di Valentina Carraro e Bart Wissink (1)

Prologo

Nel 1993 vennero firmati gli accordi di Oslo; subito dopo Edward Said ne definì criticamente le fasi di negoziazione come un confronto impari tra Israeliani armati di “fatti non verificabili, informazioni e potere” e Palestinesi intrappolati tra “disaffezione e ottimismo irrealistico”. I Palestinesi hanno bisogno di trasformare la geografia in Resistenza, creando una loro contro-strategia che consiste in una mappa alternativa: dettagliata, rilevata e disegnata dai Palestinesi, che permetta a tutti di collegarsi in un grande progetto unitario, con Gerusalemme al suo centro.

La prima questione di cui impadronirci, nel modo più concreto ed esatto possibile, sono i fatti come realmente sono, non per essere sconfitti dai fatti, ma per inventarsi modi migliori di confrontarli con i nostri fatti e le nostre istituzioni, per affermare la nostra presenza come nazione.

- Edward Said (2)

Gli accordi di Oslo hanno evitato di sciogliere il nodo che riguarda Gerusalemme, ovvero se appartenga a Israele o se apparterrà al futuro Stato Palestinese. In teoria la città è sotto il controllo internazionale; in pratica Israele ne detiene il completo controllo e la considera come la sua “capitale indivisibile” e molte mappe legittimano questa affermazione.

Mappe tra scienze e politica

Le mappe sono strumenti per navigare lo spazio. Qual è la strada più breve per arrivare a casa? Dove si trova la Lettonia esattamente? Non si tratta solo di semplici rappresentazioni basate sui fatti; le linee che delimitano la Lettonia sulla mappa contribuiscono a rendere la Lettonia quel che è: uno Stato. Le mappe, che siano sulle scrivanie degli ufficiali dell’esercito o appese ai muri delle aule delle scuole, danno forma alla nostra visione del mondo, producendo nuovi mondi. Le mappe sono sempre politiche.

Le mappe sono sempre politiche.

Nonostante questi due modi di intendere le mappe siano diversi l’uno dall’altro tenteremo, in qualche modo, di prenderli in considerazione entrambi. Dopo tutto, come ha notato Alan MacEachren, quando si prende un aereo anche chi ha un approccio postmoderno spera che il pilota si affidi ad una mappa che corrisponda ai fatti. Le parole di Said ci ricordano che le mappe occupano una posizione scomoda tra “scienza” e “politica” e fanno saltare il confine netto che pretendiamo di tracciare tra le due.

Imperi digitali?

Fin dalla nascita degli stati moderni nel diciassettesimo secolo, le mappe sono state associate al potere degli stati e la cartografia è sempre stata uno strumento di controllo e di conquista. Tutto questo sembra stia cambiando grazie alle tecnologie digitali. Mosaic, il primo browser web, è stato lanciato lo stesso anno degli accordi di Oslo. Abbiamo fatto molta strada da allora, da quelle prime GIF (Graphics Interchange Format) che si caricavano lentamente: ora abbiamo mappe interfaccia, mappe applicazioni, tag geospaziali, servizi per le panoramiche a 360° delle strade; le nostre geografie sono cambiate come le loro rappresentazioni digitali. Cosa succede però quando le aziende come Google sostituiscono lo stato nel fornire e nel mediare le informazioni geografiche? Come ci si chiede nell’introduzione a questo pamphlet, come possiamo contestare la versione di Google di una mappa e la versione Google del mondo?

Contro mappe

I processi partecipativi e open-source offrono un’alternativa? Parlando di mappe, l’esempio più significativo è Open Street Map o OSM. Una ricerca su Google – buffo, no?- ci informa che OSM è “un progetto collaborativo per creare una mappa del mondo che tutti possono modificare”. Sono due i principi che sottostanno a OSM: primo, le persone del luogo devono decidere come apparirà la mappa delle loro case; secondo, le decisioni che riguardano quel che si deve mappare e come, devono essere prese collettivamente. Il risultato è un progetto di mappatura online, con migliaia di contributi che arrivano più volte al giorno e che ora copre quasi ogni angolo del pianeta. Le mappe e le applicazioni basate su OSM hanno permesso di portare aiuti umanitari ad Haiti, di migliorare le forniture strutturali nelle baraccopoli in Kenya e promuovere l’uso della bicicletta in Austria. Affascinante? Certo, ma dobbiamo ricordarci che OSM non è un universo parallelo, nel quale le dinamiche del mondo reale magicamente spariscono, ma è parte del mondo reale. Gli interessi economici, le idee su temi come genere, classe e razza, i livelli di educazione, le geografie, le geopolitiche e le infrastrutture non solo incidono ma ri-definiscono costantemente quel che è OSM. In altre parole: le discussioni aperte sono fantastiche, ma non garantiscono ad ognuno la possibilità di parlare e non portano necessariamente a risultati “giusti”.

