A che punto è l’Italia con lo smaltimento dei rifiuti nucleari Ambiente

Il 5 gennaio 2021 è stato pubblicato il documento ufficiale delle aree idonee ad accogliere il deposito nazionale di rifiuti nucleari. Un’iniziativa in linea con i trattati internazionali ma che ha sollevato critiche da parte delle regioni coinvolte.

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A che punto è l’Italia con lo smaltimento dei rifiuti radioattivi?

Il 5 gennaio 2021 Sogin, l’azienda pubblica italiana che ha il compito di smantellare le centrali e di mettere in sicurezza le scorie nucleari, ha pubblicato la carta nazionale delle aree potenzialmente idonee al deposito dei rifiuti nucleari (Cnapi).

Un documento che riporta il tema nel dibattito pubblico a dieci anni di distanza dall’ultimo referendum sul nucleare del 2011, quando la maggioranza dei cittadini votò per non riattivare le centrali. Un risultato che confermava quello del primo referendum sul tema, nel 1987. In quella occasione, anche in seguito al drammatico incidente di Chernobyl, gli italiani votarono per l’abrogazione di alcune norme sul nucleare. Successivamente lo stato chiuse le centrali, attive nel paese dal 1962, segnando così la fine della produzione di energia nucleare in Italia.

In Italia ci sono ancora grandi quantità di rifiuti radioattivi da smaltire.

Nonostante siano passati più di trent’anni, la questione dell’eliminazione delle scorie nucleari è ancora aperta. E se una piccola quantità di questi rifiuti è destinata ad essere smaltita all’estero, la maggior parte rimarrà in Italia.

Le aree individuate da Sogin come potenzialmente idonee per essere deposito di queste scorie sono 67 e si distribuiscono tra Piemonte, Toscana, Lazio, Basilicata, Puglia e Sardegna. Da progetto inoltre, insieme al deposito nazionale verrà realizzato il parco tecnologico. Un centro di ricerca e di formazione nel campo dello smantellamento nucleare, della gestione dei rifiuti radioattivi e della salvaguardia ambientale.

La pubblicazione della Cnapi ha sollevato critiche da parte dei territori coinvolti, che segnalano come la presenza di questi depositi costituirebbe un pericolo per la biodiversità e un danno in termini paesaggistici. Dall’altra parte però c’è in gioco anche la normativa europea, che richiede all’Italia l’attivazione di queste aree per non incorrere in ulteriori sanzioni, rispetto a quelle già ricevute per il ritardo nell’adempimento di tale programma.

La regolamentazione europea e gli inadempimenti italiani sul nucleare

Come abbiamo anticipato, alla fine degli anni ’80 l’Italia aveva spento tutti e quattro i reattori nucleari sul suolo nazionale. Per avviare le operazioni di smantellamento il nostro paese firmò già nel 1997, insieme ad altri 41 stati nel mondo, la convenzione comune sulla sicurezza della gestione del combustibile esaurito e sulla sicurezza della gestione delle scorie radioattive. Entrata in vigore nel 2001, è il primo strumento legale a focalizzarsi sulla sicurezza della gestione dei residui radioattivi su scala globale.

In seguito, anche a livello europeo si è stabilita una strategia comune sul tema, attraverso la direttiva Euratom del 2011. Un quadro comunitario per la gestione responsabile e sicura del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi.

L’Italia non ha rispettato i tempi previsti dalla direttiva Euratom.

La direttiva, da recepire entro il 2013, invitava i paesi membri a pianificare dei programmi nazionali per lo smaltimento e a notificarli alla commissione europea entro il 23 agosto 2015. Tuttavia, il nostro paese non ha recepito le disposizioni europee entro il 2013 e non ha inviato il programma entro il 2015, causando così l’apertura di procedure di infrazione da parte dell’Ue. In seguito nel 2018 è stato inviato il programma nazionale, ma per via di alcune incompletezze la commissione ha aperto un’altra procedura sul tema nel 2019.

Le procedure d’infrazione vengono avviate quando gli stati membri dell’Ue non rispettano il diritto comunitario. Dal 2012 sono costate all’Italia circa 78 milioni di euro all’anno. Vai a "Cosa sono le procedure d’infrazione"

Solo a 10 anni dalla direttiva Euratom Sogin ha potuto pubblicare, previa approvazione del governo, la carta nazionale delle aree potenzialmente idonee (Cnapi), completando così il quadro strategico per lo smaltimento dei rifiuti nucleari in Italia. Un piano che però ora deve essere messo in atto, per non incorrere in nuove procedure di infrazione.

Dove si trovano i rifiuti nucleari e quanti sono

Per fare chiarezza sul tema, è innanzitutto importante capire dove si trovano questi rifiuti e quanti sono.

Come abbiamo detto in precedenza, le quattro centrali nucleari smantellate ospitano ancora grandi quantità di scorie da smaltire. Ma tali depositi sono individuabili anche in altre strutture. Tra queste, centri di ricerca, impianti di fabbricazione del combustibile nucleare e strutture di servizio integrato.

Oltre alle ex centrali nucleari, altre strutture ospitano rifiuti radioattivi. I centri di ricerca, che svolgono attività nel campo dello sviluppo di nuove tecnologie e metodologie per il settore nucleare. I servizi integrati, che svolgono un’azione di indirizzo, coordinamento, supervisione e pianificazione delle attività di smaltimento, stabilendo la tipologia dei rifiuti e la loro modalità di confezionamento e trasporto. E le zone di fabbricazione del combustibile nucleare, cioè i siti in cui l’uranio arricchito veniva convertito nelle barre che alimentavano i reattori.

