Sullo spopolamento dell’Abruzzo interno servono politiche urgenti Abruzzo Openpolis

Negli ultimi decenni la popolazione delle aree interne abruzzesi è crollata. Un’inversione di tendenza è possibile, ma occorrono politiche pubbliche efficaci. Ne abbiamo parlato con chi studia le aree interne in ambito accademico.

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Negli ultimi decenni l’Abruzzo ha visto un forte spopolamento delle sue aree interne. Un fenomeno di portata nazionale, ma che presenta alcune peculiarità, che è necessario da comprendere per poter studiare, pianificare e realizzare politiche pubbliche adeguate.

Nonostante in regione viva più o meno lo stesso numero di persone di 70 anni fa, al proprio interno l’Abruzzo è differenziato. Abbiamo parlato di spopolamento con alcuni ricercatori e ricercatrici che si occupano proprio delle aree interne abruzzesi. Per provare a capire le ragioni profonde del fenomeno e immaginare soluzioni praticabili.

Gli abruzzesi e una stabilità solo apparente

L‘Abruzzo ha oggi grosso modo la stessa popolazione del 1951: 1,28 milioni di persone. Ma si tratta di una stabilità solo apparente.

In primo luogo perché il numero di abitanti è cambiato nel corso dei decenni. È passato, infatti, da 1,28 milioni del dopoguerra a 1,17 milioni agli inizi degli anni ’70, con una diminuzione di quasi il 9% in appena un ventennio caratterizzato dal boom economico, la crescita dell’industrializzazione e l’abbandono dell’agricoltura.

Negli anni successivi si è registrato invece il trend opposto. I residenti sono tornati sopra la soglia di 1,2 milioni nel 1981, raggiungendo quasi 1,25 milioni nel 1991 e arrivando a 1,3 milioni nel 2011. Nell’ultimo decennio, la tendenza ha nuovamente cambiato segno. Nel 2020 i residenti nella regione sono tornati 1,28 milioni, con un aumento dello 0,3% rispetto a 70 anni prima. Si tratta di una percentuale molto inferiore al dato nazionale (+24,6% nello stesso periodo).

Ancora più interessante dettagliare queste tendenze nei territori abruzzesi. Dal 1951 al 2020 la provincia di Pescara ha visto un aumento dei residenti del 30,9%, quella di Teramo del 10,7%. Al contrario, le province di L’Aquila e Chieti hanno registrato un calo rispettivamente del 20% e del 6,2%.

FONTE: elaborazione Abruzzo Openpolis su dati Istat
(consultati: lunedì 16 Gennaio 2023)

Lo spopolamento comune per comune

Sono soprattutto le aree montane e interne della regione ad aver visto una maggiore contrazione degli abitanti.

Nei comuni periferici e ultraperiferici della regione la popolazione è diminuita del 31,4% dal 1951. Un calo ben superiore a quanto registrato a livello nazionale per i territori con le stesse caratteristiche (-20% nello stesso periodo).

I comuni periferici e ultraperiferici sono quelli distanti rispettivamente 40 e 75 minuti dal polo più vicino. Vai a “Che cosa sono le aree interne”

Appartengono alle aree interne tutti i comuni dove lo spopolamento è stato più vistoso. Villa Santa Lucia degli Abruzzi (in foto) è passata da 1.251 residenti nel 1951 a 92 nel 2020, con un calo del 92,6%. Il paese si trova in provincia dell’Aquila, ai piedi della parete sud del Gran Sasso, e conta anche una frazione, oltre che il centro principale.

Negli anni l’isolamento è stato così evidente, tanto che nel gennaio 2020 l’amministrazione comunale stanziò 25mila euro a fondo perduto per chi avesse aperto un bar, luogo che in paesi così piccoli svolge una fondamentale funzione di socialità. Poche settimane dopo l’apertura del bando, però, è scoppiata la pandemia.

Quello di Villa Santa Lucia non è l’unico caso di spopolamento nelle aree interne abruzzese. Altri 32 comuni – tutti periferici o ultraperiferici – hanno registrato cali superiori all’80%.

FONTE: elaborazione Abruzzo Openpolis su dati Istat
(consultati: lunedì 16 Gennaio 2023)

Complessivamente le aree più periferiche hanno perso nel periodo quasi 100mila abitanti dal 1951 e 2020, di cui 11mila nell’ultimo decennio.

97.231 gli abitanti persi nei comuni periferici e ultraperiferici abruzzesi tra il 1951 e il 2020.

Com’è evidente anche nella mappa, tuttavia lo spopolamento non è generalizzato. Infatti, molte città della costa adriatica hanno visto un’espansione importante negli ultimi decenni.

Su tutte Montesilvano (Pescara), passata dai circa 7mila abitanti del 1951 agli oltre 50mila attuali (+622,13%). Una crescita rilevabile anche nell’ultimo decennio (+5,8% dal 2011), così come per altri comuni – tutti sul mare o vicini alla costa – cresciuti di oltre il 200% negli ultimi 70 anni: San Salvo, Alba Adriatica, San Giovanni Teatino e Martinsicuro.

7 volte l’incremento della popolazione di Montesilvano dal 1951 a oggi.

