La povertà energetica tra famiglie e minori in Italia #conibambini

Nel 2021 sembra essersi interrotto il calo delle famiglie con figli che non possono permettersi di riscaldare casa. Una tendenza da monitorare alla luce della crisi in corso. Nell’8% dei comuni in zona F, quella più fredda, oltre 4 contribuenti su 10 sono a basso reddito.

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Vivere in una casa confortevole è un fattore cruciale per la crescita sana di bambini e ragazzi. Per questo è centrale la questione delle famiglie in povertà energetica, a maggior ragione se hanno dei minori a carico.

Parliamo di quella condizione in cui un nucleo familiare non può permettersi le spese per riscaldare la propria abitazione in modo adeguato. Dopo aver raggiunto un picco nella prima metà degli anni ’10, la quota di famiglie con figli in questa situazione è progressivamente diminuita nell’ultimo decennio. Tuttavia i dati più recenti (2021) mostrano che questo trend potrebbe essersi interrotto.

La povertà energetica delle famiglie con figli in Italia e in Ue

La quota di famiglie che dichiarano di non potersi permettere di riscaldare adeguatamente la casa è cresciuta dopo la crisi del 2008, sia in Italia che in Ue, raggiungendo il picco nella prima metà del decennio scorso.

In particolare nel nostro paese, i nuclei con minori a carico in questa condizione hanno superato il 20% nel 2012, per poi ridiscendere gradualmente negli anni successivi.

Dopo la pandemia, in base ai primi dati relativi al 2021, si attestano al 7,9% in Italia. Un valore comunque da non trascurare, in primo luogo perché superiore alla media europea nello stesso anno (6,6%) e a quella dei maggiori paesi Ue.

I dati provengono dall’indagine a livello europeo su reddito e condizioni di vita (Eu-Silc).

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Eurostat
(ultimo aggiornamento: giovedì 6 Ottobre 2022)

La Germania nel 2021 si è attestata al 3,5%, la Francia al 5,8%. In Spagna invece le famiglie con figli che non potevano riscaldare a sufficienza l’abitazione sono state il 13,7%.

Dopo la pandemia si è interrotto il trend di diminuzione iniziato dopo il picco del 2012.

Ma non è solo il confronto europeo a rendere rilevante questo dato. Anche l’andamento in serie storica deve essere osservato con attenzione, dal momento che nel 2021 si avverte un primo segnale di crescita rispetto agli anni precedenti la pandemia. Dopo il picco raggiunto nella prima metà degli anni ’10, la quota si era infatti ridotta fino al 7,5% del 2020. Il dato del 2021 mostra la prima interruzione di un trend di diminuzione costante da quasi un decennio.

7,9% i nuclei con minori a carico che in Italia nel 2021 non si sono potuti permettere di riscaldare adeguatamente la casa.

Anche se siamo lontani dai livelli raggiunti dopo la recessione 2008-12, l’indicatore dovrà essere monitorato nella sua evoluzione nei prossimi mesi. Anche in relazione all’andamento della crisi economica ed energetica e ai suoi effetti sulla condizione di vita di famiglie e bambini.

In questo quadro è cruciale disporre di strumenti di analisi per valutare dove il fenomeno della povertà energetica può incidere di più, anche a livello territoriale.

Cosa può determinare la povertà energetica

Non è semplice ricostruire il fenomeno della povertà energetica, specialmente in chiave locale, anche per la limitatezza dei dati disponibili nel descrivere una questione tanto complessa.

Tuttavia vi sono due elementi da cui si può partire. Il primo sono le necessità energetiche delle famiglie, che ovviamente dipendono da una pluralità di fattori. Dal clima presente sul territorio alla condizione abitativa, fino alla presenza di soggetti fragili nel nucleo familiare.

Il secondo è la condizione economica: più è sfavorevole, maggiore sarà il rischio della famiglia di trovarsi in povertà energetica (ovviamente al netto di sussidi e aiuti economici disposti dalle istituzioni locali e nazionali per coprire le bollette).

