Lo squilibrio demografico mina il rapporto tra generazioni #conibambini

Nei prossimi vent’anni l’indice di vecchiaia potrebbe crescere a sfavore di bambini e bambine. Una condizione che pone un’ipoteca sulla condizione sociale dei minori e sulla loro futura rilevanza nella definizione delle politiche pubbliche.

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Venti anni fa, nel 2005, una legge dello stato ha istituito il 2 ottobre come festa nazionale dei nonni. Una giornata introdotta per celebrare il ruolo svolto dagli anziani all’interno delle famiglie e della società.

In effetti, il ruolo delle persone anziane e dei nonni è diventato spesso cruciale in termini di contributo alla conciliazione della vita familiare. Questi infatti spesso suppliscono a carenze di lungo periodo del nostro welfare.

Ciò è particolarmente vero oggi, in un contesto dove stanno radicalmente cambiando gli equilibri tra generazioni, sia in termini demografici che economici. Abbiamo approfondito l’impatto della transizione demografica nel rapporto tra bambini e anziani, anche a livello territoriale. Il rischio da scongiurare è che in un paese con sempre meno minori, anche la loro condizione perda priorità nel dibattito pubblico e nelle politiche nazionali e locali.

Questo squilibrio demografico crescente inoltre solleva anche interrogativi sulla tenuta del sistema previdenziale, la cui sostenibilità nel lungo periodo rischia di essere compromessa, con conseguenze che riguardano l’intera società, se non verranno posti in essere interventi mirati.

La transizione demografica e lo squilibrio generazionale

Rispetto a 20 anni fa, la società è molto cambiata. È aumentata la consistenza demografica degli anziani sul totale della popolazione. Nel 2005 infatti in Italia vivevano 2,4 milioni di persone con più di ottant’anni di età, mentre oggi sono 4,1 milioni, grosso modo a parità di popolazione.

7% i residenti in Italia con oltre 80 anni di età nel 2025. Erano il 4,2% nel 2005.

Proiettando il dato nei prossimi vent’anni, in uno scenario di previsione mediano la quota di over 80 potrebbe superare il 10% nel 2045.

Si tratta dell’esito principalmente di due fenomeni. Il primo è il positivo allungamento delle prospettive di vita. Nel 2005 infatti la speranza di vita di una persona giunta ai 65 anni d’età era inferiore a 20 anni (19,3 anni di media), mentre il dato stimato per il 2024 indica una media di 21,2 anni. Il secondo fattore ha invece a che fare con il declino nel numero di nascite che abbiamo già avuto modo di raccontare.

La conseguenza è che il rapporto tra generazioni sta diventando e si prevede diventerà sempre più squilibrato. Nel 2005 vivevano in Italia circa 10 milioni di minori, pari al 17% della popolazione; tra questi 8,2 milioni di infra-quattordicenni. Le generazioni sopra i 65 anni rappresentavano circa un quinto della popolazione (19,5%), ovvero 11,3 milioni di persone.

I dati si riferiscono al 1° gennaio di ogni anno. Quelli relativi al 2025 sono ancora provvisori perché stimati. Per quanto riguarda quelli al 2045 invece si tratta di una stima basata su uno scenario di previsione mediano.

FONTE: elaborazione Openpolis – Con i Bambini su dati Istat
(consultati: venerdì 27 Giugno 2025)

Venti anni dopo, i dati ancora provvisori per il 2025 indicano in 14,5 milioni la popolazione ultra-sessantacinquenne (quasi 1 residente su 4). I minori sono invece meno di 9 milioni (14,9% dei residenti), di cui 7 milioni di under-14.

Il rapporto tra over-65 e under-14 (noto come indice di vecchiaia in demografia) ha quindi superato i 2 anziani per bambino. Nei prossimi anni è prevedibile che questo squilibrio aumenterà ulteriormente. Tra vent’anni, nel 2045, lo scenario di previsione mediano formulato da Istat indica che potrebbero vivere in Italia appena 6 milioni di under-14 a fronte di 19 milioni di persone con almeno 65 anni di età. Un rapporto di circa 3 a 1.