Le Gerusalemme sulla mappa

Questo ci riporta dritti a Gerusalemme, il focus della nostra ricerca. Gerusalemme è un buon caso di studio perché rappresenta un contesto cittadino archetipico: un’opportunità per approfondire le nostre “cartografie alternative”. Nell’introduzione di questo pamphlet si afferma che Google descrive in modo improprio Gerusalemme come la capitale di Israele. Tuttavia, per essere precisi, Google ci presenta la voce di Wikipedia su Gerusalemme; in realtà, quindi, è Wikipedia, una piattaforma collaborativa, che sta prendendo una posizione geopolitica. Ovvio poi che Google gioca un ruolo importante nel confermare questo “fatto”. Al contrario la mappa nella parte destra dello schermo riporta la posizione delle Nazioni Unite, raffigurando la città divisa in due parti dalla Linea Verde. Alla destra della linea, dove vive la maggior parte degli Israeliani, la mappa è molto dettagliata e indica negozi, punti di interesse, fermate degli autobus, ecc. A sinistra della linea (nella metà Palestinese) i quartieri sono delle macchie grigie. A seconda del dominio (e quindi del luogo, ndr.) dal quale si accede alla mappa, i nomi vengono resi disponibili in lingue diverse. La versione araba (e inglese) traduce generalmente i nomi dall’ebraico all’arabo, invece di adottare i nomi utilizzati dai Palestinesi.

Ora lasciamo da parte un attimo questa riflessione e torniamo su OSM. Nel caso di spazi contesi, OSM incoraggia le comunità locali a risolvere le dispute che emergono. La sola indicazione consiste, in caso di dubbio, nel fare riferimento a ciò che c’è sul terreno. Ora, considerato che la comunità OSM è composta per la maggior parte da Israeliani e che “creare stati di fatto sul terreno” è dichiaratamente la strategia di Israele, è evidente come entrambi i fattori giochino a sfavore dei Palestinesi. Mentre Google offre una mappa in diverse lingue, OSM presenta la sua mappa in una sola versione dove i nomi vengono scritti nella lingua locale: il dominio degli Ebrei non si ferma sulla linea “dell’armistizio” (quella verde citata prima, n.d.t.), ma circonda tutta l’area amministrativa municipale, spostando il confine di Israele di diversi chilometri.

Le contro-contro mappe

Gruppi Palestinesi hanno utilizzato sia Google che OSM per creare le proprie mappe. Nel caso di Google, questo ha significato sovrascrivere nuovi livelli alla mappa standard per mostrare, ad esempio, i villaggi e i quartieri distrutti dopo la Nakba (l’indipendenza di Israele). Rilasciando i propri dati in maniera aperta, OSM permette totale libertà nel creare e remixare i dati in mappe del tutto nuove. La cosa più importante, forse, è che OSM mette a disposizione dei forum nei quali le decisioni delle comunità possono essere messe in discussione. Questa è una differenza cruciale: non solo OSM permette ai gruppi di creare delle contro-mappe, ma offre anche uno spazio in cui le diverse visioni possono confrontarsi. Infatti, esaminando il dibattito su Gerusalemme si scoprono cose interessanti: gli utenti di OSM insistono nel definire questo spazio democratico e apolitico, OSM tratta di dati, i dati sono fatti, e i fatti sono all’opposto della politica – o almeno così recita il mantra.

Epilogo

Due applicazioni per mappare e due modelli di produzione cartografica, ma nessuna delle Gerusalemme che risultano assomiglia a come i Palestinesi che vivono a Gerusalemme vedono la loro città. Forse una mappa capace di soddisfare tutte le parti coinvolte non può esistere in questo momento. Israeliani e Palestinesi sono divisi – anche tra loro – sulla rappresentazione della “loro” città: se e come dovrebbe essere divisa? Secondo quali confini? Come si dovrebbe chiamare? Le tecnologie digitali hanno reso la creazione delle mappe più semplice e hanno moltiplicato il numero delle Gerusalemme che possiamo trovare in forma di rappresentazione cartografica. Detto questo non tutte le mappe hanno lo stesso peso, quindi la possibilità di avere diverse rappresentazioni non garantisce di per sé un’influenza politica più giusta. Le disuguaglianze si estendono alle geografie digitali e influenzano le mappe online, che siano prodotte da potenti aziende o da comunità di volontari. Questo non vuol dire che le differenze tra i due modelli non siano significative; al contrario, per meglio comprendere le opportunità e i rischi legati alle mappe online, dovremmo iniziare ad osservare con attenzione i dettagli delle mappe stesse: le note scritte in piccolo sugli accordi per le licenze, le note a piè pagina e le informazioni sulle caratteristiche della mappa. Le mappe sono sempre politiche, anche quando nascono dai dati aperti.

Note:
(1) Valentina Carraro e Bart Wissink – Università della città di Hong Kong (valentina.carraro@posteo.net /bartwissink@me.com)
traduzione Valentina Bazzarin – Twitter: @VBazzarin
(2) Said, E. W. (1996) “Facts, Facts, and More Facts”. Peace And Its Discontents: Essays on Palestine in the Middle East Peace Process. New York: Vintage, p.31.

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