La detenzione nei Cpr alimenta il circolo vizioso dell’irregolarità Migranti

I Cpr sono strutture detentive in cui vengono trattenuti i migranti considerati irregolari. Oltre la metà vengono dalla Tunisia, un paese che l’Italia reputa sicuro nonostante sia a rischio sia per gli abitanti che per i migranti che vi transitano.

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In questi giorni si sta parlando molto di Tunisia. Nel febbraio scorso, infatti, alcune dichiarazioni del presidente Kais Saied sui migranti provenienti dall’Africa sub-sahariana hanno scatenato una spirale di violenza nel paese nordafricano, peraltro precipitato in una grave crisi socio-economica e politica.

A oggi l’Italia considera la Tunisia un luogo sicuro e ha stretto con il suo governo numerosi accordi di rimpatrio. Ma in realtà la situazione venutasi a creare in questi mesi nel paese preoccupa numerose organizzazioni e reti della società civile, di ricerca e soccorso in mare e di solidarietà verso i migranti, tanto che oltre 70 sigle hanno diffuso recentemente un appello, affinché le autorità europee revochino gli accordi con lo stato tunisino.

[…] rilasciamo questa dichiarazione per ricordare che la Tunisia non è né un paese di origine sicuro né un paese terzo sicuro e pertanto non può essere considerato un luogo sicuro di sbarco (Place of Safety, POS) per le persone soccorse in mare.

Parallelamente in Italia sono aumentati gli investimenti nel sistema di detenzione dei migranti considerati irregolari, come abbiamo raccontato in un recente approfondimento. E l’approccio all’accoglienza è diventato gradualmente più securitario. Tutto questo ha pesanti conseguenze sia sui migranti che partono dalla Tunisia, costretti in condizioni di crescente precarietà, che sui tunisini stessi, che vengono automaticamente discriminati e privati del loro diritto di richiedere l’asilo. Quella tunisina è infatti la nazionalità più rappresentata all’interno dei centri detentivi per migranti in Italia, i centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr), e la più esposta ai rimpatri forzati.

Nei Cpr si rimane detenuti per troppo tempo

I Cpr sono centri di detenzione amministrativa dove vengono trattenuti i migranti sottoposti a un ordine di espulsione, in attesa di essere rimpatriati. Si tratta di vere e proprie prigioni, dove sono rinchiuse persone che di fatto non hanno commesso alcun crimine.

Al termine della permanenza, i detenuti sono ancora irregolari.

Questi luoghi non hanno peraltro alcuna utilità visto che, a differenza di altre strutture detentive, non avviano percorsi finalizzati all’inclusione della persona. La quale, giunta al termine della sua detenzione, è irregolare quanto lo era in precedenza. In questo senso i Cpr generano un circolo vizioso che finisce per creare ancora più irregolarità, vista anche l’inefficace politica dei rimpatri. Con effetti deleteri sui migranti stessi, che vengono esclusi e relegati alla marginalità, ma anche sulle comunità, che deve gestire ulteriori ed evitabili conflitti e tensioni sociali.

La detenzione amministrativa assume nella prassi prevalentemente i tratti di un meccanismo di marginalità sociale, confino e sottrazione temporanea allo sguardo della collettività di persone che le Autorità non intendono includere, ma che al tempo stesso non riescono nemmeno ad allontanare.

Secondo i dati presentati dal garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, nel 2021 sono transitate nei centri di permanenza per il rimpatrio 5.145 persone. Ovvero il 17,5% in più rispetto al 2020, quando erano state 4.387. Appena 5 di questi erano donne e oltre la metà erano di nazionalità tunisina.

In teoria la permanenza nei centri dovrebbe avere una durata breve, sufficiente solo a identificare la persona e predisporre il suo rimpatrio. Nella realtà però spesso i detenuti si ritrovano in un limbo che può durare molti giorni. Mediamente, il loro soggiorno supera abbondantemente il mese.

36,3 giorni il tempo di permanenza nei Cpr, in media, nel 2021, secondo il garante delle libertà.

