Le conseguenze dell’inverno demografico italiano #conibambini

Il 2022 segna un nuovo record negativo delle nascite nel nostro paese. Secondo le prime stime, l’anno scorso sono nati un terzo di bambini in meno rispetto al 2008. Approfondiamo queste tendenze a livello comunale.

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Prosegue l’inverno demografico del nostro paese. Gli ultimi dati Istat confermano il declino di nascite: le prime stime per il 2022 parlano di 393mila nuovi nati. Circa il 2% in meno dell’anno precedente, in cui si era già registrato il record negativo dall’unità d’Italia.

Addirittura quasi un terzo in meno rispetto al 2008, l’anno che ha segnato il picco nella serie storica recente.

-31,9% nuovi nati tra 2008 e 2022.

Dopo l’effimera crescita demografica registrata attorno alla metà degli anni duemila, con la grande recessione iniziata nel 2008 il numero di nuovi nati è calato progressivamente. Da allora la curva discendente non si è più arrestata, portando gli osservatori a parlare di un vero e proprio “inverno demografico”. Una situazione in cui il tasso di natalità crolla, l’età media della popolazione aumenta e il numero dei decessi supera ampiamente quello dei nati.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Istat
(ultimo aggiornamento: venerdì 7 Aprile 2023)

Il conto dell’inverno demografico sarà pagato soprattutto dai più deboli.

Le conseguenze di questa dinamica, se non invertita, sono numerose e gravi. Con una popolazione in progressivo invecchiamento, senza un ricambio di nuove forze, sono destinati a diventare insostenibili il sistema sociale, quello previdenziale e sanitario.

Con ripercussioni quindi soprattutto per le persone che si trovano in condizione di difficoltà economica o di esclusione sociale. Il conto dell’inverno demografico è prevedibile che sarà pagato soprattutto dai più deboli.

Approfondiamo meglio le previsioni nell’arco dei prossimi anni e l’attuale incidenza dei neonati sul territorio nazionale.

L’inverno demografico nelle proiezioni al 2030

Per avere un quadro più chiaro delle conseguenze, è utile proiettare queste tendenze demografiche sui dati della popolazione nei prossimi anni e decenni.

L’istituto di statistica – prendendo in considerazione uno scenario “mediano” tra quelli più ottimistici e quelli più pessimistici – ha previsto un crollo della popolazione residente. Dai 59,2 milioni di abitanti nel 2021 si passerebbe ai 57,9 nel 2030, per poi scendere a 54,2 nel 2050 e a 47,7 milioni nel 2070. In una forchetta che tra cinquant’anni oscilla tra lo scenario prevedibilmente migliore – 56,3 milioni, comunque meno di oggi – e quello peggiore (39,9 milioni).

(…) sebbene non sia esclusa l’eventualità che la dinamica demografica possa condurre a una popolazione nel 2070 più ampia di quella odierna, la probabilità empirica che ciò accada è minima, risultando pari all’1,0% (percentuale di casi favorevoli all’evento sul totale delle simulazioni condotte).

Ovviamente, le stime sono meno incerte quanto più ci si avvicina alla data attuale. Nel 2030 l’oscillazione è contenuta tra 57,2 milioni del peggior scenario e 58,7 del migliore, con un dato mediano, come già ricordato, di 57,9 milioni di abitanti.

Tuttavia, riportando questa proiezione a livello comunale, ciò si traduce in circa l’80% dei comuni (4 su 5) per cui è previsto un calo di popolazione entro 10 anni. Tale quota è molto più elevata nelle zone rurali, dove quasi 9 comuni su 10 (86%) vedranno una contrazione nei propri abitanti. Per i comuni nelle aree interne, distanti dai servizi essenziali, la percentuale sale addirittura al 94%: oltre 9 su 10 registreranno un saldo negativo di popolazione. Un dato che conferermerebbe una tendenza osservabile fin dal dopoguerra.

4 su 5 i comuni in cui si prevede un calo demografico entro 10 anni. Nove su 10 nelle aree rurali e interne.