Il rapporto anziani-bambini, comune per comune

L’impatto di queste tendenze risulta molto diversificato sul territorio. In alcune aree del paese, ad esempio, il rapporto di 3 anziani per minore è già stato superato da anni.

Possiamo valutare quali zone sono le più soggette attraverso una ricostruzione dell’indice di vecchiaia a livello locale. Emerge che già nel 2022, a fronte di una media nazionale di 187,6 ultra-sessantacinquenni ogni 100 giovani sotto i 14 anni, una regione come la Liguria si stava avvicinando al fatidico rapporto di 3 a 1. Già in quell’anno erano infatti quasi 270 gli over-65 per 100 bambini residenti. Seguono Sardegna e Molise, con un indice di circa 240 nel 2022, Friuli-Venezia Giulia (231,8) e Umbria (222,8).

Uno sguardo alla mappa consente di vedere come sia soprattutto nelle aree interne e montane, tra l’Appennino e l’arco alpino, che il rapporto anziani giovani è maggiormente squilibrato. Tuttavia anche tra le città la situazione è molto differenziata.

L’indice di vecchiaia è calcolato come rapporto percentuale tra la popolazione di 65 anni e più e la popolazione di età 0-14 anni. In altri termini, misura il numero di anziani presenti nella popolazione ogni 100 giovani. Più è alto il valore, più quella popolazione è anziana.

FONTE: elaborazione Openpolis – Con i Bambini su dati Istat (statistiche sperimentali)
(pubblicati: giovedì 19 Giugno 2025)

I dieci capoluoghi con l’indice di vecchiaia più basso sono, in ordine crescente: Andria (134,9 anziani ogni 100 bambini sotto i 14 anni), Crotone (143,9), Barletta (151,7), Napoli (152,6), Reggio nell’Emilia (156,1), Palermo (159,1), Catania (161,7), Trani (162,1), Latina (164,8) e Prato (165,5). Questi dati evidenziano una maggiore presenza di giovani rispetto agli anziani in queste città, con Andria che si distingue per il valore più basso.

3 capoluoghi, tutti in Sardegna, dove il rapporto ha già superato i 3 anziani per minore.

Al lato opposto della classifica, tra i dieci capoluoghi con l’indice di vecchiaia più alto spiccano 3 città sarde, tutte con un rapporto superiore ai 3 anziani per minore già nel 2022. Si tratta di Carbonia (350,0), Cagliari (312,5) e Oristano (300,7). Seguono altri comuni dell’Italia centro-settentrionale, anch’essi caratterizzati da un rapporto di oltre 2,5 anziani per minore: Ascoli Piceno (285,2), Biella (285,2), Ferrara (278,3), Savona (265,9), Genova (264,7), Verbania (264,0) e Trieste (262,5).

Uno squilibrio da monitorare per l’impatto sui minori

Nei prossimi anni questa dinamica è destinata ad acuirsi, stante il calo delle nascite in corso. In parallelo, non va sottovalutato che dopo la crisi del 2008 è cresciuta la quota di minori che si trovano in povertà assoluta e si è invertita l’incidenza della povertà tra generazioni. Nel 2005 i più in difficoltà erano proprio gli anzianiGli effetti delle successive crisi economiche hanno invertito la situazione, colpendo in primis le famiglie lavoratrici, specialmente se giovani e in condizioni di lavoro precarie.

Nel 2023 quasi il 14% dei bambini e dei ragazzi si è trovato in povertà assoluta. Il rischio concreto è che una popolazione dove l’equilibrio tra giovani e anziani è saltato, perda di vista l’importanza dei minori. Perciò è fondamentale porre attenzione a questi aspetti e al loro sviluppo in chiave territoriale. Così da impostare politiche pubbliche nazionali e locali che tengano conto di questi scenari.

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I contenuti dell’Osservatorio povertà educativa #conibambini sono realizzati da openpolis con l’impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Mettiamo a disposizione in formato aperto i dati utilizzati nell’articolo. Li abbiamo raccolti e trattati così da poterli analizzare in relazione con altri dataset di fonte pubblica, con l’obiettivo di creare un’unica banca dati territoriale sui servizi. Possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione. I dati relativi all’indice di vecchiaia nei comuni italiani sono di fonte Istat (statistiche sperimentali).

Foto: Freepik (licenza)

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