La denominazione dei ministri e le loro competenze

A ministri con e senza portafoglio sono attribuite denominazioni che dovrebbero indicare le loro competenze. Tuttavia queste diciture ufficiali hanno un carattere comunicativo più che sostanziale.

Definizioni

Nell’ordinamento italiano i ministri sono titolari di due importanti ma distinte funzioni. Da un lato infatti sono responsabili collegialmente degli atti adottati dal consiglio dei ministri, di cui fanno parte assieme al presidente del consiglio.

Dall’altro sono responsabili individualmente degli atti emanati dai ministeri a cui sono preposti.

I ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri, e individualmente degli atti dei loro dicasteri.

Non a tutti i ministri però è attribuito un dicastero. Come previsto dall’articolo 9 della legge 400/1988 ad alcuni ministri possono essere delegate funzioni proprie del presidente del consiglio.

Nel caso in cui a un ministro sia attribuito un dicastero, questi ne diventa il vertice politico. Di conseguenza assume da un lato il potere d’indirizzo e dall’altro la responsabilità politica delle decisioni.

I ministeri sono le ripartizioni fondamentali dell’amministrazione centrale dello stato. Vai a “Come sono organizzati i ministeri”

Per questa ragione le sue competenze specifiche derivano dalle funzioni che la legge attribuisce a quello stesso ministero. Il decreto legislativo 300/1999 infatti definisce il numero complessivo dei ministeri (attualmente 15 – articolo 1 comma 4 bis), la loro denominazione ufficiale (articolo 1 comma 1) e le loro attribuzioni principali (titolo IV), anche se in alcuni casi queste possono essere indicate in leggi differenti.

Funzioni e responsabilità dei ministri senza portafoglio sono ricavabili invece dalla legge 400/1988 (art. 9) che esplicita come, dopo la nomina da parte del capo dello stato, sia il presidente del consiglio a delegargli le funzioni.

A questo punto il presidente del consiglio emana prima un decreto con cui attribuisce gli incarichi ai ministri senza portafoglio e poi una serie di altri decreti attraverso i quali vengono definite le funzioni di ciascuno di questi.

Con il primo atto dunque viene sostanzialmente attribuito il titolo al ministro, come ad esempio “ministro per i rapporti con il parlamento” o “ministro per le politiche del mare e per il sud”. Con i secondi invece il capo del governo indica finalità, funzioni e compiti attribuiti al ministro, stabilendo che, per esercitarli, questi possa avvalersi di uno o più dipartimenti della presidenza del consiglio.

Il cambio di denominazione di un ministro non implica necessariamente una modifica delle sue competenze.

Sia nel caso dei ministri con portafoglio che senza, i nomi doverebbero idealmente indicare a cittadini e organi dello stato le loro funzioni. Tuttavia si tratta in questo caso di una dimensione a tutti gli effetti comunicativa più che sostanziale. Per cui il cambio di nome di un ministro o un ministero non implica necessariamente un cambio di funzioni e viceversa.

Dati

Come accennato, a partire dal 1999, il numero e la denominazione dei ministeri è stabilito da un’apposita legge. Questo tuttavia non toglie che, all’occorrenza, non possa essere emanato un nuovo provvedimento legislativo con il quale vengano modificate le denominazioni e/o le funzioni attribuite a ciascun ministero, decidendo magari di crearne di nuovi o accorparne di esistenti.

10 le modifiche all’elenco dei ministeri previsto dal Dlgs 300/1999, dalla sua entrata in vigore ad oggi.

FONTE: elaborazione openpolis su decreto legislativo 300/1999

Inizialmente il numero di dicasteri era pari a 12. Nei primi anni dopo l’approvazione della norma sono però aumentati fino ad arrivare a 18 nel 2006. Due anni dopo il loro numero è poi tornato al valore originale per poi risalire a 13 nel 2009. Da quel momento tuttavia questo valore è rimasto stabile per oltre 10 anni, tornando poi a crescere nel 2020 (14) e nel 2021 (15).

Ma se il numero di ministri con portafoglio è stabilito per legge, dovendo necessariamente corrispondere a quello dei ministeri, lo stesso non vale per i ministri senza portafoglio (Dlgs 300/1999 art. 4 bis), il cui numero e denominazione può variare senza particolari complicazioni all’insediamento di ogni nuovo esecutivo.

Analisi

Quello che è dunque da tenere presente è la grande differenza che esiste in un cambio di denominazione a seconda che questo abbia un valore meramente comunicativo, piuttosto che non preluda a un cambio di competenze se non addirittura la fusione o lo scorporamento di diversi dicasteri.

Il primo è ad esempio il caso del ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili, fino a marzo 2021 noto come ministero delle infrastrutture e dei trasporti. Non avendo modificato le competenze del dicastero, il cambio di nome ha rappresentato una mera operazione di comunicazione, o tutt’al più un auspicio di cambiamento nel suo indirizzo strategico.

Modificare l’organizzazione dei ministeri può richiedere molto tempo, rallentando inevitabilmente l’attività amministrativa.

Se invece il cambio di nome prelude a una riorganizzazione delle competenze tra diversi dicasteri, piuttosto che a un loro spacchettamento o una loro fusione, i passaggi necessari diventano ben più complessi e articolati. Affinché i cambiamenti entrino in funzione infatti sono di solito necessari diversi decreti attuativi. Talvolta alcuni di questi devono andare a modificare i regolamenti organizzativi dei dicasteri sopprimendo o istituendo nuovi dipartimenti o direzioni generali. Perché questi organismi entrino in funzione occorre poi che siano nominati i nuovi vertici e che entrino in vigore i decreti di ripartizione delle risorse. Nel caso della suddivisione del ministero dell’università e della ricerca voluto dal secondo governo Conte, ad esempio, sono stati necessari quasi 2 anni affinché il nuovo ministero dell’università entrasse pienamente in funzione.

Per questo sarebbe opportuno che tali decisioni venissero prese sulla base di pressanti esigenze di carattere amministrativo, e non solo per valutazioni di comunicazione politica.

Quanto ai ministri senza portafoglio vediamo per esempio il caso in cui un ministro presente in un esecutivo non venga nominato in quello successivo. In una situazione di questo tipo, almeno parte delle sue competenze potrebbero essere attribuite, in seguito, a uno o più sottosegretari. Oppure rimanere in capo al presidente del consiglio.

Allo stesso modo l’attribuzione di un nuovo nome a dei ministri senza portafoglio può avere un valore meramente comunicativo o implicare che gli saranno attribuite altre competenze di palazzo Chigi.

Nulla toglie però che questi cambiamenti nella squadra dei ministri senza portafoglio, non possano preludere anche a un cambio nella ripartizione di competenze tra presidenza del consiglio e ministeri. Cambiamenti che in questo caso richiederebbero lunghe procedure, del tutto simili a quelle già descritte.

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