori con cui Eurostat misura la deprivazione materiale all’interno delle case. Rileva ad esempio problemi strutturali di umidità, caratterizzati dalla presenza di perdite e muffe, o l’assenza di servizi sanitari all’interno dell’abitazione. Alcuni indicatori riguardano invece specificamente l’adeguatezza da un punto di vista energetico. Ad esempio una illuminazione sufficiente, oppure la capacità di mantenere la struttura riscaldata.

Nell’Unione europea sono ancora molti i cittadini che soffrono queste limitazioni e che vivono conseguentemente in condizioni di povertà energetica.

7,4% dei cittadini dell’Ue non riesce a tenere la propria abitazione adeguatamente riscaldata (2020).

Rispetto al 2019, quando questa cifra si attestava al 6,9%, c’è stato un leggero aumento, probabilmente in parte dovuto alla crisi causata dalla pandemia da Covid-19. Un’inversione di tendenza rispetto agli anni precedenti, in cui questo dato stava registrando un lieve ma graduale calo (nel 2014 era pari al 10,4%, 3 punti percentuali in più rispetto al 2020).

Sotto questo aspetto la situazione risulta comunque fortemente diversificata da paese a paese, con alcune nazioni come la Bulgaria, la Lettonia e Cipro in cui questo dato supera il 20% e altri come Finlandia e Austria in cui invece si attesta al di sotto del 2%.

I dati sono basati sul sondaggio Eu-Silc (statistics on income and living conditions) di Eurostat relativo al 2020, condotto su 130mila nuclei familiari e 270mila cittadini di paesi Ue, di età superiore ai 16 anni.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Eurostat
(ultimo aggiornamento: lunedì 30 Maggio 2022)

La Bulgaria è il primo stato Ue da questo punto di vista, con il 27,5% dei cittadini che dichiara di avere difficoltà a pagarsi il riscaldamento. Seguono la Lettonia, con il 23,1%, e Cipro (20,9%).

Le cifre risultano invece minime nell'Europa settentrionale, occidentale e centrale - soprattutto in Austria (1,5%) e in Finlandia (1,8%). L'Italia, con una quota pari all'8,3%, si posiziona al di sopra della media Ue (7,4%) a seguito di un notevole miglioramento. Basti pensare che nel 2014 la quota raggiungeva il 18%, e che nel 2019 risultava ancora elevata, anche se già in riduzione (11,1%).

I costi dell'energia e come gravano sui cittadini europei

Un altro elemento importante per analizzare il fenomeno della povertà energetica, come accennato, è il prezzo dell'energia. Negli ultimi anni, come abbiamo raccontato in recenti approfondimenti, i costi energetici - in particolare di gas ed elettricità - sono aumentati notevolmente in Italia ma anche nel resto d'Europa.

Anche in questo caso la situazione all'interno del continente risulta eterogenea. I prezzi più elevati li registrano Irlanda, Danimarca e Lussemburgo, mentre quelli più bassi li riportano Bulgaria e Polonia.

I dati sono riferiti all’indice del livello dei prezzi per le spese domestiche, ovvero acqua, elettricità, gas e altri carburanti. Questo indice è stato costruito imponendo a 100 il valore registrato nel 2020 dai 27 paesi che componevano l’Unione europea in aggregato.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Eurostat
(ultimo aggiornamento: lunedì 30 Maggio 2022)

In Irlanda, in particolare, l'indice di prezzo è pari a 184,4 (a fronte di un valore di riferimento pari a 100). Un divario molto ampio con la Bulgaria, che invece registra un indice pari a 34,9.

Ma per valutare i divari dei costi energetici è necessario confrontare i paesi Ue anche in base alle entrate economiche dei cittadini, oltre che al loro potere d’acquisto.

La dimensione dei redditi infatti si lega in modo particolare alla cosiddetta “vulnerabilità energetica”. Una condizione meno grave ma comunque di difficoltà, in cui un nucleo familiare può permettersi la fornitura di energia necessaria, ma solo gravando pesantemente sul proprio reddito disponibile. Per misurare questa dimensione, si possono analizzare i dati relativi al peso delle spese domestiche.

[con vulnerabilità energetica si intende] la condizione per cui l’accesso ai servizi energetici implica una distrazione di risorse (in termini di spesa o di reddito) superiore a quanto socialmente desiderabile.

Nel 2020 in Ue era la Grecia lo stato in cui le spese domestiche incidevano maggiormente sul reddito.

37% del reddito familiare, in Grecia, è impiegato per le spese domestiche (2020).

Un valore che aumenta ulteriormente se poi isoliamo le persone a rischio povertà, ovvero, secondo i criteri Eurostat, coloro che percepiscono un reddito inferiore al 60% di quello mediano.

È indicata la quota del reddito familiare disponibile (ovvero l’insieme del reddito percepito dai singoli membri e, eventualmente, dal nucleo nel suo complesso) che viene utilizzata per spese domestiche. Queste ultime includono i costi dell’acqua e delle acque reflue, i costi energetici e di riscaldamento, le spese per la manutenzione dell’abitazione/edificio, gli interessi ipotecari (per i proprietari), i premi assicurativi (per i proprietari; per gli inquilini solo se pagano i premi) e altre spese abitative.

FONTE: elaborazione openpolis su dati Eurostat
(ultimo aggiornamento: martedì 31 Maggio 2022)

La Grecia è anche sotto questo aspetto prima in Ue. Mediamente, per una famiglia con un reddito basso, le spese domestiche ne coprono quasi il 64%. Quasi 50 punti percentuali in più rispetto a Malta, dove questa cifra si attesta al 17%.

Per quanto riguarda i divari tra nuclei familiari ad alto e a baso reddito, è la Germania a presentare la disparità più ampia. Se i primi infatti spendono per la casa il 23,8% del proprio reddito, la quota sale a oltre la metà per i secondi (58,5%). Al contrario, sono Malta e Cipro a registrare gli scarti più contenuti.

32,2% la quota di reddito che le famiglie a rischio povertà spendono per la casa, in Italia (2020).

 

Foto: Julia Taubitz - licenza

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