Le famiglie italiane tra zone climatiche e condizione economica

Con molti caveat, possiamo ricostruire questi due elementi a livello territoriale, almeno in modo parziale.

A livello normativo, l’Italia è divisa in zone climatiche proprio che servono proprio a stimare l’impatto delle necessità energetiche sul territorio. Dalle aree più calde (classificate in zona A), come Lampedusa, dove i limiti all’uso del riscaldamento sono più stringenti. A quelle più fredde (zone F), in cui non vi sono limitazioni.

L’attribuzione di un comune a una fascia si basa sui gradi giorno, ovvero un’unità di misura finalizzata a classificare le necessità energetiche di una località.

I comuni con molti gradi giorno sono quelli sulla carta “più freddi”.

In base al Dpr 412/1993, viene calcolato come differenza, giorno per giorno nei periodi di riscaldamento, tra la temperatura ambiente degli interni (fissata per convenzione a 20°) e quella media esterna. Tutte queste differenze, giorno per giorno nei periodi di riscaldamento, se positive vengono sommate insieme per calcolare i gradi giorno. Quindi più è alto il numero di gradi giorno di una località, maggiori saranno le sue necessità in termini di dispendio energetico. Ovviamente al netto di altri fattori decisivi su cui non sono disponibili dati così aggiornati e disaggregati, come la qualità dell’edilizia abitativa.

L’altro aspetto determinante, la condizione economica delle famiglie, può essere ricostruito con altri indicatori. Uno di quelli più aggiornati è il livello dei redditi, desumibile dai dati sulle dichiarazioni raccolti dal ministero dell’economia e delle finanze. Anche in questo caso, si tratta di un’informazione soggetta a diversi limiti, primo tra tutti l’incidenza dell’evasione.

Con queste avvertenze, incrociando i due dati emerge come oltre 1.100 comuni italiani si trovino in zona F, quella più fredda. Di questi, quasi l’8% hanno più di 4 contribuenti su 10 nella fascia più bassa di reddito, tra 0 e 10mila euro dichiarati per il 2020.

FONTE: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Mef e Normattiva
(ultimo aggiornamento: mercoledì 12 Ottobre 2022)

Tra questi, gli unici territori calabresi e siciliani collocati in zona F. In particolare Nardodipace (Vibo Valentia), dove abitano 1.127 persone di cui 212 minori. Qui il 49,85% dei contribuenti ha dichiarato meno di 10mila euro nel 2020.

In Sicilia è Floresta, nel messinese, a trovarsi in zona F. Nel comune sui monti Nebrodi vivono 447 persone, di cui 35 con meno di 18 anni. Anche in questo territorio oltre 4 contribuenti su 10 (40,1%) hanno dichiarato tra 0 e 10mila euro.

Oltre alle 2 regioni meridionali, quella con la quota più alta di comuni a “basso reddito” in zona F è l’Abruzzo, con il 66,7%. Difatti, se si considerano i 30 comuni della regione in zona F, la più fredda, 20 hanno oltre 4 contribuenti su 10 che non arrivano ai 10mila euro annui di dichiarazione. Seguono il Lazio (22%), Liguria (12%), Lombardia (10%), Piemonte (9%).

Scarica, condividi e riutilizza i dati

I contenuti dell’Osservatorio povertà educativa #conibambini sono realizzati da openpolis con l’impresa sociale Con i Bambini nell’ambito del fondo per il contrasto della povertà educativa minorile. Mettiamo a disposizione in formato aperto i dati utilizzati nell’articolo. Li abbiamo raccolti e trattati così da poterli analizzare in relazione con altri dataset di fonte pubblica, con l’obiettivo di creare un’unica banca dati territoriale sui servizi. Possono essere riutilizzati liberamente per analisi, iniziative di data journalism o anche per semplice consultazione. I dati relativi ai redditi sono di fonte ministero dell’economia e delle finanze; quelli sulla classificazione per zona climatica sono stati elaborati a partire dalla lista contenuta nel Dpr 412/1993.

Foto: Kelly Sikkema (Unsplash) – Licenza

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