di Joe Shaw e Mark Graham (1)

Le tecnologie digitali, le persone e le macchine, insieme alle informazioni che li mettono in connessione gli uni con gli altri, hanno ridefinito la vita nelle città del XXI secolo. La nostra quotidianità si fonde con questi elementi: lavoro, tempo libero, produzione e consumo. Ogni azione ed ogni luogo sono riflessi, rappresentati, mediati o condivisi online nella loro dimensione digitale. Oggi la realtà sociale, economica e materiale della città dipendono in modo inevitabile da flussi di bit e byte, anche per chi afferma di respingere queste tecnologie. Le applicazioni ci guidano attraverso algoritmi che seguono percorsi segreti; siti di recensioni che ci consigliano quali sono i quartieri migliori e quali i peggiori, governi locali e assicurazioni che operano sempre più attraverso i social media, la gestione della città che si affida sempre più spesso ai sensori intelligenti e ai meccanismi di feedback. Le città non sono più fatte solo di malta e mattoni, ma hanno una propria dimensione digitale, che si manifesta e riproduce in continuazione.

Le città non sono più fatte solo di malta e mattoni, ma hanno una propria dimensione digitale

Le rappresentazioni digitali della realtà forniscono degli esempi di come questa situazione possa produrre conseguenze che riguardano tutti noi: quando digiti “Gerusalemme” su Google appare un riquadro che ti dice che la città è la “Capitale di Israele” (o almeno questo è ciò che accade nel momento della pubblicazione di questo articolo). Indipendentemente da quello che se ne possa pensare, il dato reale è che Israele è l’unico stato sulla terra a riconoscere Gerusalemme come sua capitale. Molti Palestinesi considerano la città la capitale dello Stato Palestinese. Buona parte del resto del mondo dice esplicitamente che Gerusalemme non è una capitale, oppure evita di prendere posizione.

Nonostante Google ci tenga a mostrarsi obiettivo, questo è solo uno tra i tanti possibili esempi che fanno capire come non tutti i luoghi siano visti allo stesso modo e non tutte le persone vedano lo stesso luogo. Il motore di ricerca mostra confini diversi a seconda del paese da cui l’utente li guarda, le pubblicità mirate si rivolgono specificamente a quegli utenti che hanno il profilo che interessa ai fornitori dei servizi. In questo modo interi quartieri che appaiono privi di attività economiche rilevanti, rischiano di diventare i ghetti informativi del XXI secolo (2).

90-95% delle ricerche in Europa e Stati Uniti sono mediate da Google

Molte persone usano e interagiscono con queste informazioni e il 90-95% delle ricerche in Europa e Stati Uniti sono mediate da Google. Riteniamo che questo dominio astratto sulla riproduzione digitale della nostra realtà abbia il potere di cambiarla.

Se si accetta questa premessa è necessario riflettere non solo sui nostri diritti di cittadini negli spazi pubblici e privati ma anche nei loro equivalenti digitali. Come possiamo dichiararci in disaccordo con queste rappresentazioni? Come reagiamo al pensiero che un’azienda pubblicitaria come Google abbia il ruolo di “organizzare le informazioni di tutto il mondo”? Se tutto questo non ci piace che alternative abbiamo?

Nel 1968, molto prima che le nostre città digitalmente aumentate venissero messe a disposizione da aziende come Google, il filosofo francese Henri Lefebvre descrisse ciò che definiva il “diritto alla città”. Egli sosteneva che il grande potenziale della vita urbana dovesse essere a disposizione di tutti, non solo delle élite più potenti e delle grandi corporazioni che possiedono e controllano gran parte delle nostre città. Obiettivi della sua battaglia per città più giuste e inclusive erano coloro che tradizionalmente svolgono ruoli di mediazione e sviluppo delle politiche urbane che producono le disuguaglianze: i proprietari di immobili, lo stato e la polizia.

Il fatto che aziende gigantesche come Google gestiscano una quantità così grande di informazioni sulle nostre città può rappresentare un problema

Il “diritto alla città” non è mai stato pensato come un insieme di norme codificate, è invece diventato parte delle rivendicazioni e degli slogan contro l’esclusione che hanno portato diversi tipi di benefici agli abitanti delle città di tutto il pianeta. Ha fatto da cornice per le battaglie per l’accesso all’acqua potabile nel Sud America, per le fogne in India, per una nuova regolamentazione degli affitti a Berlino e per le battaglie sulle compensazioni per la ricollocazione delle popolazioni in Sud Africa. Anche se non funziona sempre, il diritto alla città, nelle mani giuste, può rivelarsi una potente arma concettuale a servizio del bene comune: può rappresentare il diritto a cambiare noi stessi il cambiando la città.

Se oggi le città sono sia digitali che materiali, la lotta per diritti più equi deve espandersi dagli spazi materiali per includere la sfera digitale. Tornando all’esempio precedente, il fatto che aziende gigantesche come Google gestiscano una quantità così grande di informazioni sulle nostre città può rappresentare un problema. Altrove potrebbero sorgere questioni diverse, come il diritto alla casa o all’occupazione. Lo sconvolgimento socio-economico causato dalla tecnologia è spesso collegato allo sviluppo urbano, ma nell’era di Uber, TripAdvisor, Task-Rabbit, smart cities e social media, tutte queste battaglie assumono nuove forme.

Questa piccola raccolta di articoli esplora i diversi modi in cui le tecnologie dell’informazione possono riconfigurare, riprodurre o amplificare le ingiustizie socio-economiche nelle nostre città – dagli smartphone alle carte d’identità digitali o attraverso tutte quelle applicazioni che servono per trovare un alloggio in affitto o per “vendere il proprio lavoro”. Come autori riteniamo che tutti quelli che vogliono vivere meglio nelle loro città debbano prendere in considerazione questi problemi; speriamo quindi che questo piccolo pamphlet aiuti il lettore ad essere più informato e a interagire con il mondo digitale in modo tale da vivere nel tipo di città che desidera.

Note:
(1) Joe Shaw e Mark Graham – Università di Oxford (joe.shaw@oii.ox.ac.uk / mark.graham@oii.ox.ac.uk)
traduzione Valentina Bazzarin – Twitter: @VBazzarin

(2) Shaw, J., and Graham, M. (2017) An Informational Right to the City? Code, Content, Control, and the Urbanization of Information. Antipode.

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