Aumentano i fondi per la detenzione dei migranti Migranti

Le previsioni finanziarie del 2023 evidenziano un aumento della spesa per i centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr). Si tratta di una scelta politica: investire nella detenzione piuttosto che nell’inclusione e regolarizzazione.

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Nella legge di bilancio 2023 sono aumentati i fondi dedicati all’ampliamento della rete nazionale di centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr). Parliamo di un incremento di oltre 5 milioni di euro per il 2023, rispetto alle previsioni fatte dalla legge di bilancio del 2022.

I Cpr sono strutture detentive nelle quali vengono reclusi i cittadini stranieri sprovvisti di permesso di soggiorno valido, in attesa di essere rimpatriati. Ma vista l’inefficace politica dei rimpatri (che riguarda meno della metà dei detenuti), le persone che si trovano al loro interno spesso finiscono in un limbo che dura anche molti mesi. Oltre a trattenerli, il sistema non offre ai migranti stessi nessuna opportunità di inserimento e ha inoltre notevoli costi di gestione. Investire sui Cpr costituisce quindi una scelta politica infruttuosa, oltre che orientata all’esclusione.

I Cpr nel nuovo bilancio finanziario

La legge di bilancio del 2023, pubblicata in gazzetta ufficiale il 29 dicembre 2022, ha introdotto nuovi investimenti per ampliare la rete nazionale di centri di permanenza per il rimpatrio.

Al fine di assicurare la più efficace esecuzione dei decreti di espulsione dello straniero, il Ministero dell’interno è autorizzato ad ampliare la rete dei centri di permanenza per i rimpatri.

L’aumento è previsto specificamente per il capitolo 7351 (“spese di straordinaria manutenzione, costruzione, acquisizione, miglioramenti e adattamenti di immobili”), piano gestionale 2 (“spese per la costruzione, l’acquisizione, il completamento, l’adeguamento e la ristrutturazione di immobili e infrastrutture destinati a centri di identificazione ed espulsione, di accoglienza per gli stranieri irregolari e richiedenti asilo; spese relative ad acquisto di attrezzature per i centri o ad essi funzionali e per compiti di studio e tipizzazione”).

+5,39 milioni € i fondi per l’ampliamento della rete di Cpr previsti per il 2023.

I dati si riferiscono alla legge di bilancio 2022 (l. 234/2021), alla legge di bilancio 2023 (l. 197/2022) e alle rispettive previsioni di spesa in conto competenza per gli anni 2023 e 2024 relativamente al capitolo di spesa 7351 (spese di straordinaria manutenzione, costruzione, acquisizione, miglioramenti e adattamenti di immobili), piano gestionale 2 (spese per la costruzione, l’acquisizione, il completamento, l’adeguamento e la ristrutturazione di immobili e infrastrutture destinati a centri di identificazione ed espulsione, di accoglienza per gli stranieri irregolari e richiedenti asilo; spese relative ad acquisto di attrezzature per i centri o ad essi funzionali e per compiti di studio e tipizzazione). I centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) sono le strutture in cui i migranti vengono trattenuti in condizioni detentive, al fine di essere rimpatriati.

FONTE: elaborazione openpolis su dati ministero dell’economia
(consultati: lunedì 9 Gennaio 2023)

L’aumento risulta particolarmente evidente per l’anno 2024 (+14,39 milioni di euro, ovvero 46,18 milioni al posto dei 31,79 della previsione 2022). Nel caso del 2023 invece parliamo, come accennato, di 5,39 milioni di euro di differenza. Si va dai 26,79 milioni delle previsioni 2022 ai 32,18 di quelle 2023. In totale, si tratta un incremento di 19,79 milioni per questi due anni, rispetto alle cifre stabilite l’anno scorso. Che inoltre già costituivano un aumento rispetto alle previsioni precedenti.

La detenzione amministrativa dei migranti

I centri di permanenza per il rimpatrio non sono strutture di accoglienza, bensì strutture detentive in cui i migranti vengono trattenuti dopo aver ricevuto un ordine di espulsione. Detenuti senza aver di fatto commesso alcun crimine e senza prospettive dopo la propria liberazione.

Una strategia che non ha vantaggi per i migranti stessi, che non sono così indirizzati verso alcun percorso di regolarizzazione, ma nemmeno per la società nel suo complesso.

L’impostazione securitaria delle strutture di fatto condanna le persone trattenute a vivere in una condizione di permanente ozio forzato, senza possibilità formative, ricreative né di incontri con realtà della società civile organizzata, la quale, ove anche disponibile a organizzare iniziative, si vede regolarmente rifiutare le richieste di accesso alle strutture.

Oltre alla loro configurazione che, come denuncia il garante, non è rispettosa della dignità umana, i Cpr sono pensati come centri di permanenza temporanea, in linea teorica di breve durata, e quindi non dispongono dei percorsi educativi e ricreativi delle altre strutture detentive. D’altro canto, non hanno come finalità l’inclusione dei detenuti, i quali, una volta usciti, sono comunque “irregolari”. Se non vengono rimpatriati, sono esposti all’illegalità e alla criminalità.

Inoltre, come evidenzia il report Buchi neri della coalizione italiana libertà e diritti civili (Cild), si tratta anche di strutture che hanno elevati costi di gestione. Parliamo di 44 milioni di euro per il periodo 2018-2021, come abbiamo raccontato in un recente approfondimento.

4.489 le persone transitate nei Cpr tra gennaio e novembre del 2021.

Ovvero un centinaio in più rispetto all’anno scorso, quando sono state 4.387, secondo i dati del garante nazionale dei diritti delle persone private. Nell’ultimo quinquennio, soltanto nel 2019 la cifra è stata più alta: 6.172.

I transiti registrati sono relativi al periodo tra il primo gennaio e il 15 novembre del 2021.

FONTE: elaborazione openpolis su dati garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale
(consultati: lunedì 9 Gennaio 2023)

Palazzo San Gervasio (Potenza) e Gradisca d’Isonzo (Gorizia) sono i centri che registrano il numero più elevato di transiti (rispettivamente 781 e 702).

Teoricamente, stando alla normativa vigente, uno straniero dovrebbe essere trattenuto soltanto per il tempo strettamente necessario. Di fatto però in moltissimi casi la detenzione amministrativa all’interno di queste strutture si prolunga nel tempo.

Nel complesso, appena la metà di queste persone sono state effettivamente rimpatriate. Una cifra largamente variabile da centro a centro: va dal 18% del Cpr di Torino all’88% di quello di Caltanissetta.

Negli anni la percentuale si è sempre mantenuta a un livello molto basso. Secondo i dati raccolti dal garante nazionale, la quota più elevata si è raggiunta nel 2017 (prima di quell’anno esisteva un altro tipo di strutture: il Cie), quando è stato rimpatriato il 58,6% dei migranti presenti nei centri di detenzione amministrativa. Anche nel 2020 la cifra si è attestata sul 52,9%. In tutti gli altri anni, tuttavia, non ha raggiunto il 50%. La quota più bassa in questo senso si è raggiunta nel 2018: 43,2%.

Foto: Ye Jinghanlicenza

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