I dati si riferiscono ai tempi di permanenza medi registrati dalle persone transitate nei centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) nel 2021.

FONTE: elaborazione openpolis su dati garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale
(pubblicati: lunedì 20 Giugno 2022)

Nel Cpr di Macomer (Nuoro) la permanenza media è di quasi 74 giorni. Seguono Brindisi con 51 giorni e Torino con 47. Caltanissetta e Trapani sono invece i centri dove si registra la permanenza media più contenuta (meno di 20 giorni).

Siccome i dati sono relativi al 2021, figura ancora il Cpr di Torino, che è stato recentemente chiuso e che è ora è sotto accusa per aver somministrato arbitrariamente psicofarmaci ai detenuti per sedarli. Un caso che, secondo alcune inchieste giornalistiche, sarebbe tutt’altro che raro.

Chi sono le persone trattenute nei Cpr

Nei centri di permanenza per il rimpatrio sono state trattenute, nel 2021, persone provenienti da 71 paesi. Tuttavia le nazionalità più rappresentate sono quelle nord-africane e in particolare quella tunisina. Su circa 5mila detenuti, infatti, quasi 3mila provengono dalla Tunisia.

54,5% dei detenuti nei Cpr sono di nazionalità tunisina (2021).

I dati provengono dalla direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere del dipartimento della pubblica sicurezza del ministero dell’interno, elaborati dalla corte dei conti.

FONTE: elaborazione openpolis su dati corte dei conti
(pubblicati: giovedì 12 Maggio 2022)

I primi paesi di origine dei migranti trattenuti nei centri di permanenza per il rimpatrio sono tutti nord-africani. Prima tra tutti la Tunisia (quasi 3mila persone), seguita dall’Egitto (517) e dal Marocco (420). Insieme, proviene dal nord-Africa il 75% dei detenuti.

Stando ai dati del garante nazionale, nel 2021 il 48,9% dei detenuti è stato effettivamente rimpatriato. Per quanto riguarda gli altri, nel 31,5% dei casi l’autorità giudiziaria non ha convalidato il loro trattenimento. Due persone sono decedute.

L’Italia considera ancora la Tunisia un paese sicuro

Come accennato, i tunisini sono di gran lunga la nazionalità più rappresentata nei Cpr e sono molto frequentemente rimpatriati (nel 64,8% dei casi). Inoltre, secondo i dati del garante, 79 dei 103 voli charter di rimpatrio forzato sono partiti per la Tunisia: parliamo di 1.823 persone su 2.172, pari all’84% del totale. Costituiscono anche il 33% delle persone registrate negli hotspot – i luoghi in cui si definisce se un migrante può richiedere l’asilo o se è un “migrante economico” e quindi va rimpatriato quanto prima.

Dal 2019 la Tunisia è nella lista dei 13 paesi sicuri.

Sono dati molto eloquenti, che illustrano quello che l’associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) ha definito il “mito della sicurezza in Tunisia“. Nell’ottobre 2019, con un decreto interministeriale, l’Italia ha inserito la Tunisia in una lista di 13 paesi d’origine sicuri, con criteri che secondo Asgi sono incerti e poco trasparenti. L’incongruenza oggi risulta ancora più visibile, vista la crisi politica e socio-economica in corso e l’approccio escludente nei confronti dei migranti provenienti dall’Africa sub-sahariana.

Il fatto che l’Italia consideri la Tunisia un luogo sicuro ha conseguenze su come le domande di asilo dei tunisini vengono analizzate. La procedura, come rileva Asgi, ne risulta accelerata, con tempi più ristretti e minori garanzie. Inoltre, il diritto di asilo non è propriamente esistente in Tunisia se non in una forma molto stringente (e può essere valutato e garantito solo dall’Unhcr). Pertanto, i sempre più numerosi migranti che si trovano nel paese nord-africano si trovano in situazioni particolarmente precarie.

Foto: Francesca Runzalicenza

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