Il governo Meloni investe sulla detenzione dei migranti Migranti

Negli ultimi mesi sono state numerose le novità sui centri di permanenza per il rimpatrio: più fondi, tempi di detenzione più lunghi, e una cauzione per chi vuole evitarli. Una scelta politica costosa e orientata all’esclusione.

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Fin dal suo insediamento il governo Meloni ha introdotto una serie di novità in materia di detenzione amministrativa dei migranti. Già a dicembre dell’anno scorso la legge di bilancio aveva anticipato un sostanziale aumento dei fondi per l’ampliamento della rete dei centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr). È poi aumentato anche il tempo di permanenza massimo previsto per chi viene trattenuto. Infine, poche settimane fa, il governo ha introdotto anche una “cauzione“, che in teoria dovrebbero pagare i migranti che non vogliono essere detenuti.

Una serie di misure che manifestano una scelta politica molto chiara: di non investire nell’accoglienza, ma piuttosto nell’esclusione. Una scelta che in primis ha conseguenze negative sui migranti stessi, ma che comporta anche notevoli oneri economici e che rischia di alimentare marginalità e disagio sociale.

Cosa sono e a cosa servono i Cpr

I Cpr, precedentemente centri di identificazione ed espulsione (Cie), sono strutture dove vengono trattenuti i migranti sottoposti a un ordine di espulsione, in attesa di essere identificati e rimpatriati. Si tratta di centri di detenzione amministrativa, dove sono rinchiuse persone che di fatto non hanno commesso crimini.

Negli anni sono state numerose le denunce al sistema dei Cpr. Infatti all’interno di questi centri vengono sistematicamente violati i diritti dei migranti. Inoltre a differenza delle carceri normali, non essendo il fine ultimo il reinserimento in società ma l’espulsione, non viene avviato nessun percorso lavorativo o formativo, né viene realizzata alcuna attività ricreativa. Di fatto quindi le persone detenute concludono la loro permanenza in una situazione di rinnovata illegalità.

Come abbiamo raccontato in passato, questo fa sì che i Cpr alimentino un circolo vizioso di irregolarità. Complice anche l‘inefficace politica dei rimpatri, procedure complesse e costose che hanno luogo mediamente in appena la metà dei casi. Nei casi restanti, i migranti rimangono sul territorio italiano, ma senza alcuna possibilità di inserirsi nella società.

Cosa è cambiato con il nuovo governo

Da subito il governo Meloni ha manifestato l’intenzione di investire in queste strutture di trattenimento.

L’ultima legge di bilancio ha preannunciato un cospicuo aumento della spesa per l’ampliamento della rete di centri, incrementando i fondi di 5,39 milioni di euro per il 2023 e di 14,39 milioni per il 2024. Nelle ultime settimane si è iniziato a discutere di quali siano i posti candidati per ospitare nuove strutture. Secondo il governo dovrebbe essercene almeno uno per regione, ma spetta alle prefetture individuare dei luoghi idonei.

Altro cambiamento è stato l’innalzamento del limite relativo al periodo di permanenza. Questo ha subito numerose variazioni negli anni. L’ex ministro dell’interno Luciana Lamorgese l’aveva ridotto da 180 a 90 giorni, limite che è stato portato, con il decreto 124/2023, a 18 mesi. Aumentando quindi i tempi di un trattenimento che dovrebbe avere una durata molto limitata, sufficiente giusto a provvedere all’identificazione e a predisporre il rimpatrio. E quindi aumentando anche le sofferenze di chi vi si ritrova rinchiuso.

Ultima delle modifiche è stata l’introduzione, attraverso un decreto dello scorso 14 settembre, di una “cauzione” pari a 4.938 euro per i migranti che non vogliono essere trattenuti. Il decreto si basa sull’articolo 6 bis (introdotto quest’anno) del decreto 142/2015 che introduce il concetto di “garanzia finanziaria”. Si afferma insomma il principio secondo il quale ai migranti sprovvisti di documenti validi si possono richiedere somme di denaro. Questo è avvenuto, secondo il governo, in applicazione della direttiva europea 2013/33/Ue, la quale però non impone nessuna regola, lasciando di fatto la questione alla competenza statale.

