Come stanno i bambini in un paese in progressivo invecchiamento #conibambini

Con l’allargamento dei divari generazionali nei livelli di povertà assoluta, i bambini in difficoltà economica sono aumentati negli ultimi decenni. Si è così rafforzato il ruolo dei nonni come vero e proprio welfare familiare, anche a causa della carenza di servizi.

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Il prossimo 2 ottobre si celebra la festa dei nonni. Si parla spesso dell’Italia come di un paese in progressivo invecchiamento. E in effetti, anche grazie all’allungamento delle prospettive di vita, il numero degli anziani nel nostro paese è notevolmente cresciuto rispetto al 2005, quando venne istituita la giornata nazionale con una legge dello stato.

+24% i residenti con almeno 65 anni tra 2005 e 2022.

A essere cambiato da allora però non è solo il loro numero, ma spesso di fatto anche la loro posizione all’interno di nuclei familiari che si sono man mano impoveriti. Soprattutto quelli con figli, dal momento che bambini e ragazzi sono diventati negli ultimi 15 anni la fascia di popolazione più spesso in povertà assoluta.

In questo quadro, il ruolo sociale dei nonni ha supplito a diverse necessità delle famiglie. Da quelle di conciliazione tra la vita lavorativa e quella domestica, in un paese dove – come abbiamo avuto modo di raccontare – l’offerta di asili nido resta ancora limitata, specialmente in alcune aree del paese. Fino a forme di vero e proprio welfare familiare, nel sostegno a figli e nipoti nei casi di difficoltà economica.

Approfondiamo questo ruolo alla luce delle differenze generazionali nella povertà assoluta. E ricostruiamo come la situazione di bambini e ragazzi sia cambiata nel tempo. Tanto dal punto di vista della condizione materiale, con l’aumento della povertà assoluta tra i minori. Quanto da quello della rilevanza sociale, dal momento che il loro numero rispetto agli anziani è calato drammaticamente.

Come gli anziani sono diventati di fatto parte del welfare del paese

In attesa di leggere le nuove statistiche sulla povertà, che saranno pubblicate da Istat nel prossimo mese, sappiamo infatti che negli ultimi vent’anni sono aumentati i divari generazionali. Specialmente dopo la grande recessione seguita alla crisi del 2008, e poi ancora dopo l’emergenza Covid.

Nel 2005 i più in difficoltà erano proprio gli anziani (4,5% in povertà assoluta). Gli effetti delle successive crisi economiche hanno invertito la situazione, colpendo in primis le famiglie lavoratrici, specialmente se giovani e in condizioni di lavoro precarie.

L’incidenza della povertà assoluta è rimasta così più stabile tra chi aveva un reddito fisso, come quello derivante da una pensione. Anche per questo motivo la quota di over 65 poveri nel 2021 (5,3%), pur in aumento, non è troppo lontana da quella di oltre 15 anni prima (4,5%). Non si può dire lo stesso della condizione della popolazione in età minorile.

14,2% i minori in povertà assoluta nel 2021. Un’incidenza oltre 3 volte superiore al 2005.

Tra bambini e ragazzi con meno di 18 anni si è passati da un’incidenza di povertà assoluta del 3,9% nel 2005 al 14,2% del 2021. Una quota di oltre 3 volte superiore, che testimonia le difficoltà vissute dai nuclei familiari giovani e con figli piccoli.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Istat
(ultimo aggiornamento: mercoledì 15 Giugno 2022)

Si sono così progressivamente allargate le distanze, in una dinamica che ha penalizzato soprattutto le giovani generazioni. Da alcuni anni in Italia più una persona è giovane, più è probabile che si trovi in povertà assoluta.

Il contributo dei “nonni” nella vita familiare ha spesso supplito alle carenze del welfare.

In un contesto simile, il ruolo dei nonni è stato spesso molto prezioso. Un contributo “sommerso” che i dati difficilmente riescono a cogliere, eppure ben noto nella vita quotidiana delle persone. Dal supporto nell’accudimento dei bambini, in molti casi essenziale per consentire ai genitori di lavorare, all’aiuto materiale, anche economico nelle situazioni di maggiore difficoltà.

Un ruolo di vero e proprio welfare familiare, che però ha messo anche in luce le criticità del sistema attuale, dove – nonostante gli sforzi degli ultimi anni in questa direzione – gli strumenti di supporto alla genitorialità e i servizi per l’infanzia risultano ancora troppo limitati. Aspetti su cui riflettere, alla luce del calo demografico e dell’invecchiamento della popolazione che caratterizzano il nostro paese da qualche decennio.

Il rapporto bambini-anziani in un paese in invecchiamento

Rispetto al 2005 il rapporto tra giovani e anziani nel paese non è mutato solo in termini economici, con i primi sempre più spesso in povertà e gli altri – pur nelle difficoltà – stabili sul livello degli anni 2000.