I comuni polo, centrali in termini di servizi, hanno visto la propria popolazione aumentare del 47,2% dal 1951 a oggi. Una tendenza superiore a quella registrata a livello nazionale (+29,5%) e a cui non fanno eccezione neanche i capoluoghi di province in via di spopolamento. L’Aquila, infatti, ha aumentato i suoi abitanti del 26,9% rispetto al 1951, Chieti di oltre il 20%. Ancora più evidenti le crescite di Pescara (81,4%), Avezzano (61,4%) e Teramo (35,8%).

Differenziazione interna e intermunicipalità

Come invertire la tendenza allo spopolamento dei territori più tradizionalmente rurali e periferici? Le possibili soluzioni sono molteplici e complesse come il problema. L’unica certezza è la necessità e l’urgenza di politiche pubbliche decise e coraggiose.

35,9% degli abruzzesi abita in comuni delle aree interne (in Italia è il 22,7%).

Ne abbiamo parlato con Alessandra Faggian, Giulia Urso e Fabiano Compagnucci, ricercatori del Gran Sasso Science Institute, una scuola di dottorato internazionale fondata all’Aquila nel 2013.

Compagnucci, Urso e Faggian al Gssi

Oggi all’interno dell’istituto è presente tra gli altri un dipartimento di scienze regionali e geografia economica, all’interno del quale vengono studiate anche le aree interne italiane e il fenomeno dello spopolamento.

Occorre innanzitutto differenziare le dinamiche anche interne delle aree periferiche: “Anche all’interno di queste aree ci sono meccanismi relazionali e processi socio-economici disomogenei persino dentro lo stesso territorio comunale, tra il centro del paese, le frazioni e le case sparse”, dice Compagnucci, co-autore di un articolo sull’organizzazione territoriale delle aree periferiche abruzzesi, pubblicato lo scorso luglio.

Anche se è un fenomeno meno conosciuto, è interessante rilevare come alcuni centri dei comuni interni e montani abbiano mantenuto le loro strutture sociali e in certi casi anche economiche, rispetto alle frazioni e alle case sparse degli stessi territori.

Alcuni centri dei comuni periferici hanno mantenuto strutture socio-economiche, a differenza delle loro frazioni e case sparse.

“Anche all’interno delle aree periferiche vi sono comuni che svolgono il ruolo di centri – ribadisce il ricercatore del Gssi – nonostante una scala inferiore rispetto ai principali centri regionali, questi comuni riescono comunque a organizzare il territorio circostante, fornendo alcuni tipi di servizi pubblici e privati o opportunità occupazionali a scala sovralocale. Questi insiemi di comuni dovrebbero costituire l’unità spaziale su cui calibrare le politiche di coesione“. 

E qui si arriva al punto: l’importanza dell’intermunicipalità, ossia della costruzione organica di pianificazione delle politiche e di relazioni tra comuni periferici, ma anche tra le stesse aree interne e le zone più urbane. In questi anni, infatti, è emersa l’importanza strategica di un dialogo tra questi due mondi, al fine di disegnare una visione di futuro. Come evidenzia Giulia Urso ai nostri microfoni, “si tratta di un passaggio evolutivo fondamentale, perché è difficile pensare a un’indipendenza delle aree interne”.

L’Aquila non può essere certo considerata come Roma o Milano, ma può rappresentare una città intermedia importante per le aree interne limitrofe. Il ruolo delle città intermedie è fondamentale.

Da questi concetti si può partire per la pianificazione di politiche pubbliche funzionali per la lotta allo spopolamento. Da un radicale rafforzamento dei servizi essenziali per la popolazione, allo sviluppo turistico o produttivo, fino alle politiche per la genitorialità e per una maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro.

Tutti ambiti del tessuto sociale nelle aree interne in via di spopolamento, che continueremo a indagare su Abruzzo Openpolis nel corso delle prossime settimane.

Lo studio delle aree interne appenniniche

A dirigere l’area di Social sciences del Gssi è proprio la professoressa Alessandra Faggian: “Per 5 anni siamo stati l’unico ateneo italiano a collaborare con il comitato tecnico per le aree interne dell’agenzia per la coesione. Valutavamo la coerenza tra le strategie pubbliche e le caratteristiche dei territori coinvolti da tali strategie”.

Lo scorso anno il gruppo di lavoro ha pubblicato “Distanti ma vibranti. La capacità dei luoghi di adattarsi alla perifericità“, focalizzando l’attenzione sui territori definiti “vibranti”, cioè capaci di mantenere “inaspettatamente una traiettoria positiva di incremento demografico”, dal 1971 al 2011.

L’attività accademica può essere di sostegno alle politiche pubbliche e quindi alla lotta allo spopolamento delle aree periferiche italiane. Accade anche nel caso dell’ateneo aquilano, che ha attivato la sperimentazione del dottorato comunale, ossia una borsa di dottorato che si svolge sul territorio, in particolare nella Valle Subequana, una valle periferica in provincia dell’Aquila. O come succede nella collaborazione dell’istituto con l’associazione Riabitare l’Italia e nell’imminente partenza del progetto “Hub di montagna“, uno sportello alla neo-residenzialità, che sarà ospitato sempre nei territori periferici e montani dell’aquilano.

Come seguire Abruzzo Openpolis

Scarica i dati, comune per comune

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Foto: Villa Santa Lucia degli Abruzzi – Ilaria Rosa

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