Gli stati membri provvedono affinché il diritto nazionale contempli le disposizioni alternative al trattenimento, come l’obbligo di presentarsi periodicamente alle autorità, la costituzione di una garanzia finanziaria o l’obbligo di dimorare in un luogo assegnato.

Oggetto dell’ultimo decreto è proprio la definizione dell’importo e della modalità di prestazione di tale garanzia.

4.938 euro l’entità della garanzia finanziaria fissata per il 2023.

L’importo è quanto, secondo le stime, basterebbe a coprire quattro settimane di permanenza, comprensivi di alloggio adeguato, mezzi di sussistenza minimi e costi per il rimpatrio. Verrà ricalcolato con cadenza biennale, a seconda dei costi del rimpatrio. La somma deve inoltre essere consegnata in un’unica soluzione mediante fideiussione bancaria e non può essere versata da terzi. Nei fatti, quindi, viene predisposto un meccanismo a cui sulla carta poche persone migranti possono avere accesso, considerando le condizioni socio-economiche della maggior parte di loro.

Una politica volta all’esclusione

Attraverso tutte queste modifiche, il governo ha esplicitamente manifestato la propria scelta di investire nell’esclusione dei migranti, finanziando strutture estranee al sistema di accoglienza.

Come abbiamo rilevato più volte, la politica dei rimpatri è inefficace e infatti ha riguardato mediamente circa la metà dei detenuti nei Cpr (nel 2022, secondo il garante delle libertà, il 49,4%). I rimpatri sono infatti procedure molto complesse, rese difficili anche dal fatto che necessitano di accordi bilaterali con i paesi di provenienza. Inoltre hanno anche un costo non indifferente. Come rileva la corte dei conti, la spesa per i rimpatri nel 2020 è stata di 8,3 milioni di euro.

3.420 i rimpatri forzati nel 2021, secondo la corte dei conti.

All’inefficacia dei rimpatri si aggiunge il fatto che la maggior parte dei richiedenti asilo vedono la propria richiesta respinta.

I dati si riferiscono al numero di decisioni prese sulle richieste di asilo esaminate, che non corrisponde al numero di richieste inoltrate nell’anno in questione, visto che possono essere prese in esame anche richieste relative ad anni precedenti. Vengono divisi i dinieghi da tutti gli altri esiti (status di rifugiato, protezione, ecc.).

FONTE: elaborazione openpolis su dati ministero dell’interno
(pubblicati: lunedì 4 Settembre 2023)

Gli anni 2019 e 2020 sono stati quelli con più dinieghi in percentuale rispetto al totale delle decisioni (rispettivamente 81% e 76%). Nel 2021 e 2022 la quota è scesa ma si attesta comunque su cifre molto elevate, vicine al 60%.

Sono molte quindi le persone che ogni anno si ritrovano a vivere in Italia costrette in una situazione di irregolarità. Secondo le ultime stime della fondazione Ismu, sarebbero almeno 519mila i migranti in questa situazione.

Come rileva il garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, nella sua ultima relazione al parlamento, sono infatti in costante aumento anche le persone che transitano nei centri di permanenza per il rimpatrio.

6.383 le persone transitate nei Cpr nel 2022.

Ovvero un aumento del 24% rispetto al 2021, quando sono state 5.142. Dato che a sua volta rappresentava un incremento del 17% rispetto al 2020 (4.387).

I dati si riferiscono al numero di persone transitate nel corso dell’anno nei centri di permanenza per il rimpatrio.

FONTE: elaborazione openpolis su dati garante nazionale
(consultati: mercoledì 27 Settembre 2023)

Quello di Caltanissetta è il Cpr dove si registrano più transiti (1.074), nonché quello che ha registrato l’aumento più pronunciato. Nel 2021, infatti, ce n’erano circa la metà (564), nel 2020 circa un decimo (105 persone).

Con più dinieghi si creano più irregolari e così più persone ingiustamente detenute. Aumentando i tempi di permanenza aumentano inevitabilmente anche le violazioni dei diritti, soprattutto se i rimpatri a loro volta sono pochi, onerosi e spesso coercitivi nei confronti dei migranti stessi. Energie e fondi che potrebbero essere impiegati in un’accoglienza meno ispirata da logiche securitarie e più orientata all’inclusione sociale delle persone migranti nel nostro paese.

Foto: Chuttersnaplicenza

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