FONTE: elaborazione openpolis dati di deposito nazionale
(ultimo aggiornamento: martedì 5 Gennaio 2021)

Come emerge in modo chiaro dalla mappa, le aree nucleari in Italia si concentrano particolarmente tra Piemonte e Lombardia e in corrispondenza del comune di Roma. La prima regione ospita infatti nella provincia di Alessandria un impianto di fabbricazione del combustibile nucleare e un servizio integrato. Mentre nella zona di Vercelli è situata, insieme a due centri di ricerca e a un altro servizio integrato, una delle 4 ex centrali nucleari, quella del comune di Trino. Le altre tre si trovano a Caorso, in provincia di Piacenza, a Sessa Aurunca, un comune del casertese e a Latina. Sempre nel Lazio, in particolare nel suo capoluogo, sono situati due centri di ricerca, un servizio integrato e un impianto di fabbricazione del combustibile nucleare.

Queste strutture non solo hanno al proprio interno rifiuti radioattivi pregressi da smaltire, ma continueranno a produrne anche in futuro. Un elemento di cui tenere conto nella messa in funzione del deposito nazionale. Un altro aspetto rilevante è che tali rifiuti non sono tutti uguali, ma variano in base alla loro radioattività, che può essere molto bassa, bassa, media o alta, secondo la classificazione dell'ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (Isin).

Nel deposito nucleare oltre ai rifiuti che sono stati prodotti dalle centrali nucleari italiane e dalle attività di smantellamento sia delle centrali che dei siti di fabbricazione del combustibile nucleare, vi sono anche i rifiuti derivanti da attività di ricerca e dalle aree di servizio integrato.

FONTE: elaborazione openpolis dati di deposito nazionale
(ultimo aggiornamento: martedì 5 Gennaio 2021)

In Italia, la maggior parte dei rifiuti nucleari da eliminare ha una radioattività molto bassa, la tipologia più facile e rapida da smaltire. Sono 37.726 m³, di cui oltre 13mila pregressi e più di 24mila futuri. Man mano che aumenta il livello di radioattività e quindi la complessità delle strutture e le tempistiche per lo smaltimento, la quantità di scorie diminuisce. Fino ad arrivare ai rifiuti con attività alta che, oltre a costituire una quantità minima (48 m³) sono tutti pregressi.

91.043 m³  totale complessivo di rifiuti radioattivi italiani da smaltire.

 

Le aree individuate dalla Cnapi

Degli oltre 91mila metri cubi di rifiuti, una parte è destinata a essere trattata e smaltita in altri paesi, tra cui Francia e Regno Unito, come già avvenuto in precedenza. Tuttavia, la maggior parte delle scorie sarà smaltita in Italia, dove Sogin ha individuato 67 aree potenzialmente idonee tra le regioni Lazio, Sardegna, Basilicata, Piemonte, Puglia, Sicilia e Toscana.

Le aree individuate da Sogin sono il risultato della selezione secondo 28 criteri, di cui 15 sono criteri di esclusione e i restanti 13 sono criteri di approfondimento.

FONTE: elaborazione openpolis dati di deposito nazionale
(ultimo aggiornamento: martedì 5 Gennaio 2021)

I siti individuati da Sogin si concentrano prevalentemente nel Lazio (22), in particolare nel viterbese. Segue poi la Sardegna, con 14 aree tra le province di Oristano e Sud Sardegna e la Basilicata con 12 località tra le zone di Potenza e Matera. Da notare anche gli 8 siti localizzati tra Alessandria e Torino, in Piemonte, che come abbiamo visto prima è una delle regioni più interessate dalla presenza di rifiuti nucleari.

I criteri che hanno stabilito questa scelta sono 28. Di questi, 15 sono di esclusione e i restanti 13 sono di approfondimento. I primi servono ad escludere le aree con situazioni specifiche legate al territorio. Come ad esempio le zone vulcaniche attive o quiescenti, quelle contrassegnate da sismicità elevata, o caratterizzate dalla presenza di importanti risorse del sottosuolo. Nel secondo gruppo di criteri vengono poi incluse ulteriori analisi territoriali, quali la presenza di manifestazioni vulcaniche secondarie o presenza di habitat e specie animali e vegetali di rilievo conservazionistico.

Le critiche delle regioni

Dalla pubblicazione della Cnapi da parte di Sogin, le regioni coinvolte hanno a disposizione 60 giorni per formulare osservazioni e proposte tecniche in forma scritta. Osservazioni che non hanno tardato ad arrivare, viste le critiche avanzate dai loro presidenti durante la conferenza delle regioni e delle province autonome dell'8 gennaio 2021. Nella nota viene infatti sottolineato come la costruzione di tali impianti danneggerebbe il panorama paesaggistico e si evidenzia una mancanza di comunicazione tra stato e regioni, nella gestione di questo processo.

Trovo assurdo che una scelta di questa portata sia stata assunta senza un minimo confronto con la Regione e i sindaci dei territori. È inaccettabile che da Roma piovano di notte sulla testa dei cittadini piemontesi decisioni così importanti e delicate che riguardano le nostre vite.

Tuttavia, rimane aperta la questione legata alla direttiva europea e agli impegni internazionali a cui il nostro paese deve adempiere. Per evitare ulteriori infrazioni è auspicabile dunque che il governo, le regioni, Sogin e gli altri soggetti coinvolti giungano a un punto di incontro. Un accordo che permetta di avviare concretamente la realizzazione del deposito nazionale di rifiuti nucleari, rispettando comunque i beni ambientali e paesaggistici dei territori interessati.

 

Foto credit: Unsplash - Johannes Plenio - Licenza

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