Tuttavia si prevede che non saranno solo i comuni periferici a risentire dell’inverno demografico. Anche nelle città e nei comuni ad alta densità abitativa quasi 2 centri su 3 vedranno uno spopolamento.

Anche nelle grandi città è previsto un calo dei minori.

In questo senso, è sufficiente osservare le previsioni al 2030 per le maggiori città italiane. Il comune di Roma Capitale passerebbe da 2,77 a 2,74 milioni di abitanti (-0,8%). Un calo sicuramente più contenuto rispetto alle aree periferiche, ma che supera il -7% per i minori tra 0 e 4 anni. Il comune di Milano, che pure vede un aumento nella popolazione complessiva (+3% al 2030), registra una diminuzione nelle fasce più giovani: -0,7% tra 0 e 4 anni, -7% tra 5 e 9 anni, -4% tra 10 e 14 anni.

A Napoli, la popolazione complessiva potrebbe diminuire del 5% (quasi 9% al di sotto dei 5 anni), mentre a Torino rispettivamente del -3% e del -5%. Tendenza ancora più marcata nel comune di Palermo: -6,5% nella popolazione complessiva, -13% tra 0 e 4 anni.

Quali sono i comuni con più neonati

Le cifre appena viste si riferiscono a uno scenario probabilistico, e sarà necessario monitorarle con attenzione nei prossimi anni per valutare se il nostro paese stia invertendo la rotta.

Per avere però un quadro aggiornato della situazione attuale, serve un indicatore basato su informazioni già acquisite e quindi più solide. Da questo punto di vista, viene in aiuto l’analisi dei dati demografici sulla popolazione residente.

Nel 2021 abitavano in Italia 59,2 milioni di persone, di cui circa 400mila con meno di un anno di età. Un numero non perfettamente sovrapponibile, ma comunque coerente, con il numero di nati in quell’anno nel nostro paese.

0,7% della popolazione residente in Italia ha meno di un anno.

Lo 0,68% dei residenti in Italia ha meno di un anno, con ampia variabilità territoriale. Tra le regioni, spicca il Trentino Alto-Adige (dove la quota raggiunge lo 0,86%), seguito da Campania (0,8%) e Sicilia (0,77%). Mentre la quota più bassa si registra in Sardegna (0,52%), Molise e Liguria (0,58%).

Scendendo a livello locale, la quota di neonati sulla popolazione complessiva incide maggiormente nella provincia autonoma di Bolzano, dove sfiora l’1% (0,97%), seguita dalle città metropolitane di Napoli e Catania e dalla provincia di Caserta (tutte allo 0,84%). Mentre si attesta sotto lo 0,5% in quella di Oristano.

Nel confronto tra i capoluoghi, Catania e Bolzano sono le città con maggiore incidenza di residenti con meno di un anno rispetto alla popolazione complessiva (0,84% degli abitanti circa in entrambe). Seguono i comuni di Palermo (0,8%), Napoli (0,78%) e Parma (0,77%). Attestate ad almeno lo 0,75% anche le città di Andria, Crotone, Barletta, Trento, Reggio Emilia, Bologna, La Spezia, Vercelli, Reggio Calabria.

Il colore varia in base alla percentuale di residenti nel comune con meno di un anno di età. Maggiore la quota, più intenso il colore.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Istat
(consultati: martedì 28 Marzo 2023)

Il comune capoluogo con la quota più bassa di residenti con meno di un anno è Oristano, in Sardegna (0,36%). Non raggiungono lo 0,5% anche altre 3 città sarde: Cagliari, Nuoro e Carbonia.

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I contenuti dell’Osservatorio povertà educativa #conibambini sono realizzati da openpolis con l’impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Mettiamo a disposizione in formato aperto i dati utilizzati nell’articolo. Li abbiamo raccolti e trattati così da poterli analizzare in relazione con altri dataset di fonte pubblica, con l’obiettivo di creare un’unica banca dati territoriale sui servizi. Possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione. I dati sui residenti sono stati elaborati a partire dai dataset di demo.istat.

Foto: Freestocks (unsplash)Licenza

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