L’invecchiamento della popolazione ha cambiato nel tempo anche i rapporti numerici tra le generazioni. Le persone con almeno 65 anni di età erano il 19,5% della popolazione nel 2005. Oggi hanno quasi raggiunto il 24%, e si prevede che nel 2050 potrebbero arrivare al 38% dei residenti in Italia. Quasi il doppio del 2005.

A indicare con ancora più forza questa tendenza è l’indice di vecchiaia. Ovvero il numero anziani di almeno 65 anni ogni 100 giovani di età inferiore a 15 anni. Nel 2022 ha sfiorato il 188%. Un aumento di quasi 50 punti percentuali in meno di 20 anni: nel 2005 il rapporto era al 138%.

L’indice di vecchiaia è calcolato come rapporto percentuale tra la popolazione di 65 anni e più e la popolazione di età 0-14 anni. In altri termini, misura il numero di anziani presenti nella popolazione ogni 100 giovani. Più è alto il valore, più quella popolazione è anziana.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Istat
(consultati: giovedì 1 Giugno 2023)

Nei prossimi 20 anni, in base alle stime di Istat, si prevede un aumento di oltre 100 punti. Nel 2042 l’indice di vecchiaia potrebbe infatti essere pari al 293%.

Questi dati mettono in luce un fronte critico per l’Italia. Se non invertita o mitigata, la tendenza va nella direzione dell’invecchiamento della popolazione, nonché di un progressivo spopolamento. Con serie conseguenze per la tenuta sociale del paese.

Questa misura rappresenta il “debito demografico” nei confronti delle generazioni future, soprattutto in termini di previdenza, spesa sanitaria e assistenza. Gli individui in età 65 anni e oltre sono 14 milioni e 46 mila a inizio 2022, 3 milioni in più rispetto a venti anni or sono, e costituiscono il 23,8 per cento della popolazione totale; nel 2042 saranno quasi 19 milioni e rappresenteranno il 34 per cento della popolazione totale

Tendenze asimmetriche, perché colpiscono l’Italia in modo differenziato sul territorio. Attraverso i dati a livello locale, possiamo monitorare come questo debito demografico incida nelle diverse parti d’Italia, comune per comune.

L’invecchiamento della popolazione, comune per comune

Nell’anno dell’esplosione dell’emergenza Covid, il 2020, l’indice di vecchiaia era pari a 179,4. Ovvero quasi 180 persone di almeno 65 anni di età ogni 100 con meno di 15.

Tale rapporto risulta fortemente variabile sul territorio nazionale. Tra le regioni, l’indice di vecchiaia in Liguria ha raggiunto la quota di 262,43 e ha comunque superato i 200 in Molise, Friuli-Venezia Giulia, Sardegna, Piemonte, Umbria, Toscana, Marche e Basilicata. Ovvero più di 2 ultra-sessantacinquenni per ogni residente fino a 14 anni.

9 le regioni dove già nel 2020 c’erano 2 anziani per ogni minore tra 0 e 14 anni.

Mentre il rapporto più contenuto si registra in Campania (135,1), Trentino-Alto Adige (142,4) e Sicilia (159,45).

Del resto, anche a livello locale spiccano per un indice di vecchiaia molto inferiore alla media la città metropolitana di Napoli (121,8), la provincia di Caserta (122), la provincia autonoma di Bolzano (126,9) e la città metropolitana di Catania (140,3). Mentre i valori più alti, superiori a 270, si rilevano nelle province di Biella, Savona e Oristano.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Istat (statistiche sperimentali)
(pubblicati: venerdì 23 Dicembre 2022)

Approfondendo in chiave comunale, appare evidente dalla mappa come i territori collocati in aree montane e interne risentano di un rapporto tra anziani e giovani molto più elevato della media.

Tra i capoluoghi, Carbonia supera quota 300 (313,7). Poco distante il capoluogo regionale, Cagliari con 295,1, seguita da Ascoli Piceno (275,6) e Oristano (275,2).

Nel 2020, i valori più contenuti tra i capoluoghi si sono registrati nelle città di Andria (124,98), Crotone (132,04), Barletta (140,55), Napoli (144,40), Reggio Emilia (149,57), Trani (149,59) e Palermo (149,98). In questi 7 comuni l’indice di vecchiaia è risultato in quell’anno inferiore a quota 150.

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I contenuti dell’Osservatorio povertà educativa #conibambini sono realizzati da openpolis con l’impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Mettiamo a disposizione in formato aperto i dati utilizzati nell’articolo. Li abbiamo raccolti e trattati così da poterli analizzare in relazione con altri dataset di fonte pubblica, con l’obiettivo di creare un’unica banca dati territoriale sui servizi. Possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione. I dati relativi all’indice di vecchiaia sono di fonte Istat.

Foto: Rod Long (unsplash)